Nel 2007, in occasione del Festival di Santarcangelo, l’Accademia degli Artefatti ha debuttato con il progetto “Ab-uso”, portando in scena due testi del drammaturgo e performer inglese Tim Crouch: “My Arm” e “An oak tree”. I due spettacoli, presentati insieme all’inizio, hanno poi cominciato a vivere separatamente a partire dal secondo anno di tournée.
La scorsa settimana “My arm”, monologo per la regia di Fabrizio Arcuri, è arrivato a Bologna, a Teatri di Vita. La storia è quella di un trentenne che, fin da bambino, ha deciso di sfidare la propria noia e i limiti del corpo con gesti indiscutibilmente creativi e assurdi. Ad esempio? Non parlando o non andando di corpo per mesi. Da qui, esplorando, è arrivato alla scoperta più estrema: un giorno qualsiasi ha deciso di sollevare il braccio sinistro sopra la testa e da quel giorno non l’ha mai più abbassato. Lasciando passare giorni, mesi, anni… vent’anni, fino a diventare, per tutti, “il ragazzo del braccio”. Gesto assurdo, ridicolo e incomprensibile, per gli altri; gesto che porta al superamento di sé e alla sensazione di una potenza indicibile, per il ragazzo.
Il braccio sollevato diventa così la cifra della sua esistenza: lo distingue dagli altri, lo isola, modifica lo sviluppo del resto del corpo mentre perde gradualmente tutte le funzioni vitali, dalla circolazione alla mobilità. Diventa protagonista della scena artistica mondiale. Il braccio che muore, attaccato a un corpo che lo segue, viene infatti disegnato, scolpito e ipotecato: alla morte del proprietario (si può ancora parlare di proprietario?) verrà conservato e esposto.
Il testo di Tim Crouch, tradotto in italiano dal bravo Luca Scarlini, è incredibile: bello, fatto di parole semplici e accurate. Parole che sanno dire senza artificio, scritte per essere dette, immediate. Le parole sono importanti, dice una battuta del monologo. In “My arm” lo sono al punto tale da diventare performative: nell’essere enunciate producono un fatto, costruiscono lo spettacolo. Non si limitano a descrivere, hanno la stessa qualità dell’azione.
Arrivano così a creare un contesto che rende possibili altri livelli di realtà. Come quando l’attore prende in prestito un pacchetto di sigarette da uno spettatore: nelle sue parole quel pacchetto diventa altro, lo rinomina, “questo è mio padre”. Chi guarda accetta la finzione per poter proseguire. E lo scarto, anche se dichiarato, ridefinisce un’altra realtà.
Sulla versione italiana di “My arm” sono state dette diverse cose. Tutte assolutamente condivisibili. È vero, lo spettacolo – discreto e penetrante allo stesso tempo – mette in discussione il patto di finzione. Ridisegna la comunicazione teatrale, creando un territorio in bilico fra realtà e finzione che conferisce a quanto succede lo statuto di esperienza immediata. La regia è minimale, non cerca eventi spettacolari, è perfettamente calibrata e così la recitazione di Matteo Angius. Sottile, ironico, capace di passare con naturalezza attraverso registri differenti, l’attore dialoga col pubblico, con un altro se stesso proiettato in video e col musicista Emiliano Duncan Barbieri, in scena con lui, muovendosi leggero tra la figura fragile e stralunata del testo e il suo essere attore.
Durante la visione, però, non si dà un simile ragionare: è naturale partecipare.
Perché “My arm” è un bell’equilibrio fatto di piccoli scarti intorno all’idea e alla costruzione di una realtà. Il meccanismo alla base di questa costruzione, però, è sapiente perché scompare, permettendo di entrare nel flusso di parole e frammenti di canzoni suonate dal vivo, finché l’attore non dice “è finito”. Ecco che il meccanismo torna in primo piano, tutto si ridefinisce; lo spettacolo, in fin dei conti di questo si tratta, è concluso. Attore e musicista ricevono gli applausi del pubblico, come d’abitudine. Ma tutto appare leggermente spostato, come a un risveglio: è chiaro dove ci si trovi ora, meno chiaro è dove si sia stati fino a quel momento.
MY ARM
di Tim Crouch
traduzione: Luca Scarlini
regia: Fabrizio Arcuri
con: Matteo Angius e Emiliano Duncan Barbieri
video: Lorenzo Letizia – Chant du jour
produzione: Accademia degli Artefatti
in collaborazione con: British Council, Trend – Nuove frontiere del Teatro Britannico, Santarcangelo – International Festival of the Arts, Festival Teatri delle Mura di Padova, Armunia – Castiglioncello, Officina Culturale – Regione Lazio
durata: 60’
applausi del pubblico: 3’ 40’’
Visto a Bologna, Teatri di Vita, il 27 gennaio 2011