E’ ormai da tempo che l’Accademia degli Artefatti indaga quella drammaturgia britannica contemporanea che ha in Tim Crouch e Mark Ravenhill due dei suoi rappresentanti più significativi. Da “My arm” e “An Oak Tree” di Crouch all’attuale progetto “Spara, trova il tesoro e scappa” di Ravenhill (e, prima ancora, con Martin Crimp) gli Artefatti stanno scandagliando una prosa che ultimamente riscuote grande successo; e proprio Ravenhill è stato definito lo scrittore della ‘ipod generation’.
Classe 1966, si impone all’attenzione internazionale con “Shopping and Fucking”, messo in scena nel ’96 dalla compagnia Out Of Joint al Royal Court Theatre di Londra: passa così dalla scena off alla notorietà, tanto che il testo sarà poi allestito in molti altri paesi tra cui l’Italia, nella traduzione e per la regia di Barbara Nativi.
“Spara, trova il tesoro e scappa” ha una genesi particolare: nella primavera del 2007 Ravenhill ha un attacco epilettico che gli causa il coma e la perdita di memoria. Quando si risveglia non ricorda più l’impegno preso con l’Edinburgh International Festival di scrivere una pièce al giorno per ognuno dei 16 giorni della rassegna. Nelle settimane successive, pesantemente segnato da quell’esperienza, scrive un ciclo di 17 pezzi ispirati ad altrettanti classici della letteratura, del cinema o della musica: da “Il crepuscolo degli dei” a “Le troiane”, da “La guerra dei mondi” a “Orgoglio e pregiudizio”.
Ogni pezzo è autonomo, ma il comun denominatore sta nel narrare di una guerra contro il terrore sostenuta dalle ‘potenze occidentali’: Oriente contro Occidente e viceversa, una battaglia “epica” che mischia realtà e finzione.
Così è anche per “Nascita di una nazione”, ispirato all’omonima pellicola muta U.S.A. girata nel 1915 da David Wark Griffith. Un film controverso, ambientato durante la guerra civile americana, che suscitò polemiche per l’accusa di promuovere la supremazia dei bianchi giustificando la segregazione razziale e fenomeni come il Ku-Klux-Klan.
Nella trasposizione di Ravenhill siamo in un ipotetico (e quanto mai attuale) dopo-guerra: la potenza straniera si è ritirata e un gruppo di artisti del paese occupante arriva tra le macerie per promuovere l’efficacia dell’arte come rimedio alla tragedia del conflitto.
Eccoli lì, appena scesi dall’aereo con le rispettive valigie: quattro artisti, quattro “mandanti di pace” che si rivolgono a noi, pubblico, vittime delle atrocità di una guerra come sempre non giustificabile: “Noi non l’abbiamo voluta; noi abbiamo protestato contro – lamentano i quattro come a mettere le mani avanti – Ma i nostri cosiddetti rappresentanti l’hanno voluta questa guerra: tutte le forze occidentali. Ed ecco cos’hanno fatto alla vostra bellissima civiltà”.
Ma ora (per nostra fortuna) ci sono loro che, come fossimo tutti in un gruppo di auto-aiuto, raccontano in che modo sono riusciti a superare i problemi delle proprie vite attraverso l’arte: chi con la pittura, chi con la danza, chi con la scrittura e chi con le performance. L’Arte, proprio quella con la A maiuscola, catartica per chi ha subìto violenze sessuali dal padre, per chi era alienato in una vita fatta tutta di “alcool e seghe”, per chi ha perso il lavoro (anche se era una schiavitù) o anche “solo” per chi ha visto crollare la propria ideologia di riferimento. Eccola la via unica per la guarigione. “Iscrivetevi ai nostri corsi”, dunque, sicuro percorso per riottenere libertà, cultura, civiltà e pace: “Con un festival di tutte le arti questa città rinascerà!”.
Fabrizio Arcuri guida una regia essenziale, in cui tanto è dato dal testo e dagli attori: non servono grandi stratagemmi scenici, e l’ambiente raccolto della replica al festival Teatro & Colline di Calamandrana (AT) permette una vicinanza anche fisica con la storia, in grado di restituire quella sensazione di partecipare davvero ad un gruppo (un po’ stravagante) di sostegno psicologico. L’assenza totale di scenografia porta quasi a sentirsi in un “post-mondo”, estraniante e alieno per noi, occidentali, che le catastrofi delle guerre le viviamo solo attraverso le immagini della tv.
Il testo alterna con naturalezza ironia a tragedia, catapultando nella satira anche una certa idea inflazionata e mercificata dell’essere artisti.
Bravi gli attori: partiti in sordina, riescono a coinvolgere in un crescendo emotivo che lascerà davvero senza parole. Perché l’arte, talvolta, non basta.
SPARA, TROVA IL TESORO E SCAPPA
NASCITA DI UNA NAZIONE
di Mark Ravenhill
traduzione Pieraldo Girotto, Luca Scarlini
regia: Fabrizio Arcuri
con: Miriam Abutori, Matteo Angius, Gabriele Benedetti, Fabrizio Croci, Pieraldo Girotto
assistente alla regia: Luigi Coluccio
cura degli ambienti: Diego Labonia
organizzazione :Miguel Acebes
produzione: Accademia degli artefatti08
collaborazione alla produzione: Magna Grascia Teatro – Regione Calabria, Le Chant du Jour
durata: 50′
applausi del pubblico: 1′ 54”
Visto a Calamandrana (AT), Parco del Castello, il 26 luglio 2009
Festival Teatro & Colline 2009