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Il Naufragio (con moka) di Alessandro Businaro e Stefano Fortin

Naufragio (ph: Alberto Bogo)

Naufragio (ph: Alberto Bogo)

Nuovissima produzione, totalmente under 35, di Tib Teatro, in anteprima nazionale a Belluno

Un uomo, una donna. Un tavolo, due sedie. Una torta, una moka. È talmente minima la scena che potrebbe essere un’istallazione artistica, quella proposta da Alessandro Businaro per il suo “Naufragio”, nuovissima produzione del Tib Teatro diretto da Daniela Nicosia, andata in scena in anteprima nazionale il 19 dicembre al Teatro Comunale Dino Buzzati di Belluno.

Un tavolo, due sedie, una cheesecake. Il tavolo è bianco, gli attori sono in bianco, due microfoni da tavolo con bracci orientabili. Al di sotto del palco, al centro nella prima fila di platea, una moka sul fornello, con un microfono, luci puntate a intermittenza («Accendi, spegni. Accendi, spegni»).

La vicenda che porta alla scrittura e all’ideazione di “Naufragio” si innesta a doppio filo sulla natura della sua drammaturgia: il naufragio stesso; naufragio perché lo spettacolo nasce da un residuo di qualcosa che rimane di uno studio passato, una prima scrittura del 2016 di Businaro con l’autrice Irene Gandolfi, in collaborazione con l’attrice Grazia Capraro – in scena -; una scrittura che era letteralmente naufragata, non arrivando in porto.

Il lavoro parte dall’elaborazione del lutto, spunto biografico reale, per il compagno (o la compagna) con cui si convive e con cui si è intrapreso un progetto verso un percorso di vita insieme. E sul relitto di quel lavoro Stefano Fortin (autore già vincitore del Biennale College Teatro Autori 2022, che collabora con Businaro dal 2019), non solo in qualità di drammaturgo ma anche di dramaturg, ha ideato e ricostruito un nuovo artefatto, una drammaturgia rifiorita su una testimonianza residuale ma, evidentemente, non svanita.

“Naufragio” porta in scena la biografia di una coppia, dal giorno in cui i due si incontrano, fino all’orario in cui la storia finisce (spoiler alert: tragicamente); ma non è la trama che tiene su la drammaturgia: protagoniste sono le sue narrazioni, le possibilità, le angolazioni, gli espedienti, i filtri estetici e poetici con cui Businaro-Fortin decidono di disvelarla, di dissotterrarla e metterla in mostra come un’antica vestigia; ecco quindi il dialogo, il monologo, il racconto narrativo della voce fuori campo, la parola che diventa gioco, poi danza e canto, il litigio, l’azione fisica, la soggettiva, l’uscita dal personaggio, l’improvvisazione, la rottura di parete.

I due bravi attori, Grazia Capraro e Vassilij Gianmaria Mangheras, entrambi bellunesi, sono intenti in una grande prova di misura – volta all’asciugare all’osso l’esercizio attoriale – agendo e recitando in un’atmosfera rarefatta e rigorosa, tagliente e letale per minimalismo e austerità, come anime bianche senza corpo, voci più che carne, spiriti più che persone.

Intimi e delicati, in scena si incalzano una serie di episodi domestici, piccoli riti quotidiani come la colazione, mettere su il caffè, la torta a sorpresa nei giorni di festa del compleanno, il saluto prima di uscire.
Ricordi rievocati e rivivibili come un nastro dei ricordi della storia d’amore, “Krapp’s Last Tape” docet, pronti ad essere riavvolti e rivissuti, con ogni volta una scompaginazione della narrazione verso un nuovo punto di vista, in un retrogusto onirico straniante alla Donnie Darko. L’episodio è accaduto? È immaginato? È – solo – stato sognato?

Grossa partecipazione a questo straniamento è data dal trattamento demiurgico autoriale e registico sull’azione e sui personaggi, impercettibili interscambi di presupposti che riprogrammano la tessitura scenica in diversi quadri. L’identità stessa dei personaggi si potrebbe dire liquida, in quanto sembra traboccare dallo status di “personaggio uno” e “personaggio due” finanche a trascinarsi dietro, come in un’alluvione, la didascalia e a riversarsi nella forma-corpo degli attori, le cui funzioni diventano interscambiabili, in una dimensione in cui il teatro diventa davvero gioco e il gioco diventa teatro. Assistiamo quindi ai giochi della coppia, che sono quasi esercizi di laboratorio teatrale (“la casa brucia” gioco di narrazione e di parola come alternativa al gioco “the floor is lava”, oppure “chiudi gli occhi, indovina dove sono e cosa sto toccando!” o ancora “indovina a cosa sto pensando”), ma anche alla costruzione di una bizzarra, liberatoria danza della moka, giocata sul ripetere e plasmare gesto e parola trasfigurandoli in un ballo da villaggio turistico. Una teatralità, tuttavia, sempre molto lucida, distesa, piana e asciutta; molta attenzione ai tempi, le pause, ai silenzi.

Il tappeto sonoro (a cura di Dario Felli) è un silenzio che si dipinge tenuamente, in climax, dei rumori della pioggia, fino al temporale. Rumore di pioggia, quest’acqua che minaccia di allagare (e far naufragare) la vicenda, in un’alluvione che minaccia di cancellare tutto, il bello e il buono della storia d’amore – e del suo evocato – indistintamente, crudelmente, e chi si salverà resta impotente, inerme testimone di una catastrofe biografica.

Con questo nuovo lavoro, che veramente speriamo abbia modo di trovare la distribuzione che merita, Businaro allestisce il dispiegamento di una vicenda di per sé semplice e lineare, il cui valore intrinseco sta nel diventare complessa, nel momento in cui si sceglie di mettere in scena l’azione – e quindi mostrarla – per un occhio esterno, ma anche incalzando sincronicamente le due diverse soggettive dei personaggi, quindi trasformando quell’occhio esterno, per osmosi, nell’occhio attivo interno all’azione.

La scena diventa un campo in cui la biografia, la drammaturgia e la laboratorialità si incontrano e si intricano a più nodi con il tragico della rappresentazione e con la drammaticità del reale. Ed ecco che i registri della realtà storica e dell’evocazione immaginifica convivono perfettamente: la dimensione metafisica del ricordare e figurare (o figurar-si) il compagno (o la compagna) che non è più con noi – rievocandone le registrazioni audio dallo smartphone o riascoltando la canzone preferita – sta sullo stesso piano materiale della bellissima torta di compleanno – da distruggere e rovinare mangiandola voracemente con le mani -, e della moka di un caffè al fuoco che sembra non salire mai.
E solo quando tutti i ricordi saranno ormai avvenuti, come nodi di un groviglio indipanabile, e quando anche l’irreversibile avrà preso forma, finalmente, dalla prima fila di platea, arriverà borbottante come un’epifania il tanto agognato caffè, come una salvifica fumata bianca.

NAUFRAGIO
Produzione Tib Teatro
regia e ideazione Alessandro Businaro
drammaturgia di Stefano Fortin
assistente alla regia Chiara Businaro
con Grazia Capraro e Vassilij Gianmaria Mangheras
suono di Dario Felli
tecnico luci e suono Francesco Manzoni

Durata: 1h 10’
Applausi del pubblico: 4’

Visto a Belluno, Teatro Comunale Dino Buzzati, il 19 dicembre 2023
Anteprima nazionale

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