Nella Sweet Home Europa di Carnevali: questa è Casa nostra

Matteo Angius e Michele Di Mauro (photo: Valeria Tomasulo)
Matteo Angius e Michele Di Mauro (photo: Valeria Tomasulo)
Matteo Angius e Michele Di Mauro (photo: Valeria Tomasulo)

Ordine e disordine, frammentazione e ricorsività, allusività e gioco, geometria e libertà, leggerezza e dramma, fedeltà e infedeltà, coraggio analitico e rinuncia a una teorizzazione che preveda una pragmatica: sono queste alcune tra le endiadi o antitesi che possono descrivere “Sweet Home Europa”, testo di Davide Carnevali (ora pubblicato da Cue Press) messo in scena a Roma da Fabrizio Arcuri nella sala A, per l’occasione riaperta, del Teatro India.

Il testo di Carnevali, tra i drammaturghi italiani under 40 più interessanti di questi anni, finalista con “Sweet Home Europa” al Premio Riccione 2011, vuol essere un affresco contemporaneo sulla storia e la crisi dell’Occidente attraverso il tema, quanto mai attuale, dell’integrazione dello straniero: “A quasi vent’anni dalla nascita della UE, la Grande Casa Europea è un “cantiere ancora aperto”, come lo definiva Gorbaciov. Ma in che direzione stanno andando i lavori? – si chiede Carnevali – Stiamo costruendo uno spazio privilegiato per la garanzia dei diritti umani, o stiamo solo recintando una proprietà privata per vietarne l’accesso a chi non è desiderato?”.

Ordinata è la scenografia della messinscena prodotta da Teatro di Roma: tre porte di faccia al pubblico lasciano passare tre carrelli, ora carichi di un personaggio, ora di un oggetto scenico. Un ordine che si farà, man mano, disordine. Nell’accumularsi delle scene infatti gli oggetti si affastellano, si moltiplicano, sporcano la geometria della scena: gatti finti dal miagolio elettronico, un divano gonfiabile, un gommone, un frammento di scenografia crollato dall’alto, giochi di fuoco e sbuffi di fumo causati da esplosioni in scena.

Frammentato è il testo in dodici quadri, numerati con videoproiezioni, in cui i tre attori (Matteo Angius, Francesca Mazza e Michele di Mauro) sono altrettanti personaggi neutri, nominati genericamente Uomo, Donna, Altro uomo.
I quadri sono legati dalle volute di un filo di parole ricorrenti, concetti e storie che emergono nel loro ambiente naturale (antichi e incomprensibili riti, gesti ripetuti e simbolici), che tornano a farsi sentire, a insinuarsi quasi come un’ossessione di temi che le diverse situazioni sono costrette a vedersi ripiombare addosso, magari anche solo con un ruolo di disturbo.

Come le parole, tornano poi le cose: una stoffa stampata da carta geografica, delle monete nel fondo di una tasca, branzini e fiori di plastica…

In modo allusivo capiamo che l’Uomo apparterrebbe alla sponda europea del Mediterraneo, l’Altro uomo a quella africana, o comunque ad un altrove che ha rapporti economicamente brutali con il nostro continente.

La Donna è invece alle prese, ancora, con i problemi della parità e dell’uguale dignità, di qua e di là dal “muro”, o del “mare”: ora è madre di emigrato, ora cameriera che si presta anche ad altri servizi a vantaggio di un datore di lavoro-uomo d’affari…

Il tenore dei temi allusi (incompatibilità, sfruttamento, filisteismo) non indirizza però lo spettacolo in una direzione di pura e aperta denuncia, bensì frammischia temi e toni in maniera assai efficace, generando un gioco in equilibrio tra leggerezza e dramma, fra geometria e libertà in cui prendere le misure della fruizione è tanto semplice al momento, quanto difficilmente razionalizzabile nel dopo.
Dove si sta andando? Si ride, giacché si ride, ma “bene” o “male”? Di noi o di qualcun altro?

Il testo di Carnevali, presentato nella sua interezza, senza tagli o rimaneggiamenti, è lasciato libero di parlare anche per mezzo di didascalie proiettate, in cui l’autore suggerisce le musiche di scena più adatte, indicazioni che Arcuri volutamente ignora affidando gli intermezzi musicali alla cantante/performer NicoNote e a Davide Arneodo e Luca Bergia dei Marlene Kuntz, con cui già aveva lavorato in passato: fedeltà e infedeltà allo stesso tempo.
Anche l’andamento della recitazione, il ritmo e la tensione dei dialoghi sono rilassati; non evitano il rapporto diretto con il pubblico né un certo compiacimento sulla ricorsività sopra accennata, che rischia a volte di farsi tormentone, dando l’impressione di una serena e comoda libertà.

Così, quadro dopo quadro, si tentano di tracciare i confini di quest’Europa (ma, parafrasando l’autore, “quello che accade qui […] In fondo non importa nemmeno dove e quando accada”), scegliendo come in laboratorio delle situazioni pratiche e riconoscibili, ma sempre sottoposte a una distorsione grottesca, a volte urticante, fino in alcuni casi a essere completamente sospese dalla realtà, immerse in atmosfere dell’assurdo, in una congerie di elementi tematici di piccola mole, collegati e frullati gli uni con gli altri a generare un impasto dolorosamente contemporaneo, complesso per il delicato e continuo obbligo che impone, in chi assiste, di regolare e talvolta mutare le lenti interpretative attraverso le quali si guarda il palco.
Costantemente indeciso tra microscopio e cannocchiale, occhio nudo, o persino chiuso, vergognoso e spiazzato, il pubblico è infine semplicemente lasciato solo con un crudele senso di divertimento, di irresolutezza sul da farsi, e sul come esserci qui, oggi.
L’ultima replica oggi alle 18. E a giugno a Parigi, nell’ambito del progetto Face à Face – Cantieri d’Europa, al Théâtre de la Ville.

SWEET HOME EUROPA
Una genesi. Un esodo. Generazioni

di Davide Carnevali
regia: Fabrizio Arcuri
con: Matteo Angius, Francesca Mazza e Michele di Mauro
musiche composte e eseguite dal vivo da: Davide Arneodo, Luca Bergia (Marlene Kuntz) e NicoNote
ideazione progetto scenico: Andrea Simonetti
sculture sceniche esplosive di Riccardo Dondana (3tolo) e Enrico Gaido
assistente alla regia: Francesca Zerilli
produzione: Teatro di Roma

durata: 2h 10′
applausi del pubblico: 3′

Visto a Roma, Teatro India, l’11 aprile 2015

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