“Ci ammazzano i figli e noi ne facciamo altri: c’è sempre un modo per porre rimedio”, lo diceva un abitante di Jenin, paese della Cisgiordania, nell’omonimo documentario del cineasta palestinese pluricensurato, Mohammad Bakri.
‘Altri’ figli di Jenin, tra i dieci e tredici anni, sono i protagonisti di “Nero Inferno”, prima tappa di una trilogia quasi dantesca, sicuramente non salvifica, del Gruppo Ponte Radio.
Trenta minuti d’inferno, un cammino che parte dalla terra, dalla ricchezza della “materia” nascosta nel sottosuolo palestinese, pulsante e non visibile solo in apparenza (nera, appunto), per dirigersi verso altezze più leggere, ariose, luminose.
Tredici ragazzini schierati sul palco: un insieme corale di frammenti in movimento, pezzi di ricordi e di sogni, coraggiosi “guerrieri” dietro a pannelli, con i quali giocano a nascondersi, scoprirsi, mescolarsi, a volte lasciando cadere a terra la propria armatura.
Il buio ammanta la scena e i piccoli corpi, sopra la loro testa è sospesa una luce, una sorta di “daimon”, che si accende e si affievolisce a seconda del calore della vicinanza, creando un chiaroscuro che non illumina nulla.
Lo spettacolo, ideato da Alessandro Taddei, Enrico Caravita e Valentina Venturi, porta avanti un percorso intrapreso con l’antecedente “Sul Confine”, presentato al Festival di Sarajevo e al Nobodaddy di Ravenna, dove bambini bosniaci e italiani dividevano la scena.
La volontà di questo lavoro non è quella assistenziale o salvifica, ma quella di creare dei ponti tra comunità distanti e diverse tra loro, coinvolgendo gli abitanti di questi luoghi in “giochi” creativi.
La costruzione dello spettacolo, infatti, è partita da un insieme di disegni che i bambini del Cultur Centre di Jenin hanno realizzato sulla suggestione della frase: “Aria che porta al mare, che chiuso in gabbia diventa donna, che è vita, che è terra”, scelta dal Gruppo Ponte Radio e recitata in scena durante la performance. E se la prima tappa di questa trilogia è cromaticamente rappresentata dal Nero, le successive saranno ambientate nella comunità turca di Berlino (Rosso, previsto per il 2009) e in Libano (Bianco, programmato per il 2010).
Al di là dell’apprezzamento per il progetto e l’idea sposata dal gruppo romagnolo, un punto di rammarico va ad una costruzione registica troppo scolastica, basata su giuste distanze, tempi cadenzati, movimenti ordinati, che fa apparire i bambini più come tanti soldatini, che come scoppiettanti e scompigliate lucciole dantesche.
Forse l’importanza del festival e del luogo (la Biennale Teatro di Venezia) hanno fatto prevalere la necessità di una buona organizzazione e pulizia della rappresentazione, a discapito però di emozionati e fragili imperfezioni, prosciugando quella parte creativa da cui era partito lo spettacolo stesso.
Il risultato? Un “inferno” ben costruito ma poco bambino.
NERO INFERNO
ideazione e testo: Alessandro Taddei, Enrico Caravita e Valentina Venturi
regia: Alessandro Taddei
interpreti: Aahmed Mather Jamal, Ali Omer Awad, Mohammed Waseem Aljaiuossi, Feker Taher Ateeq, Haya Ghazi Abufarha, Khalil Ghasan Habbalrih, Layth Abd Alkareem Shalamish, Mohammad Ra’ed Abukhalil, Naser Ra’ed Abukhalil, Omar Ahmed Shalamish, Qossay Roshdi Shaban, Rimah Mousa Ararawi, Rina Moustafa Alnajjar, Renad Nihad Abdallah, Mohammed Yyousef Awad
durata: 33′
applausi del pubblico: 2′ 15”
Visto a Venezia, Teatro Piccolo Arsenale, il 1° marzo 2009
40° Festival Internazionale di Teatro di Venezia