La NID, New Italian Dance Platform, che si tiene biennalmente in una città sempre diversa del nostro Paese, è una ghiotta occasione per rendersi conto dello stato dell’arte nel campo della danza contemporanea, presentando uno spaccato importante di ciò che si produce in Italia, scelto quest’anno tra più di duecento proposte da un’apposita commissione, creata ad hoc.
Reggio Emilia, nei suoi luoghi teatrali più prestigiosi, ci ha quindi accolti dal 10 al 13 ottobre insieme a quasi 400 tra appassionati, critici, studiosi e operatori giunti da tutto il mondo, e qui abbiamo potuto assistere a 24 creazioni e a otto open studio, coreografie ancora in evoluzione.
Se il claim di questa quinta edizione è stato (RE)think dance, dobbiamo subito dire che, in generale, non siamo stati catapultati in un mondo così stimolante e sorprendente come avremmo voluto, e anzi, soprattutto da parte di alcuni ensemble più consolidati, abbiamo assistito ad una serie di performance assai tradizionali, spesso senza emozione, punteggiate da noia.
Ciononostante, abbiamo potuto anche sperimentare dal vivo un mondo palpitante di sollecitazioni, legate soprattutto a singoli performer o a giovani coreografi a cui è stato concesso di lavorare proficuamente con altri giovani interpreti, come è stato il caso di Nicola Galli e Andrea Costanzo Martini.
Il ventisettenne Nicola Galli, in “De Rerum natura”, nato per sei giovanissimi interpreti del Balletto di Toscana Junior e ispirato al poema latino di Lucrezio, ha proposto una specie di cosmogonia di poetiche immagini in cui lo spazio scenico, pian piano, si popola di un universo riconoscibilissimo eppure mai didascalico di corpi, attraverso i quali la natura viene reinventata e nella quale possiamo cogliere il risvegliarsi della vita, il suo crescere e respirare in sintonia con il resto del mondo, e infine il suo morire. Nella seconda parte della performance sono poi la luce ed il buio ad essere protagonisti, in un gioco tecnologico che interagisce con i corpi in scena, di grande e significante effetto.
Di converso Andrea Costanzo Martini, in “Intro”, azione coreografica nata per quattro giovani danzatori del Balletto di Roma, esce dalla natura per parlare più profondamente dell’uomo e della sua trasformazione, del suo passaggio dall’infanzia all’adolescenza e di come il corpo si espande, e si presenta nei mille modi che il caso e il tempo può disegnare.
Abbiamo anche assistito a creazioni che hanno solleticato in modo vivo le emozioni e il nostro bisogno di felicità.
Di potente e luminoso coinvolgimento abbiamo trovato il meraviglioso “Bermudas” di Michele di Stefano che esprime, in modo fantasmagorico, la gioia di danzare e nel contempo di vivere.
Qui i danzatori escono ed entrano a far parte del nostro sguardo, in un continuo turbinio di gesti e di colori davvero sorprendente tanto che, a differenza di altre coreografie viste, questa non vorremmo che finisse mai.
La stessa gioia, che si trasmette in modo vivifico nello spettatore, è quella percepita in “Graces” di Silvia Gribaudi, che dopo il successo di “R.OSA”, questa volta mette sé stessa proditoriamente in scena danzando. E lo fa, con tutta la sua corposa e fragile presenza, insieme a tre uomini di grande e potente presenza: Siro Guglielmi, Matteo Marchesi ed Andrea Rampazzo, omaggiando e nello stesso tempo destrutturando ironicamente sia la danza sia la bellezza, con un occhio di riguardo per Canova. Ma quello che maggiormente interessa a Gribaudi, come del resto ci aveva dimostrato in “R.OSA”, è il rapporto con il pubblico, che sta al gioco. Per noi che guardiamo da lontano: prendere o lasciare.
Il rapporto stretto tra danza e musica torna con tutti i suoi crismi in “VN” di Cristina Kristal Rizzo, che fa ballare undici bravissimi performer sullo splendido “Verklarte Nacht” di Schönberg, pezzo incantevole per orchestra d’archi, che viene rimodulato attraverso una danza modernissima di pregevole essenza e fattura.
Uno dei pochi rapporti di senso tra gesto e parola visti a Reggio Emilia, lo abbiamo trovato in “Avalanche” per opera Marco D’Agostin, in scena con Teresa Silva.
I due performer rappresentano due esistenze che intendono ricostruire, con nuove espressività, il loro mondo distrutto da un’inesprimibile valanga. Cercano, attraverso il movimento del corpo, di ridare senso al mondo, inframezzandolo con frasi smozzicate, sibili di senso, frasi di flebile speranza, e accompagnandolo attraverso le suggestioni sonore di Pablo Esbert Lilienfeld.
Ecco poi venirci incontro il corpo del tutto particolare di Chiara Bersani, che si aggira per lo spazio scenico vicino a noi, guardando negli occhi gli spettatori, simile a una medusa caravaggesca ammaliante ma benigna. In “Seeking Unicorns” l’andare e il venire di quel piccolo corpo difforme diventa il vero e proprio incedere di una misteriosa creatura, che ad un certo punto si esprimerà con la voce meravigliosa di una piccola tromba.
Tra gli otto studi presentati nella bellissima e funzionale sede della Fonderie, abituale sede di Ater Balletto, abbiamo gradito molto – oltre ai 14 minuti di “O” di Philippe Kratz visto in altro contesto alla Cavallerizza” – “Les Misérables” su coreografia di Carlo Massari.
I protagonisti sono quattro esseri che si muovono all’unisono, pur con qualche divertente e significante sbavatura, quattro buffi “brutti anatroccoli” che lanciano al pubblico una serie di stereotipi, di luoghi comuni diventati imperanti, accompagnati alla fine anche con il ritmo amatissimo del “Flauto magico” di Mozart.
E finiamo con una delle compagnie che riesce ancora, dopo tanti anni di carriera, ad emozionare. “La morte e la fanciulla” della compagnia Abbondanza Bertoni, storico ensemble che seguiamo da oltre trent’anni, propone uno spettacolo che, sulle note del sublime quartetto di Schubert, nella sua complessità racchiude tutto ciò che la grande danza dovrebbe possedere. Ci riesce attraverso le suggestioni di tre magnifiche danzatrici che, nude nella penombra, ci invitano a misurarci con il nostro inevitabile destino di esseri fragili, nella nostra meravigliosa e melanconica caducità.
Ma in questa edizione della NID c’è stata un’importante novità, nel tentativo di rafforzare i legami internazionali: la nuova partnership con ICK Amsterdam, il centro coreografico olandese diretto dai coreografi Emio Greco e Pieter C. Scholten. A partire da quest’anno e, successivamente nel 2020 e 2021, un artista selezionato da NID avrà la possibilità di partecipare al ICKFest, festival che si svolge nella capitale olandese ogni anno in autunno. Per l’edizione 2019, che si terrà la prossima settimana al Theater Meervaart, è stato selezionato proprio Nicola Galli con “Mars”, terzo episodio della ricerca coreografica dedicata al sistema planetario, che andrà in scena il 27 ottobre.