Da No Bautizados a Guy Nader e Maria Campos. Appunti dalla prima settimana di Interplay

No Bautizados (photo: Andrea Macchia)
No Bautizados (photo: Andrea Macchia)

Gil Kerer, Jacopo Jenna, Bolognino, Ertza, Marcat Dance… Tanti i nomi del contemporaneo scelti da Mosaico Danza per i primi giorni del festival

In mezzo a una strada d’una periferia multietnica, con il movimento del quartiere in un assolato sabato pomeriggio, un telo bianco si staglia sull’asfalto mentre il pubblico si siede a terra o prende posto ai margini della scena.
Si apre così la prima giornata di Interplay 22. Che ospita, per il Focus dedicato alla Spagna, tre performance molto diverse fra loro.

Per la prima volta in Italia, “Lo invisible” accoglie il pubblico con movimenti lenti e fluidi. Katia Humenyuk e Rolando Salamé, della compagnia No Bautizados, mettono in scena una ricerca di sé che affronta stadi diversi. La performance si anima (anche musicalmente) in un dialogo e in un alternarsi di ruoli – a tratti giocoso, in altri lotta dissacrante – tra maschile e femminile. Mentre l’umanità varia del quartiere, soffermandosi stupita o affrettando il passo, incrocia le figure in scena.
Chi siamo noi? Ce lo chiediamo leggendo le note sullo spettacolo ma anche guardandoci attorno, soffermandoci su volti dalle mille storie, e poi seguendo l’evolversi di una danza che a un certo punto richiamerà perfino la trance sciamanica, in uno scambio irrisolto di personalità in ambigua alternanza: chi prende il sopravvento? Chi si carica sulle spalle – letteralmente – il peso della propria identità?

Ci immerge in un’atmosfera diversa “Azzurro” di Marcat Dance, compagnia fondata nel 2016 dal coreografo Mario Bermudez. La ricerca sul movimento sembra qui diventare obiettivo prevalente, in una commistione molto dinamica che cita, in modo ironico, perfino la danza classica. Protagonisti lo stesso Bermudez insieme a Catherine Coury e Violeta Wulff, in un continuo scambio che evidenzia una ricerca della compagnia sui nuovi linguaggi in cui rimane più oscura la drammaturgia a favore dell’estetica del gesto.

Corpi in equilibrio dinamico, relazioni di forza, una stabilità trovata e poi persa, l’impatto e lo scontro dei protagonisti. “Dye dye” della compagnia Ertza unisce i linguaggi della danza contemporanea alla break dance, fondendone le diversità. Fino a trovare l’equilibrio di forze respingenti, di visioni non univoche: è la strada. Ed è la break dance, che sulla strada è nata.
Veniamo poi catapultati in una sorta di ‘secondo tempo’ marcato di viola. L’unione sembra essersi realizzata: c’è qualcosa a legare ora quei corpi. Le mani s’imprimono sul palco bianco, lasciando segni. L’aria si colora di vita e le polveri si amalgamo in un nuovo rapporto. E in un potente finale.

Dye dye della compagnia Ertza (photo: Andrea Macchia)
Dye dye della compagnia Ertza (photo: Andrea Macchia)

Abbandoniamo gli artisti spagnoli e torniamo in Italia per una performance itinerante attraverso il quartiere. Corpi si affacciano ai balconi al passaggio chiassoso e scomposto di una ciurma di persone capitanate da Sara Sguotti, Nicola Simone Cisternino e Pietra Tonale Collective Band Orchestra. Movimenti e musica live si intrecciano per le strade e ai semafori, tra cammino e brevi soste verso la tappa finale della giornata. Visi bambini sbucano qua e là dalle finestre, a sfidare la curiosità.

Ci spostiamo a teatro per la serata del 24 maggio alla Lavanderia a Vapore di Collegno, che tiene a battesimo due prime nazionali, quelle del coreografo israeliano Gil Kerer e del duo spagnolo Carla Cervantes Caro e Sandra Egido Ibanez, insieme al debutto piemontese del nuovo lavoro di Jacopo Jenna dal titolo “Some Choreographies”, spettacolo di cui avevamo già parlato in occasione dell’esibizione milanese nell’ambito di Danae Festival 2021 e di recente ospite della NID Platform a Salerno.

Jenna concepisce, attraverso i movimenti di Ramona Caia e il contributo delle immagini (curate da Roberto Fassone) proiettate sullo sfondo, un dialogo autoreferenziale sulla danza imperniato sulle concitate sequenze filmate che scorrono alle sue spalle: immagini di repertorio, tratte dal quotidiano o da eventi sportivi, da riti tribali o da maestri immortali di danza, cultura pop e cultura alta… Insomma, tutto quanto è gesto può fungere da azione scenica ed essere rivisitata in chiave contemporanea.
ll ritmo tambureggiante della visione alterna tratti in cui la perfetta sincronia fra interprete in scena e immagine in video ha il potere di materializzare, nel corpo della Caia, ciò che scorre sullo schermo a frangenti in cui la performer, simulando qualche piccola titubanza, pare stia apprendendo e provando per la prima volta quei frammenti di coreografia.
Nella seconda parte di spettacolo il video prende il sopravvento e assistiamo ad una dimostrazione delle molteplici origini di un’azione coreografica: formiche che trasportano un ragno morente, lombrichi striscianti nel fango, nuvole di passaggio, addirittura i globuli rossi danzano. Una coreografia del cosmo che paralizza per la sua potenza e immediatezza, e candidamente offre una risposta alla domanda: che cosa è danza? Tutto quanto è danza. Semplice.

Some Choreographies di Jenna (photo: Andrea Macchia)
Some Choreographies di Jenna (photo: Andrea Macchia)

Anche in “Concerto for Mandolino and String in C major by Vivaldi” Gil Kerer e Lotem Regev fanno i conti con le commistioni fra modernità e tradizione, suono popolare (quello del mandolino) e musica colta. La loro è una danza giocosa poggiata sui tre movimenti che formano la composizione vivaldiana datata 1725. Tre fasi in cui la brillantezza e l’energia, che caratterizzano i virtuosismi allegri del primo e terzo movimento, si alternano alla delicata lentezza del secondo movimento; tre momenti di una relazione umana basata su incontro e conflitto, conoscenza e confidenza, umorismo e leggerezza. Lo vedremo in scena anche all’interno del Festival Opera Prima, a Rovigo dal 15 al 19 giugno.

Con “Cuando Somos” ci immergiamo nel tema dell’identità di genere attraverso le azioni coreografiche di Carla Cervantes Caro e Sandra Egido Ibanez, danzatrici e coreografe molto popolari in Spagna grazie alla partecipazione, in veste di giudici, ad un noto talent show iberico incentrato sulla danza.
Anche in questo pezzo, della durata di circa 15 minuti, sono i rapporti umani ad essere indagati, l’intimità che li rende unici e l’ambiguità che diviene forza, una volta acquisita la necessaria consapevolezza. I corpi delle due performer (stessi pantaloni arancioni e maglietta trasparente) danno vita a figure coreografiche a cavallo fra danza contemporanea, contorsionismo e break dance. Due entità separate che intrecciandosi danno vita ad un’entità terza e unica in grado di confondere lo sguardo e affascinare le percezioni. Due identità che si dibattono nel desiderio di essere un tutt’uno. Gli applausi convinti attestano l’apprezzamento del pubblico.

E’ all’insegna della giovane danza d’autore la serata del 25 maggio alla Lavanderia a Vapore.
Apre Adriano Bolognino con “Gli amanti”, ispirato alla coppia di calchi pompeiani rinvenuti nel 1992. Chiamati Gli amanti in epoca fascista, la storia dei questi corpi ha avuto numerosi colpi di scena negli ultimi anni: da amanti sono diventati madre e figlia, ed ancora due giovani uomini. Certo è che, guardando le immagini dei due calchi, non si può non pensare alla cura e all’amore, qualsiasi esso sia.
In scena Rosaria Di Maro e Giorgia Longo danzano il corteggiamento, in un rito che a tratti ricorda quello degli animali che si sfidano nella bellezza. Come due giovani anfore i corpi si riflettono uno nell’altro rispecchiando il desiderio del contatto, della relazione. Un danza fatta di angoli e movenze che ci riportano, grazie anche ai costumi e alle musiche, in un momento fissato nel tempo, fino a ritrovare quei corpi vicini, ad attendere insieme l’inevitabile. “Gli amanti” diventano un inno all’amore aldilà dei generi e del tempo.

Gli amanti di Bolognino (photo: Andrea Macchia)
Gli amanti di Bolognino (photo: Andrea Macchia)

E’ sicuramente affascinante e struggente “Talk about death” della giovane coreana Nan-Hee Yook, che si ispira alla tradizione coreana delle cerimonie funebri per esplorare la relazione con la morte. Queste cerimonie si concentrano da sempre sul concetto di aiutare i propri cari a compiere un passaggio facile e pacifico verso l’aldilà. E la danza qui appare davvero come l’estrema cura verso l’altro da noi, come un accompagnamento reciproco verso un passaggio.
Nan-Hee Yook e ChanKiu Woo costruiscono il movimento attorno ad una piccola cassa bianca che diventa non solo metafora di bara, ma anche di rifugio e di casa.
La morte allora non è solo il peso da portare (come una croce) ma può diventate anche liberazione, uno spazio da abitare, un nascondiglio dove riprendere fiato.
Le musiche originali di Peter Mitchell e il disegno luci sono complici di un’atmosfera in cui i due giovani corpi, vestiti di bianco, si avvicinano per poi distaccarsi nell’addio. O nel prossimo arrivederci in un altro mondo.

La serata si chiude con “Idillio” di Lorenzo Morandini, classe 1993, un inno liberatorio dalle convenzioni. Dalla timida scoperta dello spazio che parte dal suono della natura, Lorenzo ci conduce nella sperimentazione di un movimento che non ha vergogna di scompaginare regole e limiti. Allora il corpo si lascia andare nella destrutturazione attraverso tecniche ed epoche. E’ un giocare con i generi attraverso equilibri nuovi, attraversare la musica senza timori, in un crescendo continuo.
E’ irriverente “Idillio”, come dev’essere un’idillio con sé stessi, come dovrebbe essere la ricerca senza vincoli. La ricerca per eccellenza.
Morandini ci fa venire voglia di scendere in scena per danzare fino alla liberazione, senza remore. Di ritrovarci padroni del nostro corpo fuori dagli schemi e dagli stereotipi.

In scena il 26 al Teatro Astra, “Set of Sets” del libanese Guy Nader e della spagnola Maria Campos si conclude con lunghi e meritati applausi e ovazioni da parte del pubblico, a sala piena, come a stringere i sette danzatori (tre donne e quattro uomini, tra cui gli stessi autori) in un grande abbraccio di riconoscimento e ringraziamento.
Lo spettacolo mette in scena la ciclicità dell’esistenza, la circolarità del tempo, il tentativo continuo di sfidare la forza gravitazionale per accedere a chissà quale altra dimensione, ambita e preclusa. I danzatori disegnano nello spazio cerchi che a poco a poco si intersecano, si attraggono, si respingono o si scontrano come palline di mercurio. Il movimento, sempre generato da un contatto – degli occhi, di una schiena, di un piede – evolve in un gioco di forze propulsive e di abbandoni che si alternano e si bilanciano, al ritmo scandito dal percussionista in scena, il cui ruolo fa pensare al grande “orologiaio” di memoria volterriana: suoni metallici, ora profondi ora ariosi, echeggianti, loop e sequenze creati dal talentuoso Miguel Marín.
Ciclico e ripetitivo anche l’uso delle luci, come a segnare il passaggio delle ore, e suggestivo il gioco d’ombre creato sui teli bianchi che circondano la scena. Eleganza e leggerezza contraddistinguono questa performance, molto impegnativa sul piano fisico, ma anche tanto pensiero: facile perdersi in suggestioni sullo spazio-tempo che vanno da Eraclito a Deleuze.

Set of Sets (photo: Andrea Macchia)
Set of Sets (photo: Andrea Macchia)

Il festival propone stasera all’Astra l’anteprima nazionale di Giselda Ranieri “Re:Play” seguito da “Round Trip” di Roberto Tedesco e MM Contemporary Dance Company, e a chiudere la serata “Brutal Love Poems” di Thomas Noone ancora con la MM Contemporary Dance Company. Il festival prosegue il 30 e 31 maggio con Carlo Massari, Ambra Senatore, Manfredi Perego… E ancora, nei giorni successivi, Collettivo Mine, B.Dance, Lasala, Integrated Dance Company e tanti altri ospiti – italiani e stranieri – per un festival che apre le porte all’estate.

0 replies on “Da No Bautizados a Guy Nader e Maria Campos. Appunti dalla prima settimana di Interplay”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *