Noah’s ark. L’arca di Janusz Wisniewski naufraga nel mare d’Europa

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Noah's Ark
Noah’s Ark (photo: arenadelsole.it)

L’ARCA DI NOÈ. LA NUOVA FINE DELL’EUROPA
scritto e diretto da Janusz Wisniewski
musica: Jerzy Satanowski
coreografia: Emil Wesolowski
con: Miroslaw Kropielnicki, Mariusz Puchalski, Antonina Choroszy, Daniela Poplawska, Michal Grudzinski, Janusz Grenda, Radoslaw Elis, Pawel Binkowski, Edward Warzecha, Aleksander Machalica, Nikodem Kasprowicz, Lukasz Mazurek, Tadeusz Drzewiecki, Jagoda Stach, Marta Szumiel, Jaschka Laemmert, Franz Solar, Alexandra Finder, Grzegorz Golaszewski, Ewelina Dubczyk, Alessandro Lombardo, Liat Glick, Shredy Jabarin, Florie Bajoku, Mandar Purandare
produzione: Teatr Nowy im. Tadeusza Lomnickiego in Poznan (Polonia), Arena del Sole – Nuova Scena Teatro Stabile di Bologna (Italia), Hessisches Staatstheater Wiesbaden (Germania), Schauspielhaus Graz (Austria), The Cameri Theatre of Tel Aviv (Israele), The National Theatre of Kosovo, Pristhina (Kosovo)
durata: 1h 17’
applausi del pubblico: 2’ 31’’

 

lettera N

oè. Il sopravvissuto del Vecchio Testamento. C’è ma non si vede. Lo cerchiamo nel testo e nelle situazioni. Disagio. Una sposa che cerca marito. Sangue e brandelli. La sua arca sarà solo un pretesto, il risultato sarà diverso.

 

 

lettera O

rdine e disordine della Vecchia Europa, che appare grazie a vari linguaggi scenici che si mescolano. Melting pot teatrale. Pubblico che si distrae e si perde dopo poco. Inevitabile.

 

 

lettera A ddio. Incipit: Polonia, paese capofila della coproduzione. Commiato a una strage. 10 aprile 2010: un incidente aereo uccide il gotha delle istituzioni polacche tra cui il presidente. Il regista Janusz Wisniewski sale sul palco e intona l’eterno riposo polacco. Nello spettacolo, la produzione polacca è affiancata da Germania, India, Israele, Italia, Kosovo, Austria. Paesi con storie talvolta difficili. Tormenti geografici. Geografia culturale per un teatro europeo. Le premesse sono buone.

 

lettera Hindi e altre cinque lingue: polacco, tedesco, ebraico, italiano, albanese. Un’infinità di facce e sei lingue da ascoltare, immaginare. Voci che adulano, volti che interrogano. Scambi di voci. Voci non vedenti. Musica di parole insignificanti. Suggestioni vocali solo accennate.

 

 

 

lettera S

pettacolo-cabaret. Cafè-chantant. Collezione di personaggi. Gamba alzata e passetti brevi in una danza ripetitiva espressionista. Pregevole estetica di gruppo e nei movimenti sincronizzati. I personaggi (talvolta in coppia) sembrano animali danzanti nell’arca musicale.

 

 

 

lettera A

rca. Interna alla scena e esterna al pubblico. La salvezza dal chaos, il chaos dentro di noi. Arca metaforica. Arca come incontro e confronto tra culture teatrali diverse. Unità e differenze. Arca come incubo invece che salvezza. Morte ciclica. Si salverà questa arca? Si salverà la nuova Europa del teatro?

 

 

lettera R

ipensando a ciò che ho visto: spettacolo troppo astratto, un testo che si perde. Un poema? Una saga? Pretenzioso, pesante eppure sferzante. Poetico ma noioso. Personaggi troppo distanti per un’Europa teatrale che naufraga. Un’occasione perduta anche se talune interpretazioni – macchiette meravigliosamente monotone – sono convincenti.

 

 

lettera K

antor? Burattini. Manichini. Ceroni. Nulla più. Memoria dell’uomo e precarietà dell’esistenza s’intravedono, ma lasciamo in pace i morti. Almeno stavolta.

 

 

Visto a Bologna, Arena del Sole, il 10 aprile 2010

 

 

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