Capita alle volte che delle ovvietà si tramutino in profonde verità. In fondo i luoghi comuni diventano comuni proprio perché sono “frequentati” da molti. E allora, sarà banale a dirsi, ma è bello scoprire che ogni incontro è diverso dall’altro. Venivamo da quello con Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia, in cui si erano spese parole amare sull’attualità del teatro contemporaneo e ci ritroviamo oggi a mettere in discussione un sistema ancora più grande, quello che include tutti gli altri: la realtà. L’attrice/autrice Daria Deflorian arriva a Tor Vergata a parlarci del suo nuovo progetto, che si chiama proprio “Reality”. E visto che di questo si parla, Katia Ippaso, che è l’altra metà di questo ottavo appuntamento, la invita a raccontare “com’è andata davvero”.
Daria racconta di una domenica mattina, di come per caso si sia imbattuta, su La Repubblica, nel reportage domenicale, firmato da un giornalista polacco, dal titolo “La donna che spiava se stessa”. Yanina, casalinga polacca, per ben 54 anni ha riempito 748 quaderni con la metodica annotazione di ogni particolare delle proprie giornate, dalla quantità di mandarini acquistati ai regali ricevuti, dalle persone incontrate per strada alle “visite inaspettate”, in cui figura paradossalmente anche il marito, di ritorno dal campo di concentramento di Auschwitz.
Daria ne rimane folgorata, al punto da maturare in sé la necessità di trasformare questo “incontro casuale” in uno spettacolo.
È allora, questo appuntamento di Novo Critico, il racconto di un inizio, una esposizione, candida e per questo vera, dei frammenti raccolti. Soprattutto il tentativo di interpretarli, di comprenderne la potenza. Nel dibattito che segue l’intensa lettura di qualche stralcio del reportage, si parlerà della differenza tra “reale” e “realtà”, di una “fenomenologia della quotidianità”, di un deciso tentativo di “sedazione dell’evento”. Si dirà che la realtà comprende tanto il reale quanto lo spettacolare, l’evento, quell’atteggiamento grazie al quale sopportiamo l’incubo della ripetizione. A qualcuno viene in mente Hoffmannsthal, a qualcun altro Hannah Arendt, si arriva persino alle bislacche annotazioni di Andrea Pazienza alle proprie stesse vignette. Soprattutto, se da un lato si tenta di individuare il codice adatto a trasformare il tutto in uno spettacolo, ci si interroga se quei 748 quaderni siano già di per sé un’opera. Sì, quell’opera “è la vita”.
Novo Critico 2010. Ottavo appuntamento, 10 novembre. Daria Deflorian incontra Katia Ippaso
Intervista a Daria Deflorian e Katia Ippaso