Il 7 e l’8 ottobre, negli spazi del Teatro Eliseo di Roma, Teshigawara ha aperto l’edizione 2011 di Romaeuropa e la rassegna Metamondi
Un viaggio all’interno delle ossessioni umane, prima fra tutte, martellante e ingorda, la pulsione sessuale in ogni sua forma. Dall’attrazione palpitante di due identità separate fino alla violenza carnale, all’amore, alla possessione. Una danza che mostra il corpo umano nel suo stato originario e istintivo, il movimento vibrante e sincopato, morbido e leggero, duro e aggressivo, lo yin e lo yang della tradizione orientale, keras e manis (“forte e dolce” nei termini balinesi tanto utilizzati nella terminologia teatrale).
Ogni gesto traduce il desiderio e la danza trascende la tecnica, trasformandosi in puro stato di azione e reazione allo stato d’animo interiore. Eppure la tecnica c’è. Lo dimostrano i grandiosi danzatori e interpreti Saburo Teshigawara e Rihoko Sato, arrivati al Romaeuropa Festival lo scorso fine settimana.
Originario di Tokyo, Saburo Teshigawara ha iniziato la sua carriera di coreografo nel 1981, dopo aver studiato arti plastiche e danza classica. Nel 1985 fonda, con la danzatrice Kei Miyata, Karas (Corvo). Da allora, Karas è ospite fisso in Europa, Asia, America e Oceania. L’obiettivo della compagnia è la ricerca di “una nuova forma di bellezza”. Superando classificazioni convenzionali o storiche applicate alla danza, Saburo Teshigawara ha creato un linguaggio originale, che differisce sia dalla danza moderna, sia dal butho, con influenze provenienti dal teatro Nô, ed esplora l’interazione tra danza, arti visive e musica, per creare nuovi linguaggi poetici attraverso il corpo del danzatore, vero e proprio ideogramma vivente.
Il 7 e l’8 ottobre, negli spazi del Teatro Eliseo di Roma, Teshigawara ha aperto così l’edizione 2011 di Romaeuropa e la rassegna Metamondi. Il suo spettacolo, “Obsession”, è la tragedia di una coppia lacerata dalla forza di appuntamenti mancati. Dichiaratamente ispirata a “Un chien andalou” di Buñuel, scritto dal regista con Salvador Dalì, ne esaspera maggiormente la sensazione di dolore in ogni separazione, il senso di tragicità di ogni contatto mancato.
I due danzatori non duettano nel senso classico del linguaggio della danza, ma si avvicinano senza quasi mai toccarsi realmente, se non in pochi momenti. L’erotismo viene vissuto, in piena tradizione orientale, nelle sue sfaccettature e contraddizioni. La figura femminile si distacca da quella maschile avvolgendosi di un aurea surreale, impalpabile, attraverso la prodigiosa e affascinate lentezza del gesto, derivata dal sapiente e creativo utlizzo della tecnica butho. Quasi sospesa, galleggiante in un mare invisibile, diviene l’immagine dell’irraggiungibile, smaterializzata di fronte ad un uomo pesante nella sua essenza materica. Ogni contatto esprime la contraddizione insita dei rapporti d’amore, il piacere abbraccia il dolore, la tenerezza danza con la violenza.
I loro passi a due avvengono per lo più a distanza, lasciando il piacere del contatto solo alle proprie ombre, create magistralmente da un sottile lavoro scenico sulle luci.
Saburo Teshigawara ha ideato la coreografia, ma anche messa in scena, costumi, luci e montaggio del suono. La danza è parte integrante di una performance visiva e sonora, in cui ogni parte conferisce forza e significato al tutto. Ciò che interessa Teshigawara è il passaggio dalle tenebre alla luce: i corpi appaiono e si materializzano al contatto con l’illuminazione, cambiano morfologia e si trasformano ad ogni impulso sonoro.
Con pochi elementi decorativi, un tavolo, una decina di sedie e una dozzina di piccole luci a incandescenza fissate al di sotto delle sedie appese oscillanti dal soffitto, l’artista riesce a suggerire un universo poetico, in cui lui e la sua partner gravitano l’uno attorno all’altra, inquieti, in continuo evolversi.
La ricerca musicale, dall’elettronica rumoristica alla classica, trasporta lo spettatore in universi emozionali altalenanti. Duri sono i contraccolpi ai quali è sottoposto. La melodia del violoncello squarcia, paradossalmente, il suono elettronico e angosciante, formato da rumori martellanti e sibilanti.
Dopo mezz’ora di spettacolo, reso ricco da continui contraccolpi visivi e sonori, questa musica si impossessa definitivamente del ritmo, rallentandolo però eccessivamente. Le luci e i danzatori restano così intrappolati in una melodia ripetitiva, alla quale rispondono con una coreografia troppo a lungo simile a se stessa. L’ultima mezz’ora di spettacolo mette a dura prova lo spettatore e con lui, in primis, i danzatori, animali in una gabbia di virtuosismi fisici e tecnici.
Due corpi nervosi e pronti ad esplodere, o implodere. Una sensazione di sospensione ed eternità probabilmente studiata e cercata dal coreografo Teshigawara.
L’amore irrazionale si cristallizza, e anche qui si torna al paradosso, in movimenti ripetuti. L’ossessione non svanisce col tempo, ma si presenta lancinante e ridondante, eternamente presente.
OBSESSION
coreografia, scene, luci, costumi, selezione musicale: Saburo Teshigawara
interpreti: Rihoko Sato, Saburo Teshigawara
produzione: KARAS distribuzione International Music and Arts
durata: 60′
applausi del pubblico: 3′
Visto a Roma, Teatro Eliseo, l’8 ottobre 2011