Il debutto a Romaeuropa del testo vincitore del Premio Riccione Pier Vittorio Tondelli 2021, che però sul palco perde forza
L’Accademia della Crusca definisce la parola “boomer” come un appellativo ironico, spregiativo, ed è abbastanza curiosa e buffa l’operazione di ricerca etimologica e culturale effettuata intorno a un neologismo che vede simpaticamente contrapposti da un lato i “Baby Boomer”, i vecchi, e, dall’altro, quelli della “Generazione Z”, cioè nati tra la fine degli anni ‘90 e la fine dei ‘00.
Qualcosa del genere era già esploso con il film “Trainspotting” del 1996, tratto dal libro omonimo di Irvine Welsh. Piccolo come un germe, incubava nel celebre monologo, inno alla vita: “Diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l’apriscatole elettrico; buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d’ufficio, bravo a golf, l’auto lavata, tanti maglioni, Natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai”.
Quasi un manifesto programmatico, una tendenza che vede contrapposti due gruppi, noi e voi. Noi diversi da loro. Ma chi siamo noi e chi sono loro?
Di incontri/scontri generazionali, del rapporto con il capitalismo e con la vita che viviamo tutti i giorni, ne sa qualcosa Nicolò Sordo, autore del testo “Ok Boomer. Anche io sono uno stronzo”, vincitore nel 2021 del 14° Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli”. Una drammaturgia che nel frattempo è diventata uno spettacolo teatrale e ha debuttato il 19 ottobre al Mattatoio di Roma, nell’ambito di Romaeuropa Festival. In scena lo stesso Sordo insieme con Filippo Quezel e la regia di Babilonia Teatri.
Un sabato pomeriggio, in un centro commerciale, un ragazzo di 15 anni tenta di rubare un paio di Nike Air; da quel momento in poi i riflettori si accendono sui protagonisti di quella storia e su una realtà di sfruttamento di venti bangladesi che si consuma nei sotterranei di quella struttura. Il testo delinea lucidamente un contesto, un ambiente occupato da personaggi singolari, ed è lo specchio dei nostri tempi, racconta qualcosa di noi e del nostro opulento mondo capitalista.
Mentre nel testo è vivo e vibrante un rapporto di forza, di distanza/prossimità tra boomer e younger, tra padri e figli, la regia dello spettacolo sembra livellare tutto, nella buona e nella cattiva sorte, in un lungo monologo, un inesorabile e continuo atto performativo, quasi come se non ci fossero né vincitori, né vinti tra millennials, la gen Z e i “vecchi”.
Sembra quasi mancare il coraggio di restituire l’asprezza di un confronto dialogico puro, palpabile, psicologicamente nudo tra generazioni e voci diverse, ed è un peccato, perché la forza del testo muoveva proprio dalla sostanza, dall’energia di quei dialoghi brillanti, contaminati, dinamici, e da quei personaggi onesti, tossici e asimmetrici.
Artefici di questa operazione corale risultano essere, in egual misura, tanto la regia quanto l’autore che è anche interprete, il testimonial di quel disegno e impianto registico.
La sensazione sembra essere quella di aver assistito non ad una riduzione o un adattamento del testo, ma ad un’altra visione, un’altra drammaturgia o sceneggiatura, una trasformazione radicale (non solo nella forma, quanto soprattutto nella sostanza). Un unico, prolungato, flusso di coscienza. Appiattito, omogeneizzato, spersonalizzato.
La domanda che nasce spontanea, da rivolgere a Babilonia Teatri e a Nicolò Sordo, è: «Perché rinunciare alla presenza, ai personaggi e alle loro voci, perché depotenziare i dialoghi, soprattutto quando sono efficaci nella loro dimensione esplicativa, in ragione di una cifra stilistica?».
I protagonisti sono due, ma nella prima parte dello spettacolo soltanto uno è la voce narrante; l’altro sembra essere la rappresentazione plastica dello sdoppiamento o della duplicazione dell’io novellatore.
Nella seconda parte, invece, i due attori diventano protagonisti ora di un duetto tra rockstar, quasi una canzone a due voci, ancor prima di essere uno schema a due per la restituzione di frammenti di dialoghi, ora di un’orazione liturgica, una litania in cui “Ok Boomer” sostituisce l’espressione “Ora pro nobis”.
Sicuramente “Ok Boomer. Anche io sono uno stronzo” è uno spettacolo che scorre divertendo e facendo sorridere gli spettatori, e questo può andare bene. Per chi ha letto e amato il testo, come chi scrive questo articolo, si è trattato però di un riso amaro.
È stato un duro colpo al cuore ritrovare il personaggio del padre ridotto ad un occasionale performer che entra in scena solo un paio di volte, forse tre, per compiere azioni sporadiche e incisive, ma privato della facoltà di parlare.
L’assenza fisica del personaggio transgender pesa tanto. Un’assenza che, con riferimento a quella dicotomia presente nel testo, di un mondo diviso tra buoni e cattivi, significa non concedere al pubblico la possibilità di “vedere” tutti i personaggi, di farsi un’idea precisa (senza pregiudizio) tra gli eroi e gli anti-eroi, tra i buoni e i cattivi.
Niccolò Sordo scrive: «Gli eroi sono coloro che sanno chi sono i buoni e chi i cattivi e sono sicuri di stare dalla parte giusta». La scena del banchetto finale si presta ad assolvere il compito di un’astrazione simbolica, una delle tante immagini decontestualizzate che sembrano detonare il testo anziché aumentarne la potenza.
Una coerente messa a fuoco di “Ok Boomer. Anche io sono uno stronzo” l’aveva fornita la giuria del Premio Riccione, definendo il testo di Sordo come commovente, ironico e spiazzante allo stesso tempo. Un testo in cui stai fin da subito dalla parte di tutti i protagonisti: l’adolescente simpatico, il padre comunista vecchio stile, alcolizzato come tutti i delusi, ma anche il trans che vuole salvare i sottomessi… “E mentre leggi, ridi, pensi e ti affezioni. E alla fine un po’ ti dispiaci di non conoscerli davvero, questi personaggi”.
Ok Boomer. Anche io sono uno stronzo
di Nicolò Sordo
regia, scene, interventi drammaturgici Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Babilonia Teatri
con Nicolò Sordo, Filippo Quezel
coproduzione: La Piccionaia, Fondazione Sipario Toscana, Romaeuropa Festival
testo vincitore 14° PREMIO RICCIONE “PIER VITTORIO TONDELLI” 2021 – in coproduzione con Riccione Teatro
applausi del pubblico: 3’
Visto a Roma, il Mattatoio, il 19 ottobre 2022