Al PAC di Milano per FOG 24, una performance surrealista fra architettura, scultura e natura
Un folle che parlava come uno stregone, questo era Antonin Artaud. Ferito dalla lancinante impossibilità di esprimere con le parole il proprio pensiero, avrebbe forse potuto urlare con il corpo.
E allora prova Stefania Tansini a dare concretezza a quel corpo e a quell’urlo, pervasa dalla poetica e dal demone del drammaturgo francese. Lo fa portando in scena a FOG Performing Arts – festival di Triennale Milano – l’assolo di danza “L’ombelico dei limbi”, ispirato all’omonimo libro di Artaud del 1925.
Siamo al PAC (Padiglione d’Arte Contemporanea) di fronte alla vetrata affacciata sul parco. Circa 35 metri di lunghezza davanti al verde. Una veduta pittorica, prima ancora che panoramica. Un raccordo di luci en plein air.
Tansini fa della vetrata un set cinematografico, dominato dai campi medio, lungo, infine lunghissimo. Visioni oniriche, dentro l’architettura e fuori. La danzatrice si confonde con la natura. Si muove circospetta tra i “Sette Savi” di Fausto Melotti, sculture in marmo di Carrara, sagome aliene inalterabili, giganti enigmatici che ci volgono le spalle. La seguiamo come fosse un piano sequenza. Le sculture, risalenti al 1981, conferiscono un surplus surreale alla performance sospesa tra cielo e terra, che mira di suo a esprimere un mondo alienato, un linguaggio spezzato e rinnovato, la frammentazione dell’io, lo smarrimento di un’epoca.
Il corpo s’irrigidisce, inarcandosi tra capo e piedi. Si erige tra sibili, rombi metropolitani, morbidi frastuoni naturali.
Anche i capelli entrano nella drammaturgia. Nascondono o svelano il volto. Danno forma a un senso d’angustia e inquietudine. In cui entra di soppiatto la voce, anch’essa fragile, tenue, frammentata come una statua di gesso schiantata sul suolo. A dileguarsi sono il tempo e lo spazio. Si perde la percezione del reale. Ogni solida verità è sconfessata.
All’imbrunire del cielo di Milano, anche la luce silente arricchisce questa deriva verso la follia. Sfumati via via rarefatti, cadenzati da un cambio d’abito.
Questo lavoro è somma di ossimori: rudimentale e sinuoso, levigato e spigoloso, carnale e onirico.
La luce esterna lambisce la protagonista, e dialoga con quella (dosata da Elena Gui) di nove proiettori concentrati all’estremità destra della scena.
Sincerità estrema nel confessare, senza retorica, le proprie amarezze. Crisi di pensiero. Incapacità di tradurre le ferite in pensieri, parole, coreografie.
Allucinazione e respiro. Una danza grezza. Una performance tragica e blasfema, sulla bocca di un vulcano pronto a esplodere. Un’arte iconoclasta, imprevedibile, nevrotica. Un delirante senso di misticismo.
Stefania Tansini prosegue il proprio percorso di ricerca procedendo per sottrazione. Cercando autenticità senza virtuosismi. Essenziale. Disposta a entrare nelle zone d’ombra neppure troppo dissimulate della nostra epoca. Che si muove sul crinale tra edonismo e solitudine.
L’ombelico dei limbi
progetto, coreografia, danza, costumi: Stefania Tansini
musica: Paolo Aralla
luci: Elena Gui
dramaturg: Raffaella Colombo
tutor: Silvia Rampelli
cura vocale: Monica Demuru
direttore tecnico: Omar Scala
assistente al costume: Chiara Sommariva
ringraziamenti: MeArTe – tessuti e sartoria
in coproduzione con: Fondazione Teatro Grande di Brescia, Romaeuropa Festival, Nanou associazione culturale / con il supporto di: residenza Artisti nei Territori Masque Teatro, Boarding Pass Plus Dance – Santarcangelo dei Teatri, Olinda residenza artistica, residenza da Centro nazionale di produzione della danza Virgilio Sieni, progetto Air – Artisti in residenza 2023, Lavanderia a Vapore / foto: Luca Del Pia / Stefania Tansini è sostenuta dalla Fondazione Teatro Grande di Brescia
durata: 45’
applausi del pubblico: 4’
Visto a Milano, Padiglione d’Arte Contemporanea, il 2 marzo 2024
Prima assoluta