One day. Magdalena Barile e la “fortuna” d’uno spettacolo mancato

One Day: immagine di copertina
One Day: immagine di copertina
One Day: immagine di copertina

Immaginate una vita in Italia, per esempio oggi… ci riuscite?
(da “Immagina una vita in Italia”)

Terza ed ultima ‘puntata’, stasera alle 19 al Macro Testaccio di Roma nell’ambito di Short Theatre, per presentare la performance/spettacolo – declinata anche in libro – “One day. Finalmente vivere servirà a qualcosa”: “24 ore tra Bucarest e Tijuana, ascoltando i Kiss e leggendo Brecht, rincorrendo la storia del ‘900 […] Questo era ‘One Day’, tre anni fa. Oggi è questo e la sua assenza e il suo racconto. Oggi ‘One Day’ è di meno, ma solo per poter essere di più”.

Ed ecco allora questa tre giorni di conferenza-spettacolo (stasera special guest: Dressed to Kiss) per raccontarne uno, di giorno e di spettacolo: due ore per riagganciarsi a quelle 226 pagine, curate da Simone Pacini, in cui è stato in parte raccolto il lavoro di Magdalena Barile, drammaturga e autrice non solo teatrale, e dell’Accademia degli Artefatti per uno spettacolo pensato, scritto ma infine “che non c’è stato”.

Klp ne parlò nel novembre del 2008, in occasione del non-debutto (leggi “Produzioni teatrali? One day, forse. Annullato lo spettacolo dell’Accademia degli Artefatti“). Proprio in quell’autunno, ricorda la Barile nell’introduzione al libro, Fabrizio Arcuri la chiamava tutte le mattina alle 7 per valutare i testi in fase di scrittura, prima di buttarsi nelle prove. Il risultato avrebbe dovuto essere uno spettacolo della durata ininterrotta di 24 ore.

“Con la sua pretesa di parlare del presente, ‘One day’ voleva essere uno spettacolo trasversale, indefinibile, uno spettacolo al tracollo (e i fatti gli hanno dato ampiamente ragione) per la durata, per la tenuta, per i costi e le ambizioni – continua Barile – il manifesto di un teatro canaglia che fa della continua trasformazione l’unica regola per l’espressione e la sopravvivenza dei suoi corpi/personaggi”.

Questa drammaturgia incompiuta, che parte da un brutale fatto di cronaca (il rapimento di un bambino rumeno per il mercato degli organi messicani), Arcuri la definisce “lo spettacolo più riuscito che il nostro teatro ha partorito”, perché “la sua parabola è nel bene e nel male quello che succede a tutto ciò che in Italia non accetta un compromesso”.
Così, un teatro ‘politico’ non può che intingersi in un fatto di cronaca, perché è la cronaca, oggi, il nostro standard di comunicazione, come ci ricorda Attilio Scarpellini. E proprio Scarpellini avrebbe fatto parte della maratona-spettacolo nel (realmente suo) ruolo di critico.
Del resto le collaborazioni previste con altri artisti erano diverse: dai Tony Clifton Circus (apparsi ieri sera come special guest alla seconda puntata al Macro Testaccio) fino a Luca Scarlini, dai Portage a Daria Deflorian. E proprio a lei si deve il sottotitolo “Finalmente vivere servirà a qualcosa”, frase che le uscì al telefono, spontanea ed ironica, quando Arcuri le propose la partecipazione al progetto.

Per chi si sia perso la performance romana rimandiamo al volume, edito da Titivillus, in cui sono stati raccolti 18 dei numerosi testi emersi da un lavoro a più voci, regalando a quelle parole, ancor prima di un pubblico di spettatori, la possibilità d’un pubblico di lettori.

One day. Finalmente vivere servirà a qualcosa
di Barile Magdalena
2010, 232 p.
Editore Titivillus

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