Dalle Officine Caos a Villa Rey, Mosaico Danza porta la bellezza dei corpi e del movimento tra il pubblico
Come già sperimentato nelle edizioni precedenti, Interplay 23 porta la danza anche nelle periferie. Per questo la seconda settimana di festival si è aperta alle Officine Caos, nel quartiere Vallette, sotto il segno di una vivissima e potente spinta internazionale, con un double bill fresco e potente di duetti: la firma israeliana della coreografa Or Marin con “Breathe with me a moment” e “False memories” del duo Tu Hoang e Hiro Murata, giovani danzatori coreani e giapponesi, al loro debutto come coreografi, davanti agli occhi di un fitto pubblico vividissimo, eterogeneo, curioso, attento e a dir poco partecipativo.
“Breathe with me a moment” è un duo fisico, spiazzantemente magico e trasparente nella sua semplicità di base: i due danzatori, Uri Dicker e Tomer Giat, in slip neri, danzano e agiscono su un tappeto bianco mantenendo quasi sempre il contatto, bocca a bocca, tramite un’armonica; le due bocche la soffiano, suonandola, da ambo i lati. Gli interpreti condividono costantemente i loro respiri, che si trasformano nel suono stesso di una danza di cui non sono solo il corpo, ma l’anima stessa.
Tutta la performance nasce, vive e muore attraverso questo soffio melodico generatore, articolando momenti di dilatata tensione estetica ad altri più concitati e talvolta sagacemente ironici. Si strizza molto l’occhio alle tematiche e alle pratiche queer, in questa messa in scena, che possiamo anche leggere come un bacio continuo, interrotto da poche brevi pause, o come un forte e solido abbraccio in cui i danzatori vicendevolmente si sospendono in aria, o sfiorano il terreno senza toccarlo, quel tanto che basta a cercare di eludere e sconfiggere il peso gravitazionale dei loro corpi, carnali e terreni, sul melodico continuum di un’armonica che scivola sulle labbra, si schiaccia sulle gengive, canta e risuona come una viola impazzita.
Si respira tanta bellezza, semplice, pura, bizzarra, diversa (anche per i corpi veri e sinceri dei due magnifici interpreti).
Il pathos lirico sfiorato solo in certi momenti viene del tutto scalzato nel finale da uno sguardo fresco, quando i due si vestono (o meglio l’uno veste l’altro) e il suono atonico dell’armonica si articola in un beat box quasi folklorico, allegro, colorato, suonato da Uri Dicker mentre Tomer Giat arrotola e porta via il tappeto su cui hanno danzato, come a smontare l’allestimento di una bella festa (o di un rito), pronti ad apparecchiare la tavola del palcoscenico per il prossimo, felice, evento.
Con “False memories” si va in un universo completamente differente. Le atmosfere sono cupe, la musica è poco più di un continuo rumore bianco elettronico che si articola ritmicamente in diversi quadri.
Gli interpreti, e anche autori, Hiro Murata e Tu Hoang, danzano in camicia, pantaloni e calzini scuri, abiti semplici che rendono le linee nette, affusolate, taglienti. Danzando con l’intento di evocare le dinamiche dell’innesto dei “falsi ricordi” del titolo, si legge talvolta, nell’interrelazione tra i due, il controllo di uno sull’altro, come a manipolare fisicamente il capo dell’altro con concitate azioni a metà tra il tai-chi e i port de bras frenetici di molta danza occidentale, a cui si accostano momenti di incredibile flow dinamico, i piedi scivolano agili e veloci sul pavimento, il duo compie contrazioni, pirouettes, salti.
La tessitura coreica è una trama estremamente fitta e ben articolata di veloci movimenti all’unisono, rapidi e sincronici, eseguiti con una precisione clinica. La qualità del movimento, sebbene in molti abbiano letto le arti marziali e il gusto orientale sulla pulizia del gesto – che sicuramente sottende alla performance -, è figlia della bella danza mitteleuropea, e non a caso il duo ha base nei Paesi Bassi; trasuda molta ricerca verso la fluidità del movimento, non solo nel floorwork quanto nelle evoluzioni in piedi e nei salti, ma anche una certa referenza ai grandi coreografi contemporanei del NDT (come Jiri Kylian, Crystal Pite, Marco Goecke), omaggiati con l’uso espressivo della parte superiore del corpo – braccia, mani, spalle e testa.
Questa danza simmetrica, raffinata, acuta ed elegante si srotola su una scena scura dai toni quasi noir, quasi da set cinematografico. I due danzatori sembrano ora scienziati di laboratorio, ora detective alla ricerca di una verità in una penombra intrigante e spaventosa. Un bell’assaggio di alta qualità formale, che riempie gli occhi del pubblico di un gusto molto interessante e che raramente vediamo nei nostri palchi, se non nelle compagnie dei big internazionali.
La serata si conclude con un vivace talk nel foyer del teatro, proposto da Natalia Casorati, direttrice del festival, coadiuvata dal padrone di casa di Officine Caos, Gabriele Boccaccini di Stalker Teatro, in cui i protagonisti della serata hanno avuto modo di presentare, con video e foto, il proprio lavoro e le ragioni delle loro pratiche e poetiche.
Insieme a loro i due artisti in residenza a Interplay proposti dal partner Etape Danse: l’australiano James Batchelor e il francese Nicolas Fayol.
Una serata in cui è particolarmente apprezzabile la vicinanza con la scena, dove il confine tra attore e spettatore diventa così breve e labile da deflagrare nel contesto del foyer, tutti partecipi e partecipanti di una stessa festa conviviale, vibrante e pulsante.
La penultima, piovosa, serata di Interplay, tutta firmata Daniele Ninarello, ha luogo a Villa Rey, sede dell’associazione Bastione, collettivo artistico attivo sul territorio, al momento spazio d’esposizione di alcuni lavori di Marco Mattana, giovane co-founder del Bastione, che propone un’istallazione di tele e pannelli astratti, iperastratti, in cui la sfumatura e il susseguirsi di tenui cambi cromatici, come delle finestre aperte sull’astrazione per eccellenza dei colori e della più nichilista negazione di soggetto e significanza, abitano gli interni dello spazio espositivo.
Causa pioggia, gli appuntamenti danzati in programma all’aperto, sul verde e grande prato di Villa Rey, vengono spostati al coperto, in spazi interni non grandissimi ma suggestivi, proponendo una stretta vicinanza tra il pubblico (numeroso, vivace e assolutamente variegato, molti giovani, ma anche qualche spettatore decisamente più adulto, coppie, comitive, giovani soli, giornalisti e operatori del settore, borghesi, bohemiens, studenti e attivisti LGBT+).
Si inizia con un estratto del solo “Nobody Nobody Nobody. It’s ok not to be ok”, di e con Ninarello per l’appunto, che viene messo in scena nelle due stanze attigue del piano terra. Nella prima stanza, Ninarello aspetta immobile, faccia a terra e sedere scoperto, l’entrata del pubblico per diversi lunghi secondi prima di cominciare. La sua è una danza, in questo momento, senza accompagnamento musicale, solo il gesto e il corpo, e nient’altro, a orchestrare, a dare tempo, colore e spazio a questa parte del suo assolo. Una volta postosi in piedi di faccia al vicinissimo pubblico nella stanza e rivestito, calzoncini corti, camicia, sneakers nere e cappello con visiera, uniforme che diremmo dell’uomo casual se non propriamente del bambino, abbozza e intavola una serie di micro-movenze, piccoli segmenti di gesto, di intenzione, l’abbozzo scomposto di un pugno, poi una smorfia, poi gesti di spinta e tensione nelle zone dei genitali, e così ripetendo e incalzando sempre di più il ritmo, mentre esegue un manège verso sul perimetro più esterno alla sua parte, in favore del pubblico. Quando si cambia sala, nella seconda parte, arriva anche la musica, per lo più percussiva, ad accompagnare una gestualità ben più ampia, inframezzata dai suoi stessi sussurri, che alterna il livello basso del terreno per appoggiarsi carponi e il livello alto con grand battements che fendono l’aria veloci e dinamici. C’è qualcosa di torbido, conturbante, scuro ma anche stranamente disincantato e ironico, riferimenti sessuali inopinabili eppure sottili, delicati e non volgari. Come una creatura esterna alle dinamiche umane del corpo e della logica narrativa, Ninarello racconta per frammenti e input un’autobiografia somatica fatta di micro-accenni, impaginando un percorso di volontà di auto-affermazione o auto-riconoscimento del sé, in azione di protesta, mostrandosi in piedi con la mano alzata per emergere, uno in mezzo a nessuno, fin quasi ad immolare il suo corpo, come un martire laico, offrendosi alla vista e all’uso dello spettatore astante.
Nella seconda parte della serata, viene messo in scena in anteprima il site-specific “Orgia”, una durational per quattro danzatori, due donne e due uomini, tra cui Ninarello stesso, dove gli spettatori sono invitati a muoversi in libertà per tutto lo spazio performativo, anche cambiando punto di vista, liberi così anche di uscire nel cortile e rientrare quando si vuole, per fruire della performance come un’opera museale vera e propria, in continuità con la mostra di Marco Mattana.
Esattamente come le opere esposte, la più grande delle quali, un semicerchio di tre metri di raggio, campeggia sulla parete retrostante i performer, i toni di questa “Orgia” sono estremamente tenui, sfumati, delicati, astratti.
Quasi sempre a terra, i quattro danzatori agiscono dapprima in semicerchio, lo sguardo sempre sfuggente, quasi assente, di chi guarda oltre lo spettatore e a malapena sembra guardare i propri compagni, fino a raggiungerne il contatto in tempi e modi estremamente dilatati e scivolosi, muovendosi sempre sul terreno, congiungendo talvolta gli arti, con giustapposizioni casuali e bizzarre (il piede di uno appare sulla testa di un altro, una mano su una coscia, un gomito su una caviglia, in diverse occasioni le bocche accarezzano con le labbra l’epidermide della porzione di corpo che si avvicenda davanti a loro) sempre muovendosi circolarmente, come una galassia che fluttua nell’universo.
Il contatto fisico tra gli interpreti è ravvicinatissimo, tanto da creare un impasto di corpi, quasi a voler mappare un passo ulteriore della contact dance, una hyper-contact dance, dove alla dinamica dei sollevamenti si sostituisce la fusione e la compenetrazione dei corpi. Non c’è niente di sessuale in questa danza, però, nonostante il titolo, piuttosto sembra di stare davanti a un’orgia romanticizzata dal filtro mistico, anche coadiuvata dalle musiche cristalline quasi post new age in diffusione, come l’orgia dei santi del giudizio universale o l’orgia estetizzata e simbolica del romanzo “Il profumo” di Patrick Süskind.
L’atmosfera nella sala è sospesa e magica, con gli spettatori che girano intorno agli interpreti, curiosi e affascinati (c’è anche chi si unisce alla danza per diversi minuti), fotografando, postando, scegliendo un punto di vista particolare, sorseggiando spritz; si respira un profondo senso di delicatezza, di gentilezza, di agognata serenità della pratica corporea, e si riflette su quanto questo tocco gentile, rispettoso eppure profondo, manchi oggi non solo nelle pratiche performative ma anche in quelle quotidiane.
Con “Orgia”, assaggio di un lavoro in fieri, Ninarello mostra chiaramente di voler intraprendere una direzione nuova, con uno sguardo nuovo e una firma radicale che sembrano orientarsi verso sorprese stilistiche e compositive che puntano molto lontano, anche audacemente, e che ci auguriamo lo portino in territori belli, inusitati e inesplorati sulle nostre scene almeno quanto sognante e illuminante è questo secondo estratto della serata.
BREATHE WITH ME A MOMENT
di Or Marin
con Uri Dicker e Tomer Giat
drammaturgia Oran Doran
Musiche dal vivo realizzate dai danzatori
durata: 12′
FALSE MEMORIES
di e con Tu Hoang e Hiro Murata
luci Grace Morales Susa
Vincitore Primo Premio MASDANZA 27
Vincitori del Primo Premio 34° International Choreographic Competition Hannover 2020 con il solo “Trial”
durata: 50′
prima nazionale
NOBODY NOBODY NOBODY it’s ok not to be ok (estratto)
creazione e danza Daniele Ninarello
accompagnamento alla creazione Elena Giannotti
drammaturgia Gaia Clotilde Chernetich
musica Daniele Ninarello
elaborazioni sonore Saverio Lanza
sguardo esterno Vera Borghini
durata: 20’
applausi del pubblico: 2’
ORGIA
di Daniele Ninarello
con: Daniele Ninarello, Loredana Canditone, Silvia Brazzale, Raffaele Tori
assistente alla creazione Elena Giannotti
in dialogo con gli artisti visivi di Associazione Bastione
Estratto da “Healing Together” sviluppato durante le residenze di ETAPE DANSE
durata: 50’
applausi del pubblico: 3’