Orestea. La maratona teatrale di Davide Livermore per la trilogia di Eschilo

Orestea (ph: Federico Pitto)
Orestea (ph: Federico Pitto)

Tra i protagonisti sul palco del Teatro Nazionale di Genova Laura Marinoni e Giuseppe Sartori

E’ lo stesso impianto scenico ideato e collocato al Teatro Greco di Siracusa ad abitare, stavolta, il palco dell’Ivo Chiesa di Genova.
Partiamo da questo elemento per parlare dell’Orestea di Davide Livermore, quasi quattro ore di spettacolo (iniziando con “Agamennone” per proseguire con “Coefore” e “Le Eumenidi”) che riporta alla ribalta la tradizione, un po’ abbandonata nelle sale liguri, della maratona teatrale.
Oltre un centinaio di spettatori, solo nella giornata seguita da noi, ha infatti optato per le due full immersion che, in aggiunta alle repliche singole, hanno offerto la possibilità di assistere alla trilogia in modo complessivo, nel rispetto di come venne concepita da Eschilo oltre quattrocento anni prima di Cristo, l’unica opera arrivata intatta fino a noi.

La scena appare estremamente colma, e occorre un po’ di tempo perché l’occhio riesca a raccogliere e metabolizzare tutti gli elementi (pensati per uno spazio più grande) al levarsi del velo semitrasparente dell’inizio.
Al centro domina uno speciale schermo sul quale, in retro proiezione, appaiono i video di D-Wok che ripropongono, in un tondo loop, elementi della natura, mareggiate impetuose dai contorni sfocati e altre suggestioni, come il bulbo di un occhio che, muovendosi, osserva pubblico ed attori. Una sorta di pianeta in scena che cattura l’attenzione di chi guarda e nel contempo amplifica, come un coro tecnologico, azioni e contenuti.
Il suo doppio è posto sulla superficie del palcoscenico a costruire, insieme, una sorta di conchiglia aperta sulla quale si muovono i quaranta attori coinvolti. Anch’esso propone proiezioni e suggestioni su cui gli interpreti sembrano fluttuare. Purtroppo però non risulta completamente visibile, se non dagli ultimi settori della platea, più in alto rispetto alla superficie del palco. Un altro aspetto che evidenzia come la scenografia, di grande impatto, abbia parzialmente risentito del riallestimento, così come la grande parete a specchio sul fondale, che amplifica la profondità dello spazio ma, al contempo, rende visibili alcuni movimenti tecnici del dietro le quinte (probabilmente non voluti).

Un impianto operistico condito da tinte noir e glamour con botole e passaggi per gli attori, una vettura anni Trenta sul fondo (in linea con i costumi di Gianluca Falaschi), due pianoforti e colori intensi.
Le luci di Antonio Castro diventano metafore tangibili del rosso sangue che scorre in primis sul mantello del vittorioso Agamennone, macchiato per sempre dall’uccisione della figlia, ma anche sulla sete di vendetta della consorte, interpretata da una spietata Laura Marinoni.

Un marchio inevitabile che si allarga poi su Oreste, l’eroe della ragione, interpretato da Giuseppe Sartori. Lontani per lui i tempi di Ricci/Forte, dei quali però conserva una spiccata contemporaneità del recitato, che rende ancora più reale il tormento del personaggio, la sua sete di giustizia e vendetta.
Il processo a seguito del matricidio ci catapulta in una dimensione altra che cerca di parlare alla società di oggi. Le furiose Erinni, nella regia di Livermore, diventano figure liquide, inquietanti, a tratti addirittura ironiche nella loro spinta ambiguità. Apollo è invece un difensore impotente, che nasconde la mano dopo aver spinto l’eroe a gettare un sasso tanto pesante.

In parallelo alle parole c’è un’altra narrazione che segue l’azione di pari passo. E’ quella della musica, appositamente curata da Mario Conte in sintonia con l’impianto visivo della maxi proiezione centrale. Sempre presente (a tratti fin troppo) accresce, in aggiunta ai due pianoforti, la tensione generale attraverso un sintetizzatore sfruttato in tutte le sue sfaccettature sonore. Perché, come spiega Livermore riferendosi alla guerra in Ucraina, «in un momento storico come questo […] quel che state guardando ci riguarda, sta parlando di noi».

Orestea
di Eschilo
traduzione Walter Lapini
regia Davide Livermore
personaggi e interpreti
Musici Diego Mingolla, Stefania Visalli
Sentinella Maria Grazia Solano
Corifea Gaia Aprea
Coro Maria Laila Fernandez, Alice Giroldini, Marcello Gravina, Turi Moricca, Valentina Virando
Clitennestra Laura Marinoni
Messaggero Olivia Manescalchi
Agamennone Sax Nicosia
Cassandra Linda Gennari
Egisto Stefano Santospago
Spettro di Ifigenia Aurora Trovatello, Ludovica Iannetti
Vecchi Argivi Davide Pennavaria, Marco Travagli, Alessandro Trequattrini
Oreste bambino Riccardo Bertoni
Elettra bambina Anita Torazza

scene Davide Livermore, Lorenzo Russo Rainaldi
costumi Gianluca Falaschi
musiche originali Mario Conte
luci Marco De Nardi
video design D-Wok
regista assistente Giancarlo Judica Cordiglia
assistente alla regia Aurora Trovatello
costumista assistente Anna Missaglia

direttore di scena Alberto Giolitti
direttore di palco Michele Borghini
capo macchinista Marco Fieni
macchinista Nathan Copello
macchinista/attrezzista Giulia Chittaro
capo elettricista Toni Martignetti
fonici Edoardo Ambrosio, Umberto Ferro, Stefano Gualtieri
video Luca Nasciuti
trucco e parrucco Barbara Petrolati, Giuseppe Tafuri, Giovanna Molinaro
sartoria Cristina Bandini, Viviana Bartolini
produzione Teatro Nazionale di Genova, INDA Istituto Nazionale del Dramma Antico

Durata: 3h 50′
Applausi del pubblico: 4′ 23”

Visto a Genova, Teatro Nazionale, il 2 aprile 2023

 

 

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