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L’orgia della tolleranza di Jan Fabre

Orgie de la tolérance
Orgie de la tolérance
Orgie de la tolérance (photo: Christophe Raynaud de Lage)

‘Fanculo, Jan Fabre! Non è il severo giudizio di un umile redattore, ma una delle battute che chiudono “Orgie de la tolérance”, la creazione 2009 dell’artista di Anversa.
Dopo tre giorni di Avignon Off, mi concedo un giro sul grande circuito teatrale, la pista su cui corrono i nomi più noti. Come spesso accade, gli spettacoli vengono quasi sempre commissionati dallo stesso festival, che offre il proprio palco per l’anteprima di creazioni fresche, possibilmente magniloquenti, al passo coi tempi, provocatorie o solenni, di certo senza la spada di Damocle di una qualsiasi censura.
Nessuna polemica, dunque, solo dati di fatto, per descrivere uno spettacolo, quello di Jan Fabre, che non fa eccezione alla regola.

Un pugno di performer davvero straordinari, di entrambi i sessi, prestano voce e soprattutto corpo alle invenzioni di uno degli artisti più eclettici della contemporaneità. Contraddittorio, eccessivo, irruento, strabordante e adrenalinico, completamente perso in una celebrazione estetica del materiale umano. Senza dubbio di alto livello. Dopo lunghi minuti durante i quali il pubblico prende posto sull’alta gradinata e gli attori/danzatori si scaldano i muscoli come preparandosi a una competizione olimpionica, l’orgia della tolleranza si inaugura nientemeno che con una gara di masturbazione. Donne e uomini, presidiati e spronati da preparatori in scoppola e lupara, si sfidano come atleti in sanguinose manche all’ultimo orgasmo. Vince chi ne ha di più, al grido ironico, di matrice obamiana, di “Yes we come!”
Con tutta quest’azione in scena, che chiama in causa lussuosi divani in pelle, grandi nomi delle multinazionali, orge mangerecce e perfino Gesù Cristo (che compare portando la croce e viene trasformato in un top model chiamato J.C.), ci si sente piccoli piccoli, ci si trascina sul terrazzo di un grattacielo, dal quale si può dare uno sguardo ampio a questo mondo globalizzato.

Perché di questo si tratta, “tolleranza” non nel senso di “indulgenza”, ma di “masochismo”. Il sillogismo è sempre lo stesso: sappiamo, quindi siamo colpevoli. Ché queste opere d’arte servono soltanto a offrire un punto di vista mediato da cui accorgersi una volta di più e sempre meglio che, come esseri umani, siamo perfettamente coscienti di che cosa stia accadendo al nostro pianeta.
È la decadenza dei costumi, l’avvento del dio denaro, la scala d’oro dell’autodefinizione che porta invece al pozzo della depersonalizzazione.
Ci piace mettere insieme questi paroloni, perché nelle intenzioni di chi parla di globalizzazione quei paroloni ci sono tutti e, per quanto ci si sforzi di sintetizzarli in immagini e azioni, non si riesce mai a passare di grado; non sembra possibile presentare una visione davvero rivoluzionaria, davvero trasversale, davvero rivelatrice. Non più. Il grido disperato contro l’omologazione del mondo è stato cacciato, lacerante, da altre realtà e movimenti artistici in tempi ormai lontani. Ed è stato, solo a volte, una cura efficace.
Ora che il farmaco è stato commercializzato, il virus della crisi dei valori, dell’immoralità si è disciplinato, è cresciuto. E non basta più mettere in scena un’orgia di corpi nudi, immagini blasfeme, prodotti di multinazionali e sperma vero per comporre la formula di una nuova penicillina che debelli la malattia. Forse oggi abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione, di uno sforzo ulteriore che ci permetta, artisti, spettatori o critici, di non scivolare nell’autoreferenza, di non vendere la nostra stessa anima rivoluzionaria a quel virus letale che ci rende tutti simili.

“Orgie de la tolérance” è un sofisticato circo per performer di altissimo livello: due ore e più di quadri espressionisti ora, iperrealisti poi. Un vortice di sudore e sesso, disperazione e tedio, rabbia e cibo, il tutto senza un briciolo di romanticismo, ma per fortuna senza mai prendersi troppo sul serio. Forse Jan Fabre stesso ci ha strizzato l’occhio, ha riso con noi nel dirci che ancora una volta la fiducia in lui riposta è stata tale da permettergli uno sfogo a tema libero.
Il paradigma iconoclasta lo ritroviamo ormai ovunque nell’opera di questi artisti ultra-contemporanei. Fabre si affida alla stupefacente performance di un gruppo di animali da palco, una gabbia di scimmie che sembra nata e cresciuta insieme: si inseguono, si spulciano, si fanno dispetti, si seviziano a vicenda. Ma soprattutto si divertono un mondo. E noi con loro.

Al termine dell’ultima scoppientante sequenza, in cui un lungo elenco di “fuck you” viene sciorinato a partire dai pedofili e includendo preti, benpensanti, borghesi,  pervertiti, artisti e gli stessi regista e direttori del festival che spendono milioni per spettacoli simili, diremo che tutto sommato siamo usciti da quest’orgia senza nuove indicazioni per la via della salvezza. Ché è un po’ facile sparare a zero su ogni cosa: il rischio di essere anarchici è quello di non prendere una vera posizione e di ridurre la profondità della propria analisi a “sappiate che mi fa schifo tutto”.
Più che un grido disperato, allora, quella del Fabre 2009 è una risata sguaiata, affacciata alla ringhiera di quel terrazzo sul mondo dal quale il regista belga non ha avuto il coraggio di buttarsi per dare l’esempio.

ORGIE DE LA TOLÉRANCE
soggetto, regia e coreografia: Jan Fabre
produzione: Troubleyn / Jan Fabre (Antwerp), coprodotto da Santiago a Mil festival international de théâtre de Santiago, Peak Performances @ Montclair State University, Tanzhaus (Düsseldorf), deSingel (Antwerp), Théâtre de la Ville-Paris, Festival Romaeuropa (Rome), Festival de Dubrovnik.
testi: Jan Fabre in collaborazione con i performer
drammaturgia: Miet Martens
produzione: Festival de Avignon 2009
luci: Jan Dekeyser, Jan Fabre
interpreti: Linda Adami, Christian Bakalov, Katarina Bistrovic-Darvas, Annabelle Chambon, Cédric Charron, Ivana Jozic, Goran Navojec, Antony Rizzi, Kasper Vandenberghe
costumi: Andrea Kranzlin
musiche: Dag Taeldeman
durata: 2 h 05’
applausi del pubblico: 5’ 40’’

Visto ad Avignon, Cour du Lycée Saint-Joseph, il 10 luglio 2009
Festival d’Avignon 2009

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