Debuttò il 30 settembre del 1981 con Michael Aspinall. L’anno successivo arrivarono, fra gli altri, l’Odin Teatret ma anche Carolyn Carlson. Gli anni Ottanta portarono sulla scena trentina dal Kathakali indiano a Maguy Marin e Ravi Shankar, Keith Jarrett, Lucinda Childs, Merce Cunningham, Alwin Nikolais. E poi la nuova danza italiana: Lucia Latour, Virgilio Sieni, Enzo Cosimi, Fabrizio Monteverde, Michele Abbondanza e tanti altri.
Oggi Oriente Occidente è ancora qui, a festeggiare la sua trentesima edizione ricordando come abbia investito fin dagli esordi sulla trasversalità dei generi e sull’incontro fra culture. Da domani, 2 settembre, fino al 12 torna nei teatri di Trento e Rovereto. Facendo letteralmente il giro del pianeta.
Ad aprire l’argentino Leonardo Cuello che, insieme ai musicisti di Tango Tinto, rappresenta uno dei volti più contemporanei del ballo argentino, il cosiddetto tango fusión, che mescola alla tradizione tanguera altri generi performativi.
Dall’Argentina al Giappone, poi, per un omaggio al Butoh, la danza delle tenebre. Ushio Amagatsu, con il suo gruppo maschile Sankai Juku, sarà in scena domenica 5 settembre al Teatro Sociale di Trento con “Hibiki – Resonance from far away”, un viaggio evocativo sul ciclo della vita.
E dal Giappone agli States. Tra i maestri che hanno segnato a partire dagli anni Cinquanta la danza americana, un posto di spicco occupa Alwin Nikolais, padre del Multimedia e di un teatro di danza astratto che ha fatto storia. Scomparso nel 1993, avrebbe compiuto nel 2010 cento anni. La Nikolais/Louis Foundation for Dance di New York, custode del repertorio del maestro americano, rimonta da qualche anno i titoli più esemplari di Nikolais con la Ririe-Woodbury Dance Company. In occasione della Centennial Celebration, la compagnia arriva a Rovereto con un programma che abbina alcuni dei pezzi più famosi come “Tensile Involvement” e “Imago” a un lavoro inedito per l’Italia: “The Crystal and the Sphere”, firmato nel 1990 e penultima coreografia del maestro. Tre diversi spettacoli proposti il 4, 5 e 6 settembre all’auditorium Melotti.
Tra Africa ed Europa, invece, le due coproduzioni del festival: Abou Lagraa, classe 1970, è cresciuto a Lione, ma il lavoro che fa con la compagnia La Baraka si nutre profondamente delle sue origini algerine. Lo spettacolo che presenta al festival l’8 settembre, “Un monde en soi”, è interpretato da sette danzatori provenienti da Marocco, Perù, Senegal, Camerun, Francia, e racconta con la danza lo sforzo per crescere, per diventare uomini.
“Facing up to hope” è il nuovo lavoro di Germaine Acogny, danzatrice, coreografa e pedagoga. Considerata la madre della danza contemporanea africana, esplora con la sua arte le contraddizioni e i temi della società globale, lanciando con questo lavoro un appello di speranza sull’Africa attraverso una danza di gioia e partecipazione.
Tra i grandi ritorni al festival anche quello di Anne Teresa De Keersmaeker, capofila della danza belga dagli anni Novanta. Il suo nuovissimo spettacolo, “En Atendant”, che ha debuttato in luglio ad Avignone, ruota sul confronto con l’Ars subtilior, complessa forma polifonica risalente al XIV secolo e punto di partenza per riflettere sulla fragilità dell’individuo.
Per l’Italia infine tre spettacoli. Il monologo “Racconti di giugno” di e con Pippo Delbono, e i due nuovi lavori delle vincitrici 2009 del concorso di coreografia Danz’è (che avrà quest’anno una nuova edizione con 14 compagnie da tutta Italia, in scena dal 6 all’8 al Teatro alla Cartiera): Carla Rizzu e Paola Vezzosi, rispettivamente con “Eat 26” e “Alter”.
Dalle forme del contemporaneo a quelle della tradizione, dall’improvvisazione ai movimenti codificati dal tempo passando per le influenze delle culture locali e quelle esotiche, Oriente Occidente dedica infine una sezione del proprio programma alla scoperta di alcune realtà artistiche locali grazie alla sezione Happy Dance: nella suggestiva cornice di piazza Loreto la danza emergente incontrerà il pubblico di Rovereto. Un’occasione per conoscere giovani compagnie e le scuole di danza trentine. Intercettando, magari, qualche nuova tendenza o futuri ‘maestri’ per i prossimi trent’anni.