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Palermo? E’ una città dove si respira aria di morte. Intervista a Luca Mazzone

Le Contrazioni di Teatro Libero|Luca Mazzone

Le Contrazioni di Teatro Libero |Luca Mazzone

Una manager e una sottoposta, una serie d’interviste e sullo sfondo un luogo di lavoro che diventa luogo di costrizione. La morbosa curiosità della prima nei confronti della vita privata, oltre che lavorativa, della seconda sconfina nell’ossessione e diventa ingombrante presenza, voyeuristica e innaturale, dell’azienda nella vita privata dei propri lavoratori.

Testo asciutto, crudo, ai limiti del paradosso e del surreale, “Contractions”, del giovane e affermato drammaturgo inglese Mike Bartlett (Oxford 1980), – prodotto più volte dalla Royal Court e dal National Theatre di Londra – propone le vicende di due donne, una di fronte l’altra, come fossero carnefice l’una e vittima, senza possibilità di fuga, l’altra.

Lo spettacolo, nella traduzione di Monica Capuani, con la regia di Luca Mazzone del Teatro Libero di Palermo, si muove lungo un gioco di sottile tensione tra le due donne, che cresce durante una successione di micro-azioni che mostrano le due incontrarsi in un periodo di tempo abbastanza lungo. La narrazione procede attraverso una scansione per lunghi fotogrammi che raccontano, nella loro atrocità, l’invadenza delle grandi compagnie, della società dell’efficienza, e quanto non vi sia più spazio per l’intimità, per il piccolo mondo privato. E al contempo mostrano un tema di pressante attualità: la necessità di mantenere il posto di lavoro, a costo di sacrificare, talvolta, spazi di felicità personale. Ma non è tutto realismo quello tagliato dalle lame affilate della scrittura di Bartlett, c’è del paradosso, del grottesco, financo un gioco, sottile e macabro, di seduzione e possesso.

Lo spettacolo in scena alla sala Laudamo, ridotto del teatro di Messina, è una storia al femminile che si snoda attraverso due universi contrapposti, interpretati da Viviana Lombardo e Silvia Scuderi. Quello di una donna capace di controllare non solo ogni propria minima emozione, ma pure quelle di chi le è sottoposto e quello di un’altra donna in balia degli eventi, attraverso una regia tagliente, una parola diretta e controllata.
A fare da collante tra le microazioni, cercando di insinuare ulteriori elementi alla narrazione, degli inserti video curati da Pietro Vaglica.

Dello spettacolo parliamo col regista Luca Mazzone, chiacchierata che diventa anche pretesto per aprire un piccolo approfondimento su Teatro Libero e sulla realtà teatrale palermitana.

Luca Mazzone

Quali le caratteristiche della scrittura di Bartlett, i temi, i nodi da lui affrontati, che hanno attivato il tuo interesse?
La grande semplicità, apparente, con la quale Bartlett gioca con i suoi personaggi. La grande maestria nel creare un dispositivo drammaturgico impeccabile, una costruzione che riesce ad avere in sé il senso del ritmo e che sa svelare lentamente gli abissi che colorano le due donne. L’intelligenza di giocare anche con il fato, il caso che si insinua negli accadimenti e che lascia un alone di ambiguità, rendendo tutto molto verosimile. Una concretezza che attinge dalla realtà una tavolozza di sfumature e colori che mi hanno fatto percepire quanto fosse necessario questo testo, che impone una profonda riflessione sul mondo del lavoro.

Lo spettacolo osserva il difficile mondo del lavoro sotto una lente che talvolta deforma la realtà, ed è una storia che procede da un punto di vista femminile. Come ti sei avvicinato al testo? Cosa ti ha colpito nel confronto con le parole di Bartlett?
Il mio approccio è stato di grande rispetto e fedeltà alla costruzione drammaturgica di Bartlett. Conoscere profondamente la drammaturgia, i suoi silenzi, il suo ritmo, la sua architettura, è alla base del mio progetto di regia. Poi ho giocato con i personaggi, dapprima portandoli alle estreme conseguenze, accentuandone paradossi, poi, una volta digerito il lavoro, iniziata la creazione, ho lasciato che fosse il lavoro dell’attore a nutrire il mio immaginario e a sviluppare un percorso di regia che lavorasse per sottrazione, cercando la verità. Sempre la verità. Sfumature che nascono da un lavoro certosino di ricerca dei personaggi, delle due femminilità. Mi ha profondamente colpito la padronanza del mondo femminile che Bartlett manifesta parola dopo parola. Ci sono due donne, una di fronte all’altra. Due modi di essere donna con tutte le implicazioni e tutti i compromessi cui una donna è costretta a cedere.

La scelta di introdurre dei video ad interrompere le scene aumenta i livelli di lettura della narrazione ma talvolta rischia di mescolarli anche. Come mai?
Questa scrittura è ricca di sfumature che per esistere e vivere hanno bisogno di non essere dette, esplicitate, svelate. Ma sottendono il silenzio. Quel paradosso che tu citi in una domanda, è l’elemento che ho pensato potesse sicuramente colpire anche l’inconscio e il sogno delle due donne. Ecco, mi sono detto: come esplicitare il pensiero, lo stupore, l’inquietudine che, incontro dopo incontro, ha ritmato l’evoluzione del personaggio di Emma? Come rendere la complessità del pensiero femminile rispetto al succedersi degli eventi? Come rendere l’immagine della grande lente d’ingrandimento che ho posato sulle due donne, sulle loro vite? Ecco, per me il video rappresenta lo strumento narrativo più efficace, consono a far emergere gli abissi che vivono e popolano le due donne. Non c’è una linearità di narrazione. C’è una narrazione che naviga a cielo aperto e una che sottacqua affiora a tratti.
Non credo si possano mai tenere distinti, o semplificati, i livelli di narrazione in una drammaturgia contemporanea che ci rimanda alla complessità della vita. Qui i livelli di narrazione sono circolari, complessi, si intersecano, a volte si aggrovigliano. Ed è bello che sia così.

A Palermo, con ostinazione, da moltissimi anni, la tua famiglia gestisce il Teatro Libero. Cosa è cambiato nel tempo?
Mi verrebbe da dire poco o nulla. Si ha sempre la sensazione di navigare controcorrente con ostinazione. Palermo è una bellissima città, ma – come disse una volta Andrzej Wajda in occasione del focus dedicatogli dal Laboratorio Teatrale Universitario in collaborazione con il Teatro Libero – è una città dove si respira aria di morte. Sì, un’atmosfera rarefatta, dove l’assenza di un progetto culturale complesso, che svicoli dagli eventi fumosi e dalle “grandi star”, è non solo atavica ma diventata una sorta di DNA costitutivo della città stessa. Teatro Libero ha raggiunto la quarantottesima stagione ma mantiene sempre un’anima giovane e lucida ed è poco incline a quei compromessi “mortiferi” che invece scandiscono la vita di molte istituzioni culturali della città. Diciamo che rappresentiamo un pensiero critico, capace di costruire e resistere. E continueremo a farlo. Sempre.

Siete Teatro Stabile d’Innovazione della Sicilia: qual è la situazione entro cui vi muovete?
Siamo centro di produzione, riconosciuto per il triennio 2015/2017. Già stabile d’innovazione dalla fine degli anni ’80, quando ancora si usava la definizione Centro di Ricerca e Produzione teatrale. La situazione entro cui ci muoviamo è difficile, perché la disattenzione verso il nostro segmento, quello privato a vocazione pubblica riconosciuto dallo Stato, è fortissima. Gli enti locali non hanno una progettualità forte nei confronti di questo settore che merita pari attenzione rispetto a quello pubblico. I numeri ci danno ragione, ce ne hanno sempre data. Ma evidentemente il gap trentennale che separa la Sicilia dal resto d’Italia è ancora lontano dall’essere colmato. E non è un problema di risorse, o forse non soltanto, perché il settore dello spettacolo dal vivo in Sicilia ha goduto e gode di buone risorse. Manca la volontà di compiere una rivoluzione copernicana, privilegiando il merito rispetto all’assistenzialismo tout court. A livello regionale qualcosa si è mossa con l’approvazione del FURS, ma affinché questa volontà non si perda nel vuoto, è importante che tale riforma si compia in tempi rapidi: non ha senso un FURS se poi si continua a privilegiare la partecipazione pubblica senza regole né paletti. Ma in una stagione di grandi riforme, ci auguriamo che qualcosa cambi al più presto anche in Sicilia. Viceversa si condannerà il settore indipendente, le compagnie, i teatri privati a vocazione pubblica a scomparire mentre il resto proseguirà secondo le vecchie logiche, limitando il pluralismo dell’offerta e soprattutto sperperando sempre tantissime risorse.

Alla fine degli anni ’90 nasce “Incontroazione”, festival che ha portato a Palermo compagnie da tutto il mondo, adesso integrato nella programmazione della stagione, quest’anno denominata “Altraresilienza”, attraverso gli appuntamenti internazionali. Quale il percorso fatto, quale quello che volete fare?
Il festival nasce nel 1970 e si è svolto fino al 1997. Sono state 26 edizioni importantissime perché hanno permesso a tantissime generazioni di conoscere la scena internazionale più innovativa ed interessante. Tutto questo accadeva a Palermo e in Sicilia (non dimentichiamo che negli anni ’80 il festival ebbe anche un momento di circuitazione che consentì a cittadine come Noto, Vittoria, etc. di avere una programmazione internazionale, per quegli anni (e penso ancora oggi) qualcosa davvero di avveniristico). Poi si preferì integrare la programmazione internazionale nella stagione, un po’ perché le risorse erano sempre meno, un po’ anche perché la città fece la scelta di privilegiare con fiumi di risorse festival più “fumosi” e grandi eventi. Dunque si è puntato sulla progettualità della stagione, creando una programmazione internazionale capace di dialogare con un pubblico, sempre attento e numeroso, durante tutto l’anno. Come le stagioni dei teatri del nord Europa, laddove non vi è distinzione di generi, di lingua e di confini.
Quest’anno il tema della stagione è l’altraresilienza, altra perché altro è sempre stato il discorso culturale che Teatro Libero ha proposto: altro rispetto alle mode, alle infatuazioni passeggere. Resiliente perché è costitutivo del Libero questo principio di resilienza che ci ha sempre permesso di guardare oltre e sviluppare una progettualità europea forte e identitaria senza rimanere schiacciati da evanescenti e “vaporose” tendenze. Abbiamo sempre preferito, e continuiamo a farlo, sviluppare un preciso progetto di programmazione e produzione capace di avvicinare Palermo ad altre città europee. Ma per davvero, non per slogan. Questo è il percorso fatto. Quello da fare? Beh’ che dire, un anno fa ci sarebbe stata la possibilità di consolidare la storia e il patrimonio culturale del Libero all’interno di una struttura di interesse “nazionale” con la fondazione di un nuovo organismo nazionale della città. Ovviamente il Libero era un naturale candidato ad esserne socio fondatore. Ma così non è stato. E le motivazioni sono ben intuibili…
Anche Teatro Libero fa parte di Latitudini, rete di drammaturgia contemporanea che unisce compagnie numerose siciliane. Una riflessione sull’importanza, oggi, di camminare insieme.
Abbiamo aderito da alcuni anni alla rete Latitudini. Ci occupiamo di drammaturgia contemporanea da sempre. E pensiamo che oggi lavorare e pensare in rete sia una forma di resistenza e di capacità progettuale più innovativa e soprattutto efficace. La Sicilia ha bisogno di una più ampia diffusione dell’offerta e della proposta culturale di qualità. In tal senso ben vengano le reti che costruiscono e propongono progetti culturali e teatrali diversi rispetto a quelli dei grandi eventi o dei “grandi”.  E poi, il teatro è scambio e condivisione, altrimenti non è.

Contrazioni
di Mike Bartlett
traduzione Monica Capuani
regia, spazio scenico e sonoro Luca Mazzone
con Viviana Lombardo e Silvia Scuderi
video Pietro Vaglica
costumi Sartoria Teatro Libero
luci Fiorenza Dado e Gabriele Circo
produzione Teatro Libero Palermo

Visto a Messina, Teatro Vittorio Emanuele, Messina, il 30 gennaio 2016

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