Il festival Short Theatre da sempre è stato provocatore di nuove realtà, pensieri, costruttore di utopie possibili nel mondo teatrale romano, che attraverso di esso si è sempre aperto al resto del mondo.
Questa tredicesima edizione, all’insegna di “Provocare realtà”, si è impegnata più che mai a dar vita a nuove comunità teatrali, luoghi reali e mentali, costruendo uno spazio in cui gli artisti romani possano conoscersi, mostrarsi, dialogare, collaborare. Questo nuovo spazio, concettuale e fisico allo stesso tempo, è “Panorama Roma”, un nuovo format interno a Short Theatre che raccoglierà l’adesione di altre strutture romane, e presentato alla Pelanda con una giornata ad esso dedicata interamente.
“Si tratta di uno spazio di condivisione, condivisione di un percorso, di un progetto – ha presentato Fabrizio Arcuri – “Panorama Roma” è un luogo per tutto l’anno, non solo del festival. Attiverà una pratica di apertura al lavoro delle compagnie romane, un primo tentativo di come potrebbe essere un luogo di condivisione: condivisione con il pubblico e tra artisti di un percorso e di un linguaggio. L’importante è riuscire a farlo diventare una pratica e non un’eccezione”.
Luoghi. Spazi. Roma. Sono le parole su cui ruota la riflessione su una città che rimpiange e ricorda nostalgica il passato. Un passato fatto di Angelo Mai, di Kollatino Underground, Rialto, Furio Camillo e di eccellenze del teatro contemporaneo che proprio in questi luoghi sono nati e cresciuti: gruppi e artisti come Muta Imago, SantaSangre, Bluemotion, Matteo Latino, per citarne solo alcuni.
Luoghi contenitori di idee e di creatività, ma anche di condivisione libera, il più delle volte, dalle gabbie burocratiche delle istituzioni.
Questi spazi oggi mancano, e la loro assenza ha determinato la nascita, come l’ha definita l’attore e regista Giulio Stasi, di una società “gassosa”, che da liquida (Bauman aveva definito così la postmodernità) ha cambiato il suo stato, perchè “contenere un gas è molto più complesso, ci costringe a ripensare completamente al tipo di contenitore”.
Una metafora perfetta, che lascia immaginare i lavoratori romani dello spettacolo come piccole particelle agitate e fluttuanti, che difficilmente si uniscono, difficilmente resistono all’evaporazione finale. Una triste realtà per chi si trova a combattere per la conquista degli spazi necessari a provare gli spettacoli, in cui avviare piccole economie di sopravvivenza, quelle ad esempio dei sempre più numerosi laboratori, workshop e corsi per tutte le età; la ricerca di ambienti protetti per la progettazione, per accattivare l’attenzione delle istituzioni in una ragnatela più solida di bandi, gare, concorsi e ricerca costante di finanziamenti.
Particelle gassose impazzite e confuse, questi artisti, spesso chiuse nella propria realtà e nella difficoltà di mantenere una sopravvivenza. E quindi tanto volatili che spesso scompaiono, e ancora più spesso si allontanano dal centro, dalla capitale, per essere accolte altrove. Questi sono i nuovi stati della materia Teatro.
Di tutto questo si è parlato a “Panorama Roma” il 9 settembre scorso, in una prima sessione, sulle tre previste nell’arco dell’intera giornata, che ha visto Arcuri, direttore di Short Theatre, insieme al critico Graziano Graziani e alle prime tre compagnie ospiti: Dynamis Teatro, Frosini/Timpano e Salvo Lombardo di Chiasma.
Quanto lo spazio determina ciò che si fa artisticamente? Apre così, Graziani, la discussione.
Salvo Lombardo, giovane performer e coreografo siciliano emigrato a Roma, nel 2017 ha fondato Chiasma e da quest’anno percepisce già il Fus. Il coreografo, senza soffermarsi sulle determinanti questioni economiche, afferma che “gli spazi sono allo stesso modo determinanti e non. La carenza più grave è quella di contesti”, riferendosi alla personale ricerca di sostegni alla produzione soprattutto fuori Roma per il suo nuovo ampio progetto “Excelsior”.
Elvira Frosini sottolinea come “la progettualità è fortemente vincolata dalle condizioni materiali. Noi [Frosini/Timpano, ndr] siamo fortunati perchè abbiamo uno spazio, che ci permette di vivere e creare, nel quale è presente il nostro laboratorio e i nostri corsi. Ci piacerebbe produrre uno spettacolo con 10 attori, ma ci confrontiamo con la difficoltà di vendita e remunerazione degli artisti, quindi il più delle volte i nostri spettacoli sono per uno o massimo due attori”.
“Un po’ per scelta estetica e un po’ per necessità sono più o meno scarni anche dal punto di vista scenografico – aggiunge Daniele Timpano – La semplicità spesso è condizionata da esigenze materiali. La nostra strategia è che gli spettacoli devono essere longevi e devono girare. Altrimenti sarebbe una tragedia non solo sentimentale, ma anche ideologico-politica”. E pure Elvira Frosini sottolinea come il sostegno vada cercato anche fuori Roma.
A “Panorama Teatro” il duo ha regalato due piccoli e intensi frammenti de “Gli Sposi”, nuovo lavoro sostenuto per l’appunto da Teatro di Roma – Fabulamundi, Armunia (Castiglioncello), Spazio ZUT, AstiTeatro e realizzato fra Toscana, Umbria, Liguria e Francia, una sorta di trailer che ha creato forte aspettativa per quest’interessante nuova produzione che vede una partecipazione internazionale stretta e viva.
L’autore dello spettacolo è infatti David Lescot, che gli artisti hanno incontrato più volte per lo studio della sua opera.
“Gli Sposi” è la storia di un’ordinaria coppia di potere, Nicolae Ceausescu ed Elena Petrescu, il più sinistro fra i tiranni dei Paesi del blocco comunista e sua moglie, che hanno governato la Romania per oltre vent’anni. Il testo ripercorre la storia in maniera cronologica con i protagonisti trasformati in personaggi grotteschi. “Il testo ci interessava per come era scritto, era un pò come le nostre cose, ma è un testo storico. E’ la seconda volta che realizziamo uno spettacolo con un testo non nostro” presenta Frosini. “Ed è sempre interessante – prosegue Timpano – confrontarci con autori viventi”.
L’incontro con Lescot ha quindi spostato l’asse da Roma a Parigi (e non solo) anche per le particelle gassose Timpano/Frosini.
Più stabile, dal punto di vista territoriale, sembra essere il terzo ospite della prima sessione di “Panorama Roma”, Dynamis Teatro. Dal 2011 è in residenza stabile presso il Teatro Vascello di Roma che ne co-produce i progetti.
Il gruppo ha presentato “M²”, che indaga sul teatro stesso e sul fare teatro. Frutto di una scrittura collettiva in cui lo spettatore assume il ruolo principale, fino a sostituirsi all’attore, il pubblico diviene l’essenza stessa della performance, fuoco dell’azione, azzerando i presupposti teatrali, e costruendo, in maniera intelligente ed equilibrata, un livello zero del teatro. Uno stato teatrale nuovo e in evoluzione.
In “M²” sette persone, scelte precedentemente tra il pubblico, vengono pilotati da una voce off e da un attore in scena. Il risultato, agli occhi del pubblico “passivo”, è uno spettacolo a tutti gli effetti grazie a una costruzione drammaturgica interessante, contenuti chiari e ben condotti.
La fortuna di Dynamis, come hanno espresso loro stessi durante il dibattito, “è che siamo ospitati per le nostre prove dal Teatro Vascello. Spesso lavoriamo in situazioni non teatrali” per la loro ricerca incentrata “sullo studio delle dinamiche di relazione con il pubblico, in esplorazione di un linguaggio performativo dinamico, in potenziale continua trasformazione”; ma la certezza di poter usufruire di uno spazio fisico aiuta notevolmente la creazione artistica e la sperimentazione.
Lo scopo di “Panorama Roma”, qui al suo debutto, è quindi riattivare il dialogo fra le realtà romane, dare nuove forme al concetto di arte teatrale, comunicare nuove esigenze degli artisti, il tutto in un luogo dedicato. Gli artisti romani nell’ultimo decennio sono costretti, probabilmente in senso anche positivo, ad avere un pensiero “decentrato” cercando “altrove” reti, relazioni e luoghi.
Tra le soluzioni di questa società gassosa c’è allora proprio il contare su contenitori mobili, in cui poter tornare dopo i vari peregrinaggi, contenitori aperti e in perpetuo movimento che permettano al nuovo stato materico del teatro di vivere e non svanire nel nulla.