Panzetti/Ticconi e Mariblanca: impossibili dialoghi ai Dancing Days romani

Insel di Panzetti Ticconi
Insel di Panzetti Ticconi

All’interno del Romaeuropa Festival 23, la rassegna a cura di Francesca Manica

Un fortunale scarica sulle spiagge di un’isola deserta un naufrago in sahariana, con la sua ombra in nero, volto coperto. Questo Prospero/Livingstone ha però anche un altro doppio, che di lì a poco lo seguirà sul palco, depositato da una seconda tempesta, colla sua, di ombra, a sua volta. In scena sono dunque quattro, posti sotto la spada di Damocle del tempo, una clessidra gigante che sembra gemere sopra le loro teste, e che nella seconda parte dello spettacolo inizierà a dissipare il proprio contenuto di sabbia nel raggio strettissimo di un sagomatore.

È “Insel” di Panzetti/Ticconi, ai Dancing Days di Romaeuropa Festival. Frammenti da Defoe, Pessoa e Dostoevskij sono emessi da piccoli altoparlanti fissati al petto dei naufraghi, doppiati in lip-synch dai quattro danzatori. Ai disturbi sonori che sempre più di frequente aggrediscono quelle frasi di cupa disperazione, sorta di “complaint” insistito, iperbolico, quasi comico, rispondono disturbi sulla traduzione inglese dei sovratitoli: allo stampato minuscolo si sovrappongono grazie e svolazzi sempre più affastellati, che rendono inintelligibile il testo. Ma la disperazione dei poveri protagonisti è tanta e tanto nera che le ombre finiscono per sovrastarli fisicamente, per schiacciarli al suolo, e nemmeno il cambio radicale che segue (i performer in nero si smascherano e perdono il loro ruolo subordinato, giocando nell’agone in un ruolo paritario) interrompe l’inesorabile vertigine: ora borborigmi, note da tenores sardi (musica di Demetrio Castellucci) occupano i corpi dei danzatori; ora un vaso di Pandora sonoro invade il palco.
Sono difficili da riportare alla mente in modo puntuale la quantità di eventi, l’impaginazione sostanzialmente narrativa di quest’altra fatica del duo italiano (e mezzo tedesco, d’adozione), passato per la Stoa cesenate (come non rintracciare minimi ma inconfondibili lacerti di immaginario-Socìetas, oltre a una nota severità di dettato?).

Ma il compito più arduo della serata, quasi impossibile, è – dopo gli applausi – ricollocare la percezione per assistere a quanto segue, nel doppio programma tipico dei giorni del festival romano dedicati alla danza.
Si tratta del più volte premiato e nominato “71BODIES 1DANCE” di Daniel Mariblanca, un lavoro che vede il solo coreografo e performer in scena.

71 bodies 1 dance (ph: Piero Tauro)
71 bodies 1 dance (ph: Piero Tauro)

Se in “Insel” si ricorre a un gesto rigorosamente inscritto in canoni di grande icasticità formale, in “71BODIES 1DANCE” convive una congerie di segni corporei, inizialmente versati a una grande tensione, quasi un parto di sé da sé inscenato dal performer, poi a un totale rilassamento (dialogo col pubblico, canzoni…), come se a un materiale più esplicitamente “politico” sul tema del genere e del corpo trans si associasse una resa senza condizioni del rigore formale. Le virgolette sono necessarie, poiché il discorso riguardo al diritto della diversità si riduce a un’anaforica riproposizione del sé, a un tentativo che vuol essere di empatia verso il pubblico, ma che sortisce soltanto l’effetto di stimolare la simpatia di chi si accontenta di un assenso superficiale, di preparare un applauso affettuoso al quale volentieri ci si associa.
Se in “Insel”, poi, la drammaturgia aveva carattere narrativo, quasi rappresentativo, nel lavoro di Mariblanca la scrittura vorrebbe forse apparire consequenziale, (s)posizionata come frutto di quel parto iniziale, ma risulta di fatto una congerie di parti lasche al loro interno, disorientate nei loro rapporti.
Se in “Insel” i quattro interpreti giungevano sulla scena in corpi-oggetti, corpi antonomastici, passati sul rasoio dell’amputazione degli accidenti (stessa pettinatura, costumi quasi indistinguibili, genere non identificabile), in “71BODIES 1DANCE” l’identità anagrafica, fisiologica, (auto)biografica del danzatore è materia stessa della performance e suo significante. Il lavoro del coreografo-danzatore catalano è infatti un inno scomposto alla diversità e alla naturalità del corpo trans, cantato attraverso il proprio, di corpo, che, a partire da una sorta di prologo in scena, viene spogliato degli abiti, uno per uno. Un inno fatto di molte parole rivolte al pubblico, di un moralismo infine assai pesante: ben altra energia, ben altra scomodità esplodeva da un altro corpo trans che si tematizzava, quello di Renata Carvalho (travestì, preferiva chiamarsi lei), e del suo “Manifesto Transpofágico“, un’energia nutrita da una storia di lotte e storie collettive, realmente politico.

Se proprio qualcosa si può ritrovare in comune fra i due spettacoli romani, pur nell’immensa distanza dei segni e della qualità dei risultati, è un movimento che potremmo definire, in modo diverso, difensivo.
Se Mariblanca vorrebbe porre il suo corpo come scudo di dignità di fronte al rifiuto di generici “altri” (“Someone told me my body is wrong” canta) a volersi immolare in una coraggiosa ostensione, in realtà ne sopravvaluta la forza. E lascia quel corpo, proprio lui, indifeso, sguarnito della protezione che una drammaturgia solida, un pensiero, un qualsivoglia scudo intellettuale gli avrebbe fornito, lo costringe a subire un fallimento: gli volta insomma le spalle proprio quando vorrebbe innalzarlo.

Assai diversamente, anche l’elaborata scrittura di Panzetti/Ticconi, il loro segno così riconoscibile, così affinato, sempre efficace, opera dopo opera riempie gli occhi e la mente, ma a qualcuno potrebbe far sorgere il desiderio (perverso, se la perversione è ribaltamento) di vederlo sgretolato, di vedere un gesto e una scrittura per un attimo più nudi, più indifesi, meno armati di preventiva bellezza.

Insel
COREOGRAFIA, IDEAZIONE VISIVA, VOCI Panzetti / Ticconi
INTERPRETI Sissj Bassani, Efthimios Moschopoulos, Aleksandra Petrushevska, Julia Plawgo
COMPOSIZIONE MUSICALE Demetrio Castellucci
MUSICA E VOCE Gavino Murgia
DISEGNO LUCI Annegret Schalke
COSTUMI Werkstattkollektiv
COPRICAPI, OGGETTO DI SCENA, GRAFICA Ginevra Panzetti
TESTI TRATTI DA The Tempest by W. Shakespeare, The Book of Disquiet by F. Pessoa, Notes from Underground by F. Dostoevsky

Durata: 60′
Applausi del pubblico: 2′

 

 

71BODIES 1DANCE
IDEAZIONE, COREOGRAFIA E PERFORMER Daniel Mariblanca
DRAMATURG Amanda Billberg
PRODUCER Camilla Svingen
DISEGNO LUCI Jon Eirik Sira
COMPOSITORI Gunnar Innvær Miriam Casal Madinabeitia

Durata: 70′
Applausi del pubblico: 2′ 10”

stars-2

 

 

Visti a Roma, Mattatoio, il 21 ottobre 2023

0 replies on “Panzetti/Ticconi e Mariblanca: impossibili dialoghi ai Dancing Days romani”