Il Paolo Grassi di BezoarT rivive in Davide Gasparro

Paolo (photo: Clarissa Lapolla)
Paolo (photo: Clarissa Lapolla)

L’idea che un impresario, un uomo “di macchina” come Paolo Grassi, possa essere interessante anche come soggetto di una pièce teatrale, potrebbe far storcere il naso a qualcuno. Se poi lo spettacolo in questione è proposto in un’occasione celebrativa come il centenario della nascita (Grassi era nato il 30 ottobre 1919), sembra forte l’insidia della retorica.

Invece è assai convincente il monologo “Paolo”, di e con Davide Gasparro, che abbiamo visto in anteprima all’Elfo Puccini di Milano. Laureato in Storia del Teatro, diplomato al Piccolo sotto la guida di Luca Ronconi, Gasparro possiede sia l’acribia documentale, sia il mestiere del palcoscenico, sedimentato attraverso collaborazioni con artisti come Michieletto, Bergamasco e Rifici.

Lo spettacolo della compagnia BezoarT, che si vale del contributo alla drammaturgia di Paola Ornati, propone la biografia di Paolo Grassi senza didascalismi, ne sviscera il pensiero senza ampollosità, abbonda di aneddoti tenendosi lontano dal bozzettismo.
La sobrietà è già nei costumi di Eleonora Rossi (pantaloni neri, camicia bianca) e nella scenografia essenziale di Flavio Pezzotti. Il palco della sala Bausch è un parallelepipedo rettangolo, una sorta d’ufficio stilizzato. Dentro di esso, un tavolino, due sedie e una giacca posata sulla spalliera. Un ramo spoglio pende dall’alto sulla scena. È un’orma di Sud, retroterra di provenienza della famiglia del protagonista: richiama i fichi, le querce, gli ulivi disseminati tra i sassi delle Murge e i trulli della Valle d’Itria.

All’esterno del ristretto perimetro, ai margini del palco, le luci dei riflettori e il fumo prodotto da una macchina. Una penombra flessuosa invade la platea. È di scena una vita consacrata al teatro, «mestiere difficilissimo – scriveva Grassi –. Siamo in pochi a saperlo fare. Siamo una fauna in estinzione come il panda». Parole in stile giornalistico. Frasi laconiche, rari gli aggettivi, gli avverbi e i connettivi. Una volta s’insegnava questo nelle redazioni. Paolo Grassi era infatti un giornalista delle arti sceniche, un critico. Così, da osservatore costretto ad annotare i dettagli, era cresciuta la sua passione per il teatro.

Un giorno, mentre attendeva il tram fra via Petrella e corso Buenos Aires al termine di uno spettacolo, conobbe Giorgio Strehler. Nacque un sodalizio inossidabile, foriero di grandi esperienze. Prima fra tutte la nascita del Piccolo Teatro.
Poeta dell’organizzazione Paolo, poeta della scena Giorgio: il rigore pragmatico e l’invasamento creativo; una dialettica d’opposti destinati a compensarsi, pervadendo ogni momento della loro vita. Perché «il teatro – diceva Grassi – è una cosa viva, che esige tutto a chi lo fa […] Come una sabbia mobile ti assorbe e ingloba tutto. […] Io ho sempre creduto che fare teatro non fosse un fine, ma un mezzo: attraverso il quale, personalmente, ho creduto di soddisfare alla mia passione civile, al mio bisogno di essere utile, di servire la causa del progresso».

Il monologo “Paolo” è un fotoservizio narrativo che condensa un’epoca: esperienze personali, drammi collettivi, ideali civili. Scorrono gli anni della scuola, il servizio militare, la lettura di libri messi all’indice dal fascismo, Joyce, Brecht e Strindberg; le innumerevoli lettere di Grassi a immortalare amori, amicizie, esperienze.
C’è la Milano del dopoguerra, la libertà ritrovata, gli aiuti al Piccolo del sindaco Greppi, persuaso che il teatro servisse a risollevare le coscienze e fosse indispensabile non meno del latte che mancava per i bimbi, dei vetri da cambiare nelle scuole, dei muri da rifare negli ospedali. Ci sono gli anni alla sovrintendenza della Scala e alla presidenza della Rai, nutriti di slancio sociale e umanistico. C’è il coraggio del dubbio e dell’errore, perché «solo gli stupidi non cambiano mai opinione». Ci sono le battaglie di Grassi contro la sciatteria, il rispetto maniacale per il pubblico, la capacità di confezionare uno spettacolo come prodotto perfetto adatto a tutte le tasche.

“Paolo” è un mix di deferenza e amore per il teatro. È un monologo pulito, semplice, mai frivolo. Gasparro recita senza sbavature. La drammaturgia è ritmata e snella grazie anche al contributo di Paola Ornati, che si è misurata sia con narratori d’impegno civile e storico come Vacis, Curino, Paolini e Servillo, sia con comici di sensibilità sociale come Mannino, Parassole, Manera e Faiella.
“Paolo” è quindi un saggio di buona scrittura, uno spettacolo brillante, curato nei dettagli e recitato con vigore.

PAOLO
uno spettacolo di e con Davide Gasparro
drammaturgia Paola Ornati e Davide Gasparro
scenografia Flavio Pezzotti
costumi Eleonora Rossi
luci e tecnica Mattia De Pace
suono Elena Rivoltini
regista assistente Jacopo Sorbini
management e distribuzione Theatron 2.0
produzione BezoarT
in collaborazione con Fondazione Paolo Grassi – La voce della cultura
con il supporto di Amuranza e Festival della Valle d’Itria

durata: 1h 5’
applausi del pubblico: 4’

Visto a Milano, Teatro Elfo Puccini, il 18 novembre 2019

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