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Quer pasticciaccio del Teatro di Roma: come se ne esce?

Photo: teatrodiroma.net

Photo: teatrodiroma.net

Torniamo con questa nostra terza puntata ancora al Teatro di Roma, dove nel frattempo Emanuele Bevilacqua, nella seduta del 1° giugno, è stato riconfermato Presidente fino al 2023.
Mentre il Teatro comunica che “a breve” uscirà una manifestazione di interesse per la figura di direttore generale: la figura del direttore generale – le cui deleghe al momento sono tornate in carico al legale rappresentante e presidente Bevilacqua – sarà individuata tramite una manifestazione di interesse avviata dal nuovo Consiglio d’Amministrazione. Nel nuovo Cda c’è una rilevante rappresentanza femminile, hanno sottolineato sia il teatro che la sindaca Raggi, con la designazione delle consigliere Francesca Vergari e Berta Maria Zezza, a cui si affiancano le ‘rinnovate’ Cristina Da Milano e Rossana Rummo.

Dopo aver ripercorso, nel precedente articolo, le ultime vicende del teatro della capitale nelle sue questioni amministrative e burocratiche, i compensi e i compiti riferiti ai ruoli, questa volta il Troll del Teatro cercherà di dipanare i problemi che, da diversi punti di vista, questa situazione ha fatto emergere.

Il problema amministrativo-politico.
Il CdA dimissionario, facendo un atto poco consono e poco elegante nei confronti del CdA entrante, ha contrattualizzato (sotto richiesta dei Soci e perciò di Comune e Regione) due consulenti artistici che sono figure che dovrebbero essere scelte dal Direttore generale (come prevede sia l’art. 14 dello Statuto del Teatro di Roma e sia l’art. 12), per due anni, costringendo di fatto il prossimo Direttore ad accettare due consulenti, sconfessando, o meglio modificando, la lettura del Decreto Franceschini.

Questo perché? Perché la politica non sa prendersi le sue responsabilità e per tentare di salvare capra e cavoli tenta di metterci una pezza?

Giorgio Barberio Corsetti chiaramente ha uno stipendio da dirigente e non da consulente, perché quello informalmente è; avrà le mani libere dalla burocrazia e almeno non avrà responsabilità di una gestione amministrativa che tarpava le ali alla sua gestione artistica. Nella risposta dell’ufficio stampa del Teatro di Roma, infatti, Barberio Corsetti viene nominato come Direttore Artistico, ma questa figura, nello Statuto del Teatro di Roma, non esiste.
Ciò rivela una spaccatura vera e propria: una visione che disconosce il percorso politico e istituzionale scelto finora.
Ora c’è da capire se questo sia un atto rivoluzionario o reazionario, un atto insito un giochetto politico tra le parti (in cui ci vanno di mezzo, oltre a due professionisti, anche il futuro della cultura teatrale a Roma) o un mero atto di disobbedienza verso una regolamentazione (come il Decreto Franceschini) che pare non essere capace di rappresentare e sostenere ciò che avviene nella situazione romana.

Forse si dovrebbe avere il coraggio delle proprie azioni politiche: affidare la gestione artistica a chi è capace di fare ciò, dando carta bianca, nei limiti economici imposti, come succede negli altri Paesi europei e la gestione economica a chi lo sa fare?

Teatro di Roma afferma che “per questa operazione di riassetto gestionale il Teatro di Roma, sia per la direzione e la consulenza artistica, che per la direzione generale, rispetterà il budget previsto dallo Stabile per tale capitolo di spesa. Inoltre, il ripensamento della formula dirigenziale per cui la figura amministrativa viene distinta da quella artistica, comporta una nuova articolazione in linea con le scelte dei maggiori teatri europei e nazionali, un modello di direzione plurale”.

Che si farà ora? Seguendo i comunicati del Teatro, dovranno prima chiedere ai Soci di cambiare lo Statuto e poi ricercare un Direttore generale che, oltre ad avallare un consulente artistico (Francesca Corona) e trovare un equilibrio con il Direttore artistico (figura che dovrà essere aggiunta nello Statuto), dovrà pure prendersi le responsabilità civili e penali di tutta la struttura (probabilmente sarà fatto da un interno al Teatro di Roma stesso).
Se questi passaggi non fossero fatti, cosa che ritengo debba essere auspicata anche da tutti gli artisti e le artiste che li hanno difesi in questi giorni, le poltrone di Giorgio Barberio Corsetti e Francesca Corona potrebbero non essere così salde.

Il problema etico ed economico.
Una spesa così ampia il Teatro di Roma può permettersela?
Se la può permettere da un punto di vista etico, dopo il licenziamento di alcuni artisti (o per meglio dire lo scioglimento di una compagnia), dopo i rapporti economici con le compagnie preesistenti e dopo la nuova proposta di contratti al minimo sindacale per le nuove produzioni?
E può permettersi, in questo contesto, di pagare una regia 40.000 euro e la regia di una ripresa di uno spettacolo 20.000 euro?
Se la può permettere un teatro nazionale che, con alcune compagnie, fa dei contratti a percentuale?
Probabilmente no, ma il problema è forse in chi accetta uno stipendio?
Il problema è in chi avalla dei contratti, sapendo di dover – pochi giorni dopo – licenziare delle persone?
Il problema è in chi sceglie una persona e non gli dà il giusto peso artistico, o della persona che viene scelta?

Vediamo cosa accade negli altri Paesi europei e cosa in Italia. Ricordando che la peculiarità di ogni ente varia già da teatro a teatro all’interno del nostro territorio (nonostante siano nello stesso cluster del Fus), figuriamoci da nazione a nazione.

Abbiamo preso in considerazione l’Odeon di Parigi, il Teatro Nazionale di Strasburgo, lo Schauspiel di Colonia, il Teatro d’Arte di Mosca, il Teatrul Bulandra di Bucarest, il Teatrul Maghiar di Cluj.
Nessuna spesa per la direzione artistica (sempre al netto dei regimi fiscali) è superiore all’1% delle entrate totali del teatro; nel nostro caso invece, senza considerare il pagamento del (futuro) Direttore generale, siamo a quasi il doppio bonus compresi (l’1,8%), in linea quasi con la media dei Teatri Nazionali.
Ma soprattutto scopriamo che, tra i salari della dirigenza e degli attori delle compagnie interne ai teatri, non c’è questa differenza sostanziale. Si passa dal 40% all’80% del compenso del direttore generale (non consideriamo nel calcolo la Francia, che ha la legge sull’intermittenza e perciò il calcolo sarebbe più complesso).
Perciò, esclusi i bonus del contratto di Barberio Corsetti, attuando queste percentuali, tutti gli scritturati per una produzione del Teatro di Roma dovrebbero prendere dai 3000 euro ai 6500 euro al mese (e conseguentemente anche Francesca Corona dovrebbe avere un aumento).

Il problema della trasparenza e della comunicazione.
Ancora non si capisce perché l’ex Direttore Generale non abbia fatto una conferenza stampa o perché questa storia non sia venuta fuori appena successa. Spettava a lui? E’ corretto che un’amministrazione non sia stata chiara su questa procedura?
Perché non chiarire le motivazioni delle dimissioni subito?

Inoltre, se le insinuazioni di Cordelli fossero vere, perché non rassicurare che tali affidamenti diretti non siano stati fatti o, se sono stati fatti per errore, questa presunta ditta non sia collegata a nessuno dell’amministrazione o della dirigenza del Teatro di Roma?
Se le accuse di Cordelli fossero fondate perché non denunciarle alla Guardia di Finanza?

E’ corretto che il Teatro di Roma, che è un’associazione privata di diritto pubblico, non riveli pubblicamente un fatto così importante e che i Soci (Comune, Regione ed ex Provincia) facciano un cambio ai vertici senza avvertire gli elettori, nonché contribuenti, e perciò compartecipi alle finanze del Teatro di Roma stesso?

Il problema artistico-politico.
Siamo disposti ad accettare qualsiasi aberrazione politica che ha portato a questa situazione in cui è mancata la trasparenza delle istituzioni, una tempestiva comunicazione, una visione politica che accompagni una scelta e una chiara amministrazione, per arrivare ad avere una direzione artistica che merita la nostra città?

Siamo disposti ad accettare che una direzione artistica fortemente voluta da tutta la comunità di artisti (e che finalmente possa essere l’atteso cambiamento innovativo) possa essere sporcata da una politica che non sta al passo?

E la stessa comunità artistica che sostiene tale direzione è disposta a sostenere un cambiamento, dopo anni di decadenza, a qualsiasi prezzo? Ora il possibile rinnovamento artistico della città quanto dovremo pagarlo?

Vogliamo avere la forza di dare ad un Direttore artistico la possibilità di lavorare davvero?

Vogliamo chiedere alla politica della città e del Paese di dare il giusto peso alla cultura e di prendersi delle responsabilità nelle scelte, seppur difficili, di una linea culturale, che sia – oltre che chiara – anche sostenuta dalla politica stessa?

Possiamo pretendere dei direttori artistici che pensino alla linea artistica delle strutture, senza dover incappare in problemi burocratici o errori amministrativi che sminuiscono il loro lavoro?

La politica può svegliarsi e seguirci?
In così tanti anni noi artisti abbiamo camminato lentamente, eppure – neanche così – amministrazioni e dirigenti politici sono riusciti a seguire il nostro incedere.

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