Il Pedigree di Babilonia Teatri: 2 madri, 4 polli e la matematica

Babilonia Teatri al Festival delle Colline Torinesi (photo: Andrea Macchia)
Babilonia Teatri al

Una volta c’era Edipo, con due padri e una gobba. Ormai però ce ne è venuto a noia.

Sarà forse un caso che sia Ovidio, sia Kafka abbiano scritto delle “Metamorfosi”? Proprio in quelle pagine il Nasone di Sulmona ha citato il mito platonico dell’androgino, della mela perfetta: avrebbe forse dato ai polli arrosto della personalissima “Lettera al padre” di Babilonia Teatri un tocco “gourmand”…
Ciò che invece sappiamo per certo è che questo Edipo in provetta può contare su due madri sollecite e amorevoli, mamma Marta e mamma Perla.

Enrico Castellani, seduto fieramente sulla sua fiammante poltrona-sidecar, infilza l’uno dopo l’altro quattro polletti. Sistema poi il lungo spiedo d’acciaio all’interno di un girarrosto verticale.
Saranno l’inconfondibile profumo e la loro lenta doratura a scandire il tempo-ritmo dell’azione.

Sul palco del Festival delle Colline Torinesi, trasformatosi per l’occasione in scatola buia «a metà strada tra una galleria d’arte e un locale di street food», oltre a Castellani compare il fidato Luca Scotton, anche stavolta in veste di addetto alle funi e controfigura.
Saggiamente antifrastiche sono poi le scelte musicali, dal “Love me tender” del playboy Elvis all’inno alla “Mamma” del “casanova” Claudio Villa. A suggellare questa incursione negli anni Cinquanta, un microfono vintage, che accompagna l’epistola a voce alta di “Pedigree”, ultima fatica della compagnia veneta.

Giocando con cromie e tonalità dissonanti Babilonia Teatri cerca di proporre un continuo “controcanto” tra vicenda e accompagnamento, tra mythos e luoghi comuni da sfatare. Tutto ciò servendosi di espedienti scenici a tratti elementari ma di sicura presa sul pubblico: stilizzati fino al limite dello stereotipo sono le due figure materne, che diventano una coppia di lunghi abiti bianchi posti su gruccia. Castellani lancia le sue mamme, le rincorre e le abbraccia, per riporle infine in due sacchetti sottovuoto, privandole dell’ossigeno.

Al di là della selva di metafore più o meno esplicite che va dischiudendo, questo nuovo lavoro si conferma intenso e “sapido”, riuscendo a raggiungere la meta cui ogni spettacolo teatrale dovrebbe approssimarsi: per dirla con Attisani, «il bisogno [per gli spettatori] di essere sorpresi e autorevolmente messi in discussione».
È una rivendicazione di vita, di esistenza, di identità questo “Pedigree”, contro tutti i vincoli dello schematismo “binario”. Casus belli è il semplice quesito di aritmetica proposto da un libro delle vacanze ormai sepolto nella memoria individuale, ma mai veramente rimosso: una famiglia di otto membri – padre, madre e cinque figli – deve dividere quattro polli in parti uguali. A quanto equivale ciascuna porzione?
Il puerile indovinello fa scattare subito una domanda ben più corrosiva: Denis, compagno di classe del protagonista, chiede infatti all’amichetto per quale ragione non abbia un papà. La replica, in pieno stile “terza legge di Newton”, non tarda ad arrivare: “E tu, perché hai una mamma sola?”.

L’interrogativo divorerà nel tempo l’animo del nostro personaggio (possiamo chiamarlo Kafka?) come un tarlo. Il ragazzo, pur cresciuto nell’affetto da una splendida coppia omogenitoriale, vive con questo padre biologico lontano e impersonale un “rapporto edipico” sui generis. Il buon samaritano della banca del seme ha infatti acconsentito a rivelare la propria identità ai discendenti una volta che questi avessero compiuto la maggiore età. Coesistono così nel figlio pulsioni contrastanti: nel descrivere l’atto del padre-donatore sembra intessere una sottile reprimenda, ma poi ammette di volerlo incontrare, sia pur “con gli occhi chiusi”. Federigo Tozzi non avrebbe saputo dirlo meglio: questo Pietro Rosi dall’accento veronese mostra al pubblico tutta la fragilità di una generazione, sempre più numerosa, di giovani alla ricerca di sé, su un sentiero che pone in eterna dialettica biologia e amore.

Un viluppo, questo, che trova sfogo in due scelte registiche solo in apparenza contrastanti: da una parte, la brama fisica, la corporeità, la carnalità che trasudano dallo spettacolo, fino all’insistita rivendicazione dell’incesto con la propria “sorella di sperma”; dall’altra, l’eloquio scandito, monocorde e piatto: due scelte che hanno creato, fin dai tempi di “Made in Italy”, il marchio di fabbrica di Babilonia Teatri. E che in questa nuova prova risultano azzeccate nel loro rimando alla contraddizione clinica, asettica, di un bambino plasmato in laboratorio, tra gameti a distanza, ma per volontà fortemente carnali.

Allieta, sul finale, l’happy ending: a Natale la famiglia (geograficamente) allargata si riunirà a Roma, e finalmente il nostro Kafka potrà trovare una rasserenante risposta al problema di matematica che lo aveva tanto ossessionato. Sarà anche l’occasione per prendere una decisione importante: un giorno sarà “padre”. Trasmetterà a qualcun altro il proprio DNA, il proprio pedigree.

PEDIGREE
di Babilonia Teatri
regia Babilonia Teatri
con Enrico Castellani e con Luca Scotton
parole Enrico Castellani
cura Valeria Raimondi
direzione di scena Luca Scotton
un progetto di Babilonia Teatri
produzione Babilonia Teatri, La Piccionaia Centro di Produzione Teatrale
co-produzione Festival delle Colline Torinesi
organizzazione Alice Castellani
scene Babilonia Teatri
costumi Franca Piccoli
foto di scena Eleonora Cavallo

durata: 50′
applausi del pubblico: 5′ 03”

Visto a Torino, Teatro Astra, l’11 giugno 2017
Prima nazionale

 

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