Pelléas et Mélisande. Barbe & Doucet propongono Debussy dal Regio di Parma

Photo: teatroregioparma.it
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Dobbiamo ammettere con rammarico di non aver mai avuto l’occasione di assistere di persona al capolavoro di Claude Debussy “Pelléas et Mélisande”, per cui è stata una gioia, piena di grande curiosità, seguirlo ed apprezzarlo, anche se in streaming, su RAI 5 dal Teatro Regio in occasione di Parma capitale della Cultura 2021.

Il compositore francese, non certo avvezzo al teatro musicale (completò solo un’altra opera, “Le Martyre de Saint Sebastien”) fu sedotto dal testo di Maurice Maeterlinck, da cui è tratto il libretto, dopo averne visto una rappresentazione nel maggio 1893, e sentendosi attratto dall’atmosfera e dalle suggestioni che vedeva assai contigue alla sua estetica musicale.
Fu molto contento dunque quando lo scrittore belga lo ringraziò per la scelta, che riteneva essere per lui un grande onore. Debussy si diede da fare indefessamente alla stesura dell’opera, e il 31 maggio 1894, durante una festa organizzata dal poeta Pierre Louÿs, ne suonò il primo atto.
Ma tutto ciò che sembrava facile, in seguito si complicò molto, anche per i disaccordi sopravvenuti con Materlinck, che addirittura minacciò di sfidare a duello il compositore, cercando di sabotarne il debutto con finti programmi di sala, colmi di ironie sulla vicenda narrata che, come vedremo, si prestava a sottotesti e fraintendimenti.

“Pelléas et Mélisande” riuscì finalmente a debuttare il 30 aprile del 1902 all’ Opéra-Comique di Parigi e, come succede anche oggi per le regie innovative, si formarono subito due opposte fazioni: da una parte, i sostenitori di Debussy, fra cui Maurice Ravel, e dall’altra quelli di fede wagneriana, contrari all’innovazione musicale dell’autore. Nelle serate successive, come suole accadere per i grandi capolavori, il consenso andò man mano aumentando e alle ultime repliche il pubblico entusiasta riempì il teatro. E per fortuna, perché “Pelléas et Mélisande” rimane una pietra miliare del teatro musicale che, seppure in altro modo, come la quasi contemporanea Salomè straussiana (del 1905), rappresenta una forte cesura con la tradizione ottocentesca (anche se qui, paradossalmente, ancora una volta tra soprano e tenore si intromette un baritono), un taglio netto che ci porta direttamente nell’epoca contemporanea, tenendosi distante sia da Wagner sia da Berg.

Come fece più tardi Strauss con il testo di Wilde, il musicista francese conservò pressoché intatto il dramma di Maeterlinck, mantenendone l’originale scrittura in prosa, essendo il primo compositore a mettere in musica un testo teatrale preesistente, così com’era stato pensato, scelta che aprì la strada a un nuovo modo di connettere il teatro di prosa con quello musicale, “inventando un modello originale di declamato lirico, capace in tutto di rispettare la prosodia del testo, con il risultato di dar vita a un’intonazione estremamente scorrevole e ‘parlante’, ma ricca d’incredibili sfumature espressive – ci ricorda Alberto Batisti nel “Dizionario dell’Opera 2008” (a cura di Piero Gelli, edito da Baldini Castoldi Dalai) – Nel tracciare questo nuovissimo stile vocale, il musicista fece tesoro delle sue mélodies per voce e pianoforte”.

L’opera racconta l’infelice e contrastato amore tra Pelléas, fratellastro di Golaud, nipote di Arkël, re di Allemonde, e la misteriosa Melisande. All’inizio dell’opera Golaud la incontra nella foresta vicino al suo castello, dove la donna si era persa.
L’uomo la consola e la convince ad essere ospite al castello. Qui Melisande si trova a suo agio e le sue paure svaniscono, acconsentendo di sposare Golaud.
Al castello intanto giunge Pelléas, fratellastro di Golaud. Tra i due nasce un amore a prima vista. Mentre i due sono sui bordi di una fontana, lei fa cadere sbadatamente la fede nuziale nell’acqua e mentre i due giovani cercano insieme di recuperare l’anello le loro mani si sfiorano: da quel momento si sentono attratti sempre di più. Pelléas, per rispetto al fratello, intende allontanarsi dal castello, invitando l’amata ad un ultimo incontro.
Golaud, pazzo di gelosia, li sorprende, e in un impeto di furore uccide il fratello, ferendo anche Melisande, divisa tra la gratitudine al marito per averla salvata da morte certa e l’amore per Pelléas. La donna morirà, donandogli una figlia, ma lasciando il marito nell’incertezza del suo avvenuto tradimento.
Della partita sono anche la materna genitrice dei due fratelli, Geneviève, il figlio di primo letto di Golaud, il piccolo Yniold, interpretato da un mezzo soprano, e Arkël, l’imbelle re di Allemonde.

Il duo franco-canadese Barbe & Doucet concepisce un allestimento circolare, ispirandosi allo spiritismo tardo ottocentesco che Debussy amava molto, e che lo spinse a mettere in musica – anche se in modo incompiuto – “La caduta della casa degli Usher”, basata sul romanzo di Edgar Allan Poe.
I due registi immettono i personaggi in uno spazio indefinito, utilizzando sapienti riferimenti pittorici: da Segantini a Magritte sino a “L’isola dei morti” di Arnold Böcklin. Tra elementi scenici dove acqua e terra, cielo e sottosuolo, luce e ombra, radici e nuvole continuano a rincorrersi, i personaggi del dramma si muovono di bianco vestiti, accompagnati da significanti figure diafane munite di globi di luce: il colore è bandito e il loro destino ineluttabilmente segnato.

Tutto avviene in perfetto connubio con la musica raffinata e misteriosa, nella sua evanescenza cangiante, di Debussy. L’unico interprete che Barbe & Douce collocano nel nostro mondo reale è Andrea Pellegrini, che impersona di volta in volta un pastore e un medico.
Ma non si creda che l’opera di Debussy sia solo legata al fluire della musica che ben conosciamo dalle sue composizioni orchestrali. Tra diversi interludi sinfonici, che caratterizzano le atmosfere che si susseguono nell’opera, la parola riesce infatti a diventare sempre significante nei vari stati d’animo dai protagonisti: incessante nell’esprimere l’ira di Golaud, che vuole spingere il figlio a fare la spia; rara nel manifestare il mistero intorno alla presenza di Melisande, all’inizio dell’opera; piena di passione trattenuta negli slanci amorosi di Pelléas, sempre in perfetta consonanza con l’elemento musicale.

Oltre alla regia abbiamo molto apprezzato anche tutto il comparto musicale, a partire dalla direzione di Marco Angius che, alla guida dell’Orchestra dell’Emilia-Romagna Arturo Toscanini, posizionata purtroppo in una platea deserta, con il Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani, è riuscito a farci gustare pienamente una partitura così innovativa.
Anche gli interpreti vocali hanno pienamente convinto: da Monica Bacelli come Mélisande a Michael Bachtadze come Golaud, mentre Pelléas ha trovato in Phillip Addis un’incarnazione di rara partecipazione emotiva.
Convincenti anche l’Arkël di Vincent Le Texier e la Geneviève di Enkelejda Shkoza. Un plauso merita infine Silvia Frigato per la sua straniante e non facile immedesimazione nel personaggio del piccolo Yniold.

PELLÉAS ET MÉLISANDE
Dramma lirico in cinque atti e dodici quadri su libretto di Maurice Maeterlinck.
Musica CLAUDE DEBUSSY
Edition Durand Paris Rappresentante per l’Italia Casa Ricordi srl

Cast
Personaggi Interpreti
Mélisande MONICA BACELLI
Pelléas PHILLIP ADDIS
Golaud MICHAEL BACHTADZE
Arkël BJARNI THOR KRISTINSSON
Geneviève JENNIFER LARMORE
Yniold SILVIA FRIGATO
Un medico ADRIANO GRAMIGNI
Un pastore ADRIANO GRAMIGNI

Maestro concertatore e direttore MARCO ANGIUS
Regia, scene e costumi BARBE & DOUCET
Luci GUY SIMARD

ORCHESTRA DELL’EMILIA ROMAGNA ARTURO TOSCANINI
CORO DEL TEATRO REGIO DI PARMA
Maestro del coro MARTINO FAGGIANI

Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma in occasione di Parma Capitale Italiana della Cultura 2020
In coproduzione con Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena
Spettacolo con sopratitoli in italiano e inglese

Durata complessiva 3 ore circa, compreso un intervallo

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