L’alto, moro, barbuto, e il basso, pelato, sbarbato: sono una coppia evidentemente comica, indossano la “divisa” di Marcel Marceau, mimano con completo nero e maglia a righe, fanno i buffoni, ricordano certe maschere dei comici dell’Arte e, nella versione più moderna, gli sketch di Totò e Peppino.
Eppure sono i due becchini “Per Amleto”. E’ questo infatti il titolo del lavoro diretto, e adattato a partire dal testo shakespeariano, da Michelangelo Dalisi, che aggiunge un “per” e specifica così la funzione della coppia, interpretata da Salvatore Caruso e Francesco Villano: due che interpretano “per Amleto” tutti i personaggi e i ruoli della sua storia, aiutandolo a vedere, capire, e quindi uscire dai suoi famosi dubbi…
Procedere per sottrazione, astrazione, in una parola sintetizzare, rendendo attuale e universale il tormento umano di quel giovane uomo che Shakespeare identificò col Principe di Danimarca pare il senso di questo lavoro, vincitore del Premio Tuttoteatro.com “Dante Cappelletti” 2006, e debuttato nel 2007 al Napoli Teatro Festival, ora presentato in una edizione rinnovata da Inbalìa Compagnia Instabile al Teatro i di Milano, fino a domani 4 aprile.
E in effetti si può dire che lo spettacolo proceda per sintesi, sia perché il testo adattato riassume la complicata trama estrapolandone solo alcuni passaggi scelti, ma soprattutto perché la messa in scena si serve di un condensato di generi teatrali, tanto da permettere allo spettatore di sfogliare quasi un manuale teatrale.
Per aiutare il “folle Amleto” a ricordare e risalire all’origine dei suoi strazi, i becchini si faranno in due clown, in due maschere tragiche, in due mimi, in due danzatori, e così via, aiutandosi con i pochi oggetti di scena che, mano a mano, tireranno fuori da una scatola ferma in proscenio: una cassa da morto che a tutti gli effetti ricorda il classico baule delle vecchie compagnie di giro.
Anche in questo senso lo spettacolo è un recupero della memoria: parallelamente all’evoluzione vissuta dal protagonista riavvolgiamo il nastro della storia della scena italiana. Un esempio, prima di tutti e non casuale, è il teatro napoletano: Michelangelo Dalisi ha lavorato con Leo De Berardinis, e quindi le citazioni napoletane di “Per Amleto” omaggiano “Totò principe di Danimarca”, spettacolo che univa “i miei due fortissimi riferimenti: le esplosioni naturali del primo vengono temperate dall’estrema solitudine ricercata dal secondo e viceversa – raccontava l’autore – Sono due mie componenti come di qualsiasi altro uomo”.
Lo stesso tentativo di equilibrio rivive pienamente in “Per Amleto”, dove comico e tragico non solo si avvicinano, ma interagiscono, e il gioco funziona grazie all’intesa evidente fra gli interpreti, oltre che alla loro indubbia capacità. A partire proprio dalla coppia dei becchini: “Ignazio e Petronio”, parodia di Orazio e Polonio, debuttano in versione “comiche” da film muto, su una scena che ricorda vagamente quelle scenografie illuminate da lucine, lanterne e lampade tonde delle prime pellicole in bianco e nero.
Abbinate all’atmosfera da “Circus” di Charlie Chaplin, anche le mosse che costruiscono le gag dei due becchini-buffoni, esteticamente contrari ma essenzialmente uniti; proprio come i clown secondo Federico Fellini, che distingueva tra il clown bianco e l’Augusto: “Le due figure incarnano un mito che è in fondo a ciascuno di noi: la riconciliazione dei contrari, l’unicità dell’essere”.
Questa convivenza di opposti era per Fellini alla base della drammaticità del clown, così come per Shakespeare, a scatenare la tragedia in Amleto, era proprio il suo essere un “malato di esitazione”, perseguitato dal dubbio. Un disperato, insomma, perfettamente interpretato da Dalisi con tutti gli eccessi del caso: il suo è un profilo azzeccato per rappresentare il giovane principe tormentato, con la fronte aggrottata, le sopracciglia tese e scattanti, seguite dalle mani aperte in segno di difesa, o meglio arresa, e dalla bocca nervosa, agitata dall’eccesso di pensiero, quasi spaventata. Così come quella più famosa di Amleto, stampata in bianco e nero nella serie dei “Dramatic Characters” e appartenuta, secondo l’incisore che la realizzò nel XVIII secolo, a David Garrick mentre interpretava “Hamlet”, Atto I, Scena 4.
L’attore inglese passò alla storia per le pose stravaganti e, dopo aver visto Dalisi, forse si potrebbe pensare che anche le sue continue contrazioni e scosse del corpo, a volte quasi meccaniche, siano appositamente evidenziate come a omaggiare una certa iconografia relativa al tormentato Amleto.
“Per Amleto” è uno spettacolo ricco di suggestioni: da un lato perché riporta all’attenzione il mimo come genere, considerato nel suo senso più autentico di imitazione, seppur caricata, del vero, nato come antidoto alla “noia” della classica commedia. Dall’altro, il lavoro di InBalìa è originale nell’affiancare la “tradizione” all’esperienza poliedrica della compagnia: mescola abilmente diversi saperi, sfoderando piccoli pezzi di grande potere teatrale. E proprio uno di questi compare in quello che dovrebbe essere il duello mortale tra Laerte e Amleto, che qui si trasforma in una danza piena di vita di Villano e Dalisi.
Per Amleto
da William Shakespeare
con: Salvatore Caruso, Michelangelo Dalisi, Francesco Villano
adattamento e regia: Michelangelo Dalisi
elementi scenici: Riccardo Dalisi
costumi: Elena Cavaliere, da un’idea di Gianluca Falaschi
disegno luci: Luigi Biondi
progetto video: Simone Covini
aiuto regia e drammaturgia: Linda Dalisi
durata: 1h 15′
applausi del pubblico: 2’ 18”
Visto a Milano, Teatro i, il 30 marzo 2011