Per i 20 anni di Armunia la difesa del genius loci

Uno scatto informale da sabato scorso. Da sx Angela Fumarola
Uno scatto informale da sabato scorso. Da sx Angela Fumarola

Lo sappiamo: i compleanni sono sempre forieri di gioie, talvolta condite di malumori, e spesso diventano occasione di riflessione e momento di bilanci. Figurarsi se la questione in ballo sono i 20 anni di Armunia, che mai come in questi ultimi anni della sua storia ha attraversato più di una tempesta. Non si naviga in buone acque. E adesso è pure previsto dall’amministrazione comunale il trasferimento della storica sede dal Castello Pasquini odoroso di salmastro agli irti colli di Rosignano Marittimo.

C’era quindi curiosità quando nel pomeriggio di sabato 12 novembre arriviamo per assistere, nell’ambito di “20 anni di Armunia, l’inizio di un nuovo cammino”, alla tavola rotonda intitolata “Lasciamoci ispirare”, da un’idea di Angela Fumarola, anche perché nel dibattito avvenuto la sera precedente in altra sede c’erano state scintille tra Massimo Paganelli, Renato Palazzi e il sindaco Alessandro Franchi. Quest’ultimo non aveva fatto che ribadire decisioni già annunciate da tempo, e che vi illustreremo tra poco.

Delle molte cose ascoltate e dette, ci sembra che la più palese, emersa nitidamente in molti degli interventi sia degli ospiti sia di coloro che si trovavano tra il pubblico (ma che in realtà, al di là di pochissime eccezioni, rientravano nella cosiddetta categoria degli addetti ai lavori), sia stata la fondamentale e molto dibattuta questione della sede di Armunia. Per la gran parte dei presenti un suo spostamento significherebbe un vero e proprio omicidio, e a farne le spese sarebbe il tanto invocato genius loci, spiritello, nume tutelare che abita il castello e tutto il suo meraviglioso giardino, testimone di un passato glorioso e guida di un radioso futuro.

Ma facciamo un passo indietro: mentre in questi giorni la tensostruttura del Castello Pasquini, che tanti gloriosi protagonisti ha ospitato, sarà demolita in quanto non più agibile, anche il Castello Pasquini per motivi di età verrà restaurato. Tutto questo, come già annunciato, porterà ad un cambiamento epocale: la sede di Armunia sarà trasferita a Rosignano Marittimo, circa sei chilometri in collina dal mare, dove avrà nuovi uffici, una foresteria finalmente a norma e un auditorium nella sede del Palazzo Arcivescovile, e potrà sfruttare gli spazi del Teatro Solvay per gli spettacoli.

Eppure tale scelta non va giù a molti, che vedono nella decisione un dannoso stravolgimento.
Tra l’altro, per dovere di cronaca, segnaliamo che il Comune, in parallelo a quella di Armunia, ha organizzato una stagione invernale che vede sei appuntamenti al Solvay a partire dal mese di gennaio. E questo sembra a dir poco bizzarro.

Tornando al compleanno di Armunia, proviamo a tratteggiare uno schizzo che testimoni le voci che abbiamo ascoltato nell’incontro moderato dal giornalista de Il Tirreno Andrea Rocchi e con protagonisti i critici Attilio Scarpellini e Renato Palazzi, lo storico direttore Massimo Paganelli, l’attuale direttore Fabio Masi e il presidente di Armunia Vincenzo Brogi.
La linea rossa, certo non sottile come quella della famosa pellicola di Terrence Malick, che ha accomunato la stragrande maggioranza degli interventi, è stata quella della fondamentale e necessaria importanza di mantenere Armunia nella sede attuale, per non snaturarne l’unicità.
Armunia è quello che è “anche grazie alla storia che si respira nelle stanze del castello” e trasferirla, ha affermato Paganelli in tono provocatorio, “sarebbe un peccato mortale davanti al dio che tutti guarda”.

Ma andiamo in ordine. L’esordio è stato affidato ad Attilio Scarpellini, che ha sottolineato il legame intercorso in questi anni tra Roma ed Armunia, un legame florido, fondamentale e fondante, limo che ha nutrito e aiutato la crescita di artisti quali Lucia Calamaro, Massimiliano Civica, Daniele Timpano ed Elvira Frosini, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, tanto per far dei nomi. Scarpellini ha messo altresì in evidenza come Inequilibrio “sia un festival dove si può sbagliare”, possibilità rara ed inusuale nell’attuale panorama teatrale, ed inoltre come il centro toscano rappresenti un luogo che permette “incontri straordinari, e dove c’è un’alchimia umana che lo rende grande”. Ma soprattutto è uno spazio dove l’“arte del vivere”, oramai pressoché dimenticata nell’intera Europa, qui non è affatto dimenticata.

Renato Palazzi ha invece colto l’occasione per sottolineare ancora una volta come quello delle stagioni teatrali e quello dei festival siano oramai due mondi separati, mondi lontanissimi direbbe Franco Battiato. Ma tale distinzione non fa che dimostrare l’importanza rivestita dai festival – si veda Inequilibrio -, nonostante il problema del pubblico, uno dei più discussi attualmente, che per il critico milanese “non è affatto prioritario”. E questo perché, secondo Palazzi, il teatro contemporaneo ha il “suo” pubblico.
Il critico milanese ha poi aperto una parentesi cercando di riassumere in tre punti la funzione che gli appuntamenti estivi vengono a rivestire: “La funzione primaria di intercettare il nuovo e selezionarlo”, “il ruolo trainante esercitato sugli spettatori del territorio, spettatori che in futuro potranno diventare le giovani compagnie” ed ultimo, ma non meno rilevante, “il compito di monitorare la crescita delle realtà territoriali ed aiutarle a maturare”. E sia chiaro, il numero degli spettatori non conta nulla, ha rimarcato.

È stata poi la volta del direttore organizzativo nonché condirettore artistico assieme ad Angela Fumarola, Fabio Masi, che ha messo in luce dapprima l’importanza delle residenze, da sempre perno attorno al quale ruotano tutte le attività del castello, e in secondo luogo sulla capacità di Armunia di “essere un luogo libero, dove si mette a disposizione degli artisti il tempo”, caratteristica che la rende un’oasi di nutrimento e crescita. Un’opportunità che favorisce “il mescolamento degli artisti presenti in residenza”, un mescolamento foriero di incroci dimostratisi assai fruttuosi nel tempo. Un nome su tutti? Il fortunato lavoro “Pasticceri” del duo CapuanoAbbiati. Masi ha poi focalizzato l’attenzione su una delle unicità del festival da lui attualmente diretto, quella di offrire agli spettatori la possibilità “di vedere cose che si vedono solo qui”, appuntamenti unici pensati per Inequilibrio. E l’esempio è andato dritto alle “Metamorfosi” di Fortebraccio Teatro, presente e rappresentato da Roberto Latini e Gianluca Misiti, anche loro seduti nelle file dell’auditorium del Castello Pasquini.

L’importanza delle residenze, della “cura nei confronti degli artisti” è stata sottolineata con vigore anche da Massimo Paganelli, che ha ricordato due figure della prima Armunia, quelle di Maria Bocelli ed Enzo Marconi, e del loro apporto fondamentale nella crescita della struttura. L’intervento di Paganelli è stato occasione per ricordare tanti personaggi che hanno “abitato” le stanze del castello, da artisti di fama mondiale ai premi Nobel. E ancora, riallacciandosi al discorso del tempo e del “meticciato”, Paganelli ha menzionato quella che Aldo Giorgio Gargani chiamava “l’arte del cazzeggio”: l’incrocio di persone, di iniziative e di tutto ciò che negli anni ha portato ad arricchire e consolidare l’esperienza castiglioncellese, ribadendo che Armunia “è questo luogo qui” (il Castello Pasquini): “Trasferirla sarebbe trasformarla, facendola diventare un’altra cosa”.

L’attuale presidente Brogi ha poi posto l’attenzione su di una problematica molto discussa e tirata in ballo dalla riflessione di Renato Palazzi. Brogi si è detto certo che una riflessione sul pubblico sia necessaria, poiché Armunia durante la stagione invernale non ne ha molto, diversamente da ciò che avviene per il festival.

Quando la parola è passata al pubblico in sala si è assistito ad una levata di scudi in difesa di Armunia, con nessuna voce fuori dal coro. Tra queste ha colpito l’intervento di Walter Botti – uno dei pochissimi cittadini di Castiglioncello presenti, e soprattutto un non addetto ai lavori – che, visibilmente commosso, ha ringraziato Armunia per quello che ha offerto e permesso di vedere negli anni.
Anche Carla Pollastrelli ha voluto testimoniare l’importanza di questi vent’anni, ponendo l’accento su come, da adesso in poi, i luoghi come Armunia saranno “più necessari di prima”, poiché, riprendendo le parole di Scarpellini, sono più necessari che mai i luoghi dove è consentito sbagliare.
Ferme e pesanti anche le parole del direttore del Metastasio di Prato Franco D’Ippolito. Un intervento accorato il suo, con una chiosa assai significativa. Segnalando l’importanza di Armunia per l’intero sistema teatrale toscano, e di conseguenza nazionale, ha affermato che “chi la vuole mutare, deve rendersi conto di avere una grande responsabilità”.

Per alleggerire il clima allarmato (e allarmante?) emerso dall’incontro, a mo’ di rito apotropaico, vogliamo riportiamo la provocazione di Roberto Abbiati, che ha proposto di far andare sul palco critici (tra l’altro, in un modo o nell’altro, c’è chi lo fa già!), assessori e sindaci e lasciare che siano gli attori a diventare gli spettatori dei festival. Per vedere che accade.
Quanto invece al destino che toccherà in sorte al genius loci sarà il tempo a dirlo. Per ora l’arrivederci è alla stagione invernale di Armunia – affiancata da quella fondamentale del comune di Rosignano -, con appuntamento ad Inequilibrio 2017, che ad ora, incrociando le dita, appare l’unica lecita certezza.

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