Perché guardare il Lago dei Cigni, una tragedia sulla libertà

Il lago dei cigni di Rudolf Nureyev
Il lago dei cigni di Rudolf Nureyev

Il balletto musicato da Čajkovskij, simbolo della cultura russa, è stato definito in passato “un potente strumento diplomatico”. Oggi più urgente che mai

La vicenda Dostoevskij-Nori-Bicocca porta a riflettere sul rapporto fra arte e politica, cultura e storia (come Klp aveva già fatto in “Dichiarare guerra alla cultura russa?“) e ci insegna che l’arte non abita un mondo isolato ma è parte integrante della storia.

Ricordiamo brevemente l’accaduto: l’Università Milano Bicocca aveva chiesto allo scrittore e studioso di letteratura russa Paolo Nori di tenere un corso su Dostoevskij. Poi la Russia ha invaso l’Ucraina, e l’Università ha deciso di cancellare il corso per non creare ulteriori “tensioni”, salvo poi – viste le immediate polemiche e proteste – ripristinarlo, a patto che Nori parlasse anche di qualche scrittore ucraino. Nori ha rifiutato e la faccenda si è chiusa lì, con un sacco di inviti successivi a tenere il corso in altri luoghi.

Un affaire solo relativamente chiuso, dato che ha sollevato un acceso dibattito online e offline.
Ha senso censurare il corso su uno scrittore russo perché russo?
Significherebbe quasi equiparare ogni persona russa a Vladimir Putin e alla sua orribile guerra. E non dimentichiamo che in Russia c’è anche chi manifesta contro l’invasione in Ucraina, rischiando il carcere. In Russia c’è chi si è esposto apertamente contro Putin, come Elena Kovalskaya, direttrice del Teatro Statale e Centro Culturale Vsevolod Meyerhold di Mosca, che si è dimessa per protesta. E non è la sola.

“Putin non è la Russia” scrive sul Guardian lo scrittore russo Mikhail Shishkin. Altrimenti non dovremmo più neanche andare a teatro a vedere un balletto come “Il lago dei cigni”, simbolo della cultura russa.
Hillary Hanson sull’Huffington Post, riprendendo un pezzo di Charles Maynes, ha scritto che “Il lago dei cigni” è profondamente legato alla storia politica russa in quanto fu mandato in onda in tv in varie occasioni cruciali, come il fallito colpo di stato contro Gorbachev nel 1991.
E ancor prima, nel 1956, come indica lo studio di Stéphanie Gonçalves, il Bolshoi andò in tournée a Londra e portò, fra le varie coreografie, proprio “Il lago dei cigni” come “potente […] strumento diplomatico”.

Il balletto fu creato in epoca zarista, ebbe una genesi complessa, debuttò nel 1877 senza grande successo e fu solo nella versione del 1895, su coreografia di Marius Petipa e Lev Ivanov, che raggiunse la fama.
La storia non narra solamente di amore e metamorfosi, ma anche di lotta del bene contro il male. E come ha scritto Arlene Croce citata da Alastair Macaulay, “Il lago dei cigni” non è una tragedia su degli uccelli, ma una tragedia sulla libertà.
Riadattato in moltissime versioni secondo stili diversi e da coreografi internazionali, questo balletto non è più soltanto un simbolo della cultura russa, ma del balletto classico per tutto il mondo, in repertorio dal Teatro alla Scala all’American Ballet Theatre e al Kiev City Ballet, solo per citarne alcuni.

E proprio Alastair Macaulay, il 27 febbraio scorso, ha postato sulla sua pagina facebook un messaggio eloquente. Dato che avrebbe dovuto parlare proprio de “Il lago dei cigni” in una lezione presso la Dansox (Oxford’s society of dance research, la lezione si può vedere, in inglese, qui), si chiedeva come poteva farlo quando in Europa imperversava la guerra.
La risposta gli è arrivata da un post di Lourdes Lopez, direttrice artistica del Miami City Ballet, che ha raccontato come il coreografo russo Alexei Ratmansky avrebbe portato in scena quella sera il balletto, e di come allo stesso tempo egli avesse la famiglia a Kiev sotto la minaccia di attacchi imminenti. Dedicava quindi la performance della serata all’Ucraina.
Questo aspetto ci spiega come “Il lago” intrecci vite e luoghi, e vada anche per questo oltre certi dettami politici, di potere o ideologici. Occorre continuare a guardare “Il lago dei cigni”, così come a leggere gli autori russi, per tutte queste ragioni.

Nell’articolo di Hillary Hanson si riporta infine un’altra notizia significativa: un estratto del balletto è stato mandato in onda come ultima trasmissione della stazione televisiva TV Rain, un canale indipendente russo che è stato costretto a chiudere per le troppe pressioni del Cremlino. Prima della messa in onda ha dichiarato la sua posizione con le parole più semplici: “No alla guerra”.


Rosella Simonari è una storica della danza e blogger. Laureata in lingue presso l’Università di Macerata con una tesi sul rapporto fra danza e letteratura, ha conseguito un Master e un Dottorato presso la University of Essex. È stata docente a contratto del corso di Danza e mimo presso l’Università di Macerata (2003-2007). Nel 2015 ha pubblicato il libro “Letter to the World: Martha Graham danza Emily Dickinson”, traduzione e riscrittura della sua tesi di dottorato, e la monografia crititica “Alberto Spadolini, Apollo della danza”.
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