Come ogni attrice che si sia formata negli ultimi anni Novanta, quando penso ai festival vado subito con la testa a Volterra, a Santarcangelo, a Castiglioncello… Non mi dilungherò nello scrivere l’opinione che ho di questi festival, del resto ci ho dedicato mezza tesi. Ma c’è qualcosa che sopravvive di quell’atmosfera di festa che leggiamo nei diari di trent’anni fa. E quel qualcosa è la voglia caparbia di trasformare un luogo, un paese a volte pure piuttosto sperduto, in un luogo dove gente – che, a vario titolo, si occupa di teatro – possa confrontarsi, trovare spazi aperti per incontrare e incontrarsi.
Quel qualcosa vive in centinaia di piccoli, piccolissimi festival che emergono in giro per l’Italia, senza pretese di grande notorietà, ma animati piuttosto dal testardo e gioioso ottimismo (a volte venato d’idealismo) di gruppi teatrali che investono in tali situazioni convinti che si tratti, prima di tutto, di un’occasione di crescita per loro stessi.
Ho pensato tutto questo nei giorni d’agosto trascorsi in Sardegna, a Santu Lussurgiu, paese assai piccolo della provincia di Oristano che, per un mese intero, si anima e si trasforma all’interno di un contenitore chiamato Percorsi Teatrali. A organizzare tutto è il Teatro del Segno, compagnia di produzione e formazione con sede invernale a Cagliari, che per l’occasione si trasferisce con tanto di piccoli uffici improvvisati nella sala riunioni della locale scuola elementare, con il sostegno del Comune e della Regione Sardegna.
Che cosa si trova, a Santu Lussurgiu? Innanzitutto tanta formazione e di buon livello. Formazione per bambini e adulti, per principianti e professionisti, perché questi del Teatro del Segno ci credono davvero, alla formazione teatrale come luogo di crescita individuale e pure di sviluppo di una coscienza sociale.
E poi spettacoli di ogni genere, spettacoli di gente già affermata (vedi Isabella Carlone) e spettacoli di chi con entusiasmo frizzante si comincia a muovere nel mondo del teatro IN strada (e non del teatro DI strada, come ci tengono a sottolineare): è il caso dei torinesi Casata Maluf, che si propongono in una esilarante shakespeariana sicuramente ancora acerba ma di grande impatto sul pubblico di ogni età.
E ancora, conferenze su temi legati al teatro, laboratori di illuminotecnica a cura nientepopodimenochè dell’ex direttore tecnico della Scala Salvatore Mancinelli, ma soprattutto festa, una festa grande e condivisa con gli abitanti del paese, che mettono a disposizione le loro case per l’ospitalità agli artisti, vengono agli spettacoli, partecipano curiosi ai dibattiti che seguono le performance (non dimenticherò mai un lussurgiese che mi ha domandato perché andavo in scena scalza, né l’ilarità di tutta la platea quando ho risposto: “perché la prima volta che ho fatto lo spettacolo avevo dimenticato le scarpe a casa”).
Una festa lunga un mese, che si percepisce in ogni momento della giornata, sorseggiando ichnusa nell’unico bar e mangiando tutti insieme nella mensa improvvisata nella scuola elementare.
Non so se la Regione Sardegna rinnoverà il suo sostegno a questo esperimento, ma sinceramente lo spero, perché si tratta di una reale occasione di condivisione comunitaria attraverso il teatro.
Potrebbe essere davvero questo il testamento trasmesso da chi, trent’anni fa, mise in piedi i primi festival sulla penisola.