Pier Luigi Pizzi al Festival della Valle d’Itria: da Cimarosa a Manfroce

Il Matrimonio Segreto (photo: Clarissa Lapolla)
Il Matrimonio Segreto (photo: Clarissa Lapolla)

Dopo aver analizzato, nella prima puntata del nostro report sul Festival d’opera della Valle d’Itria che si svolge nella bellissima cittadina pugliese di Martina Franca da oltre quarant’anni, “Orfeo” il curioso “pastiche” di Nicola Porpora e i due sorprendenti intermezzi “L’ammalato immaginario” di Leonardo Vinci (1726) e “La vedova ingegnosa” di Giuseppe Sellitti (1735), questa volta ci concentreremo sul “Matrimonio segreto” di Domenico Cimarosa e su “Ecuba” di Nicola Antonio Manfroce.
Avevamo già accennato come questo meritorio festival abbia avuto quest’anno due forti trait d’union: l’influenza della scuola napoletana sull’opera tra Settecento e Ottocento e la presenza in molti degli allestimenti presentati, dell’illustre scenografo e regista, quasi novantenne, Pier Luigi Pizzi. Tutte e due le opere in questione posseggono questi elementi.

Iniziamo da “Il Matrimonio segreto”, capolavoro assoluto di Domenico Cimarosa, autore della scuola napoletana di cui avevamo parlato in occasione della versione vista al Teatro Regio di Torino con la regia di Michael Hampe, diretta da Francesco Pasqualetti.
Pierluigi Pizzi, che qui ne cura regia, scene e costumi, attualizza l’opera in modo giocoso e convincente, senza stravolgerla, rendendola gustosamente contemporanea e approfittando anche del funzionale e intrigante libretto di Giovanni Bertati.

La casa di Don Geronio, dove si svolge la vicenda, viene costruita da Pizzi come uno spazio aperto dalle cui porte entrano ed escono i protagonisti. Sulle pareti della casa molte opere di Burri e Fontana e mobili di raffinato design ci suggeriscono che il padrone di casa sia un gallerista e mercante d’arte, alle cui dipendenze lavora Paolino, il giovane ragazzo di bottega che ha sposato segretamente la figlia di Geronio, Carolina.
Carolina e sua sorella Elisetta sono presentate come due ragazze giovani e già emancipate, mentre la zia Fidalma, l’ultima tipizzazione della famiglia (forse qui un poco troppo giovane) viene trasformata da Pizzi in una matura signora in cerca di un giovane da impalmare, sperando che sia proprio il povero Paolino, accorso da lei invece per ricevere aiuto nel coronare il suo sogno d’amore con Carolina.
Rimane da presentare il conte Robinson, agiato possidente che ha messo gli occhi sulla sposa segreta e non sulla sorella, come era nei piani di Don Geronio; ma sarà comunque lui a svolgere positivamente l’intricata matassa.

Tutto l’inganno degli affetti è reso da Pizzi in modo molto naturale, mai parodistico: si ride spesso e di gusto, attraverso un gioco teatrale sempre frizzante e coerente nel suo svolgersi drammaturgico, che raggiunge il culmine sia nella contrastata scelta del conte per una delle due sorelle, sia nell’elettrizzante tentata seduzione di Fidalma nei confronti di Paolino, che si presenta al pubblico in slip dopo una doccia rinfrescante.

Una bella edizione, dunque, composta tutta da giovani, a cominciare dal direttore Michele Spotti, che imprime all’orchestra un ritmo fluidamente sostenuto che caratterizza in modo preciso e coinvolgente tutti i vari momenti del capolavoro di Cimarosa.
Tutti gli interpreti lo seguono con duttilità: da Marco Filippo Romano, un Don Geronimo divertito e divertente, alle sorelle Carolina ed Elisetta, Benedetta Torre e Maria Laura Iacobellis, ad
Ana Victoria Pitts, autoironica zia Fidalma. Alasdair Kent, come Paolino, dalla coerente e disinvolta presenza, canta molto bene l’aria più famosa dell’opera, l’incantevole cinematografica “Pria che spunti in ciel l’aurora”, mentre Vittorio Prato dà al suo conte Robinson la giusta e divertente caratterizzazione di affascinante agiato bohémien in cerca di moglie.

Dopo il grande piacere di aver ascoltato “Orfeo”, l’intrigante “pasticcio” di Porpora, la seconda rarità presentata a Martina Franca è stata “Ecuba”, tragedia per musica in tre atti del compositore napoletano Nicola Antonio Manfroce, giovanissima promessa della musica operistica italiana che purtroppo morì giovanissimo, a soli 22 anni, nel 1813.
L’opera fu scritta su libretto di Jean-Baptiste-Gabriel-Marie de Milcent, tradotta in italiano da Giovanni Schmidt, qui a Martina Franca con l’edizione critica curata da Domenico Giannetta.
La prima di “Ecuba”, che fu commissionata al suo autore dal famoso Domenico Barbaja di rossiniana memoria – dal 1809 (e fino al 1840) direttore del San Carlo -, ebbe luogo il 13 dicembre del 1812 al Teatro di San Carlo di Napoli.

L’opera è di rarissima esecuzione ma assai interessante perché composta alle soglie di un melodramma che stava radicalmente cambiando. In essa, proprio per questo, convivono diversi influssi: sia il classicismo di Spontini, sia movenze francesi con un respiro musicale non composto da sole arie, ma dall’espressività marcata dei recitativi declamati, che si mescolano con i pezzi chiusi tipici dell’opera italiana e con il concertato di fine atto che Rossini porterà ai suoi livelli massimi. Un’opera non certo sempre esaltante, ma colma di molti momenti di grande effetto, dove la musica diventa emotivamente protagonista, come nel bellissimo finale, che vede la furia autodistruttiva di Ecuba davanti alle fiamme che piano piano distruggono la sua città.

Protagonista dell’opera è infatti lei, la regina di Troia, moglie di Priamo, decisissima a non accettare il fatto che il marito Priamo abbia organizzato, per ragion di Stato, le nozze della figlia Polissena con Achille, recente uccisore del figlio Ettore, sancendo cosi la pace tra Achei e Troiani.
La regina convince allora la figlia a uccidere il promesso sposo durante la cerimonia nuziale, ma proprio quando Polissena sta per prendere la parola viene annunciato che l’esercito greco ha fatto irruzione armato nella città di Troia.
Achille cerca invano di professare la propria innocenza, ma Ecuba ordina alle sue guardie di sopprimerlo, mentre soldati greci irrompono nel tempio, uccidendo Priamo e trascinando via come prigioniera Polissena. Ecuba, rimasta sola, lancia la sua maledizione mentre la città è devastata dall’esercito nemico.

Rispetto al “Matrimonio segreto” qua dobbiamo onestamente dire che la regia di Pizzi ci ha convinto molto meno. La scena, sempre composta da tre grandi cubi bianchi, con ai lati due gradinate dove è posto il coro, con gli uomini a sinistra e le donne a destra, agghindati in modo genericamente sacerdotale, è dominata al centro da una specie di altare, dove all’inizio – con ottima scelta visiva e teatrale – viene posto il corpo di Ettore, con evidente riferimento al Cristo di Holbein conservato a Basilea, e dove ai suoi piedi verrà ucciso Achille.
Peccato che poi tutto diventi un poco prevedibile, con gli attori che si muovono in modo casuale, a volte mettendo in difficoltà anche il direttore d’orchestra nei pezzi d’insieme.

Sesto Quatrini, che ha sostituito in corsa il direttore Fabio Luisi alla guida dell’orchestra del Petruzzelli di Bari, d’accordo con Pizzi, racchiude l’opera in un atto solo, dando giusto piglio a tutta l’orchestra, coadiuvato da una grande Carmela Remigio, che dà smalto e spessore tragico alla regina di Troia.
Buona la resa di Roberta Mantegna come Polissena; meno a loro agio, a nostro avviso, si sono trovati i due tenori, Norman Reinhardt come Achille e Mert Süngü come Priamo, per altro impegnati in ruoli vocalmente assai difficili, che comunque nel corso dell’opera riescono a dominare in modo apprezzabile tutte le asperità presenti nel loro canto.
Nel complesso soddisfacente il coro del Teatro Municipale di Piacenza guidato da Corrado Casati.

Lasciamo il Festival della Valle d’Itria anticipando già i titoli che verranno messi in scena nel 2020: “Gli amanti sposi” di Ermanno Wolf-Ferrari, “La rappresaglia” di Saverio Mercadante e “Leonora” di Ferdinando Paër.

Il matrimonio segreto
Dramma giocoso di Domenico Cimarosa
Libretto di Giovanni Bertati
Edizione critica a cura di Franco Donatoni (Casa Ricordi, Milano)
Direttore Michele Spotti
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Luci / Regista assistente Massimo Gasparon

Signor Geronimo Marco Filippo Romano
Elisetta Maria Laura Iacobellis
Carolina Benedetta Torre
Fidalma Ana Victoria Pitts
Conte Robinson Vittorio Prato
Paolino Alasdair Kent

Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari
Nuova produzione

Ecuba
Tragedia lirica in due atti di Nicola Antonio Manfroce
Libretto di Giovanni Schmidt
Edizione critica a cura di Domenico Giannetta (Edizioni del Conservatorio di Musica “Fausto Torrefranca”, 2017)
Direttore Sesto Quatrini
Regia, scene e costumi Pier Luigi Pizzi
Luci / Regista assistente Massimo Gasparon

Achille Norman Reinhardt
Priamo Mert Süngü
Ecuba Lidia Fridman (30 luglio) – Carmela Remigio (4 agosto)
Polissena Roberta Mantegna
Teona Martina Gresia
Antiloco Lorenzo Izzo
Duce greco Nile Senatore*

Orchestra del Teatro Petruzzelli di Bari
Coro del Teatro Municipale di Piacenza
Maestro del Coro Corrado Casati

Nuova produzione

*Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”

0 replies on “Pier Luigi Pizzi al Festival della Valle d’Itria: da Cimarosa a Manfroce”