Rapporti umani stanchi, e neppure una sedia su cui sedersi. Un vuoto interiore dilatato dal silenzio intorno. Il muro che innalziamo da soli, a comprimere la felicità. Diaframmi lividi inibiscono le relazioni: ne abbattiamo uno, e dietro ne compare un altro.
Si misura ancora con un classico Michele Sinisi al Teatro Fontana di Milano. Dopo “Riccardo III”, “Amleto” ed “Edipo” in solitaria, dopo le produzioni più ricche (di risorse e attori) di “Miseria e nobiltà”, “I promessi sposi” e “Sei personaggi in cerca d’autore”, e ancora “Tito” e “Giulio Cesare” sul potere, stavolta al centro della ricerca dell’artista pugliese c’è “Tradimenti” di Harold Pinter.
Raccontare in modo lieve cose serie. Il tradimento è una frattura con sé stessi. E non trionfa mai, «perché se trionfa, nessuno osa chiamarlo tradimento» (John Harington).
1977. Emma e Jerry sono due ex amanti che s’incontrano due anni dopo la fine della loro relazione. Nelle loro mani un cocktail rosso, unica nota di colore in una scena dove anche i costumi sono grigi e le atmosfere fredde. Un pub, ma in scena non lo vediamo. Davanti a noi, dietro ai protagonisti, c’è solo un muro. È un monolite. Sopra di esso, luci al neon creano le didascalie dello spettacolo. È un crucipuzzle, creato da Federico Bancalani.
Emma (Stefania Medri) e Jerry (Stefano Braschi), sguardi impacciati, parole ingarbugliate: un mix di disagio e tenerezza. Un amore extraconiugale ambientato tra Londra e Venezia, raccontato a ritroso. Il flashback scandisce le tappe dal 1977 all’alba del loro sentimento, nel 1968. Qualche tempo prima Emma si era sposata con Robert (lo stesso Sinisi), miglior amico di Jerry.
Potrebbe essere il più classico ménage à trois. Invece è di scena «il tradimento della memoria che cancella e rimuove i ricordi; è il tradimento del passato a opera del presente; il tradimento del tempo che cambia il significato delle cose, dei sentimenti, delle persone, e delude le aspettative dell’uomo, le sue speranze, le sue illusioni; è il tradimento della ragione che spinge l’individuo a giustificare per sé l’uso di una doppia morale; è il tradimento della realtà, nelle mezze verità, mezze bugie» (Dario Calimani).
Algore esistenziale, spente le luci, svuotati i colori. Brancoliamo nel buio all’indietro. Il passato, che una volta appariva sbiadito, è assai più luminoso del presente.
Il velo dell’ipocrisia serpeggia sulla scena. Emma lo libera da una borsa blu dell’Ikea, a dare un tocco di vivacità. Eppure di colorato, in quella scena, c’è solo la borsa plastificata dell’Ikea.
Il personaggio di Emma cuoce il brasato per l’amante. Ma sulla scena Sinisi fa pendere un pollo crudo. Emma ne brucia i peli con una torcia da cucina. Poi su quel pollo si accanisce. Con la fiamma ossidrica ne ustiona la pelle, non potendo bruciare il passato e le sue scorie. Vorrebbe forse incenerire sé stessa, la solitudine, il disagio, l’insoddisfazione, la noia, il perbenismo che impregna le relazioni anche tra congiunti.
C’è distanza tra i personaggi, che qui quasi mai si sfiorano. Emma si toglie la camicia, ma la sua anima resta abbottonata. C’è rigidità. Emma è refrattaria, Jerry imbarazzato. Chi si scompone di più è Robert.
«Chi ha ferito vorrà dimenticare – dice un proverbio etiope – ma la vittima non dimenticherà mai». Qui però non esiste l’innocenza, solo gradazioni di colpa. Il tradimento è una categoria dello spirito.
Non c’è calore né colore. Non c’è niente cui aggrapparsi, nulla su cui adagiarsi. Bicchieri e bottiglie tengono occupate le mani, a evitare il disagio, a esorcizzare l’irrequietezza.
L’incomunicabilità è anche con l’io. C’è una pausa surreale in scena, e Robert s’inferocisce mutamente su Emma prendendola a calci. Sono tiri contro il nulla. Il dolore è un grido soffocato. I colpi sono flusso di coscienza. Sono forse allegoria dell’atto sessuale, in un mix di rimpianto e vendetta. C’è anche un tocco d’ilarità ammiccante, quando Robert si presenta dentro una testa di cervo dalle poderose corna ramate.
Sinisi riavvolge il nastro di Pinter e quello della memoria. Va in cerca del proprio passato. Nel viaggio al contrario di Pinter tutto ritorna al 1968, anno d’oro del rock impegnato e del prog onirico. Sinisi lo correda di una lunghissima serie di musiche new wave e synthpop, dance pop, funk e post punk. Sono brani di Madonna, Michael Jackson, Duran Duran, The Clash, The Cure, Justice, A-ha. È un anacronismo sublime. È il modo più perverso di tradire il testo e il decennio lungo il quale si snoda il racconto.
Nel lungo ballo solitario e caleidoscopico di Emma c’è l’innocenza smarrita. Nel pop elettronico degli anni Ottanta, così sfrontatamente patinati che si cantava in playback, Sinisi cerca invece l’adolescenza perduta.
Bel trio d’attori. Bel dialogo con i sottotesti di Pinter. Sinisi ritrova il suo talento. Il muro in scena è anche contenimento. «Al genio nocciono le regole», diceva Goethe. A volte è vero il contrario.
TRADIMENTI
di Harold Pinter
regia Michele Sinisi
con Stefano Braschi, Stefania Medri e Michele Sinisi
scene Federico Biancalani
collaborazione artistica Francesco M. Asselta
aiuto regia Nicolò Valandro
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale
con il contributo di Next-Laboratorio delle idee
durata: 1h 30’
applausi del pubblico: 3’
Visto a Milano, Teatro Fontana, il 23 novembre 2019