Polis Teatro Festival 23. A Ravenna, prima dell’alluvione, il festival di ErosAntEros

Nemico - attraversando i Balcani (ph: Dario Bonazza)
Nemico - attraversando i Balcani (ph: Dario Bonazza)

I Paesi balcanici al centro della sesta edizione del festival diretto da Davide Sacco e Agata Tomšič

Atmosfera dinamica e multiculturale, fra confronto e sguardo rivolto verso il teatro contemporaneo europeo con un focus internazionale sui Balcani hanno caratterizzato la sesta edizione di Polis Teatro Festival, con la direzione artistica di Davide Sacco e Agata Tomšič di ErosAntEros, che si è svolta ad inizio maggio a Ravenna, poco dopo la prima ondata di maltempo che ha flagellato l’Emilia Romagna e prima del secondo, terribile disastro.

Spettacoli, performance e incontri di approfondimento, diffusi tra Teatro Rasi, Artificerie Almagià, MAR – Museo d’Arte della città e Teatro Sociale, un totale di 26 appuntamenti capaci di far riflettere su tematiche di attualità e di fare i conti con la storia, anche recente, dell’Europa e del bacino del Mediterraneo, fra conflitti e lacerazioni, come quelle che hanno attraversato i paesi della ex Jugoslavia per lanciare un messaggio di dialogo possibile per un futuro di pace.
Tanti gli spettacoli proposti – da rimarcare che tutti quelli internazionali sono stati apprezzati in lingua originale con soprattitoli, realizzati anche grazie alla preziosa collaborazione con il Dipartimento di Interpretazione e Traduzione di Forlì-Università di Bologna – per un festival che dovrebbe avere un epilogo straordinario, il 10 e 11 giugno, al Teatro Alighieri in collaborazione con Ravenna Festival, con la prima nazionale di “Gaia”, nuova produzione ErosAntEros che si concentra sul tema del cambiamento climatico, in questa situazione ancora più urgente e fondamentale, entrando in relazione con i luoghi in cui viene creato e portando in scena non professionisti, attivisti e giovani del territorio, e adattando la sua “scenografia effimera” agli spazi che incontra.

Il festival ha un percorso in crescita, riconosciuto dal Ministero della Cultura che gli ha assegnato la qualità artistica più alta tra i festival di teatro italiani e il punteggio totale più alto tra le prime istanze triennali della stessa categoria.

Nei due giorni in cui siamo stati a Polis, abbiamo potuto osservare la produzione di ErosAntEros “Libia”, una commistione di parola, suono e disegni animati per uno spettacolo multidisciplinare tratto dall’omonima graphic novel di Francesca Mannocchi e Gianluca Costantini.
In scena le voci di Agata Tomšič – anche autrice della drammaturgia che partendo dalla graphic novel ne ha restituito una narrazione densa di fatti e persone – e Younes El Bouzari, che si mescolano alle musiche di Bruno Dorella eseguite dal vivo e gli intensi quadri video – curati da Majid Bita e Michele Febbraio – a raccontare un Paese complesso fra voglia di riscatto, incapacità di sottrarsi ad un destino di occupazione e violenza e dalle cui coste partono molti migranti alla ricerca di un futuro diverso dopo aver conosciuto l’efferatezza delle prigioni libiche.
Non una cronaca, quella orchestrata dalla regia di Davide Sacco, ma il tentativo di restituire elementi per parlare di un Paese diverso da quello tratteggiato su giornali e social media: la Libia dei giovani che hanno combattuto il regime e adesso sono costretti ad elemosinare un futuro, degli anziani che hanno attraversato decenni di dittatura e si guardano sempre le spalle e delle madri ferme alla finestra in attesa di figli che non torneranno più.

Libia (ph: Dario Bonazza)
Libia (ph: Dario Bonazza)

Spazio poi alla drammaturgia dei Balcani, territorio quanto mai interessante, emerso attraverso spettacoli fra loro eterogenei anche dal punto di vita temporale. Ha debuttato, infatti, nel 2010 lo spettacolo simbolo dell’edizione, “Dannato sia il traditore della patria sua! – Preklet naj bo izdajalec svoje domovine!” (frase tratta dall’inno sloveno), del regista bosniaco-croato Oliver Frljić, uno degli artisti più provocatori del panorama teatrale europeo, lavoro forte e dissacrante sulla disgregazione dell’ex-Jugoslavia e insieme sul fare teatro, che continua a destare scalpore, curiosità ed interesse per la capacità di una drammaturgia aperta, che attraverso l’improvvisazione degli attori si modella sulle questioni calde dei paesi dove lo spettacolo viene messo in scena.

Il drammaturgo kosovaro Jeton Neziraj, in prima nazionale, ha invece presentato “Vergine giurata”, con la regia di Erson Zymberi; in scena Tringa Hasani, Semira Latifi, Kushtrim Qerimi impegnati a confrontarsi con la tradizione albanese delle donne che decidono di vivere come uomini, la vergine giurata, la burrnesha. Il testo di Neziraj – pubblicato in Italia nella raccolta “Il volo sopra il teatro del Kosovo. 5 Plays”, Editoria & Spettacolo – però non mira a raccontare, semplicemente, una tradizione ormai quasi residuale in Albania, ma prova ad affrontarla mettendola in relazione con le questioni di genere e lo show business contemporanei. E si confronta con i concetti di confine, identità, di genere ma anche intesa come senso di appartenenza ad una tradizione, quella abbracciata dalle vergini giurate, che per i più diversi motivi, scelgono di abbandonare il loro essere donne per intraprendere un cammino che permetterà loro, vivendo come uomini, di accedere ad una serie di benefici e privilegi appannaggio solo degli uomini.
La scena, come fosse un ring, accoglie dunque Edith, un’antropologa inglese, che in un viaggio nel nord dell’Albania incontra Sose, una delle rimanenti vergini giurate che viene portata fuori dal suo territorio, per recarsi a Londra per una serie di presentazioni alla London University. Durante questa visita, Sose diventa parte di una performance queer in via di creazione di Julian, rinomata drag queen di Londra. Questo incontro con una cultura diversa diventa così momento cruciale per l’esistenza di Sose e per il suo percorso identitario da rimettere in discussione, così come quello degli altri due protagonisti della scena. «Quello di Neziraj è un teatro politico ma non documentale, che parla delle problematiche urgenti attraverso un filtro letterario ben preciso – come precisato da Anna Maria Monteverdi – legate al Kosovo, ai rapporti con la Serbia, all’indipendenza e alle questioni ancora calde nel Paese. Trattare i paradossi del suo Paese con un teatro del paradosso, tradotto in tutto il mondo e prodotti dai grandi teatri».

Vergine giurata (ph: Dario Bonazza)
Vergine giurata (ph: Dario Bonazza)

Mosaico di storie – e Paesi – quello proposto invece da Zone – poème nella performance “Nemico (attraversando i Balcani)”. Gli artisti Mélodie Lasselin (autrice anche della coreografia, in scena insieme a Camille Dagen e Léa Péra) e Simon Capelle si confrontano con la storia e le storie dei Paesi balcanici mettendo in discussione il concetto di nemico e la nozione di pace in relazione ai conflitti del passato, per cercare di comprendere la loro situazione post-bellica e il processo di pace.
Fra narrazione e gesti sincopati e, soprattutto voci, per una performance che ha proposto una sorta di incursione sensoriale fra tracce della guerra e parole di pace in Albania, Montenegro, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia.

Branko Šimić, artista poliedrico originario di Tuzla (Bosnia), città gemellata con la provincia di Ravenna, con l’installazione “Il minatore di Husino”, ha rievocato, in chiave disco, la rivolta dei minatori di Husino (1920) per riflettere sulla transizione dal socialismo al post-capitalismo.
L’imponente statua del minatore di Husino, monolito e glorioso col suo fucile in mano, simbolo della rivolta dei lavoratori degli anni ‘20, si trova quindi riproposta in una veste nuova, che richiama la cultura disco e ci porta un discorso sui principi del passato, sulla solidarietà, sull’essere pronti a combattere per gli altri e per i diritti dei lavoratori, illuminato da frammenti di vetro, come le mille possibilità, guardando al futuro.

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