La pandemia nulla ha potuto contro la forza del Premio Scenario, lo storico concorso destinato al teatro emergente, quest’anno dedicato al teatro ragazzi, che a inizio settembre, nella ormai consolidata sede bolognese del DAMSLab, ha celebrato la sua finale, come è diventata abitudine per le ultime edizioni, all’interno di un vero e proprio festival che, riempiendo il grande spazio del Giardino del Cavaticcio, ha offerto al pubblico bolognese alcuni degli spettacoli più significativi delle sue vecchie edizioni, insieme a “Frollo”, una delle narrazioni “cult” del fondatore del prestigioso premio nel 1987, Marco Baliani, protagonista il famoso bambino fatto di pastafrolla.
Ma certo è stata una finale anomala, perché non essendoci stata, a causa dell’emergenza sanitaria, la semifinale prevista in aprile a Cascina, ha proposto alla giuria, senza ulteriore scrematura, tutti i 14 progetti scelti (sui 33 pervenuti). Una giuria presieduta da Giuliano Scarpinato, che ha regalato agli artisti un suo poetico “Talk”, e formata da Tonio De Nitto, Floriana Pistoni e da sei componenti provenienti dalle commissioni di Scenario dislocate in tutta Italia, capitanati da Cristina Valenti e Stefano Cipiciani.
I progetti a Bologna sono stati seguiti anche da osservatori paralleli: uno di studenti universitari, condotto da Fabio Acca, uno formato da bambini, curato da Beatrice Baruffini, oltre a un tavolo critico coordinato da Stefano Casi.
Le finali del glorioso premio sono sempre una ghiotta occasione per tastare da vicino lo stato di salute del teatro emergente italiano, le direzioni verso cui si muove, gli stili che maggiormente ha recepito e nel contempo anche un osservatorio privilegiato dell’immaginario delle nuove generazioni e, nel caso di Scenario Infanzia, anche riguardo a bambini e ragazzi.
Pur essendo i frammenti di soli 15 minuti di spettacolo, l’edizione di quest’anno è stata di eccellente livello, lasciando così alla variegata giuria l’ingrato compito di scegliere il migliore almeno tra cinque progetti, tutti per noi di grande spessore.
Come è successo anche per l’edizione precedente, ed in genere allargando lo sguardo al campo nazionale, si è notata ancora una volta la difficoltà del teatro ragazzi italiano a parlare ai più piccoli dei cuccioli d’uomo: infatti solo uno dei progetti (“Oltre qui”, una storia narrata con libri pop-up) è stato dedicato a bambini dai 3 ai 6 anni.
Riguardo alle diversificate forme utilizzate dai giovani artisti, ai quali il premio è dedicato, abbiamo notato un utilizzo molto frequente del teatro di figura, complice anche i laboratori di alta formazione diventati più frequenti nel nostro Paese.
Molte le tecnologie utilizzate, ma solo un lavoro ha trattato il tema del rapporto tra le recenti generazioni e i nuovi media (“Google Boy”). Pressoché scomparsa in questa edizione la danza, presente invece nell’edizione precedente in più di un progetto, e solo due proposte fanno riferimento ad una fiaba classica (“I vestiti nuovi dell’Imperatore” di Andersen e il “Pesciolino d’oro” di Puskin).
I temi più ricorrenti, soprattutto per i progetti dedicati agli adolescenti, sono stati quelli intorno alla libera scelta di una propria identità, fuori da schemi già prestabiliti, e quello della necessità della memoria, sia personale che condivisa.
Iniziamo dai due vincitori ex equo: “Arturo” e “Casa nostra”.
“Arturo”, di Laura Nardinocchi e Niccolò Matcovich, prende il nome da una delle stelle più luminose del firmamento, e fa riferimento al nome di un bambino che non è ancora nato e che farà da testimone a chi invece non c’è più. Infatti lo spettacolo, in modo leggero e poetico, parla di morte e della conseguente necessità della trasmissione dei ricordi, nascendo dall’incontro dei due registi/autori in relazione a un dolore condiviso: la perdita dei propri padri. Da qui la loro esigenza di mettersi in scena in prima persona, lavorando su due differenti piani: quello dei padri che affiorano con la loro presenza dal passato, e quello dei figli che raccontano in diretta il proprio dolore, che nei 15 minuti proposti si intersecano sino a confondersi, attraverso un vero e proprio puzzle della memoria, alla cui definitiva realizzazione intervengono anche gli spettatori stessi.
La memoria torna anche nell’altro progetto vincitore, secondo noi il più denso di azzardo dei 14 in gara, “Casa Nostra”. Il Collettivo Hombre di Parma, attraverso degli oggetti comuni, vuole ricomporre, andando a ritroso nel tempo, la memoria del nostro Paese riguardo al fenomeno tumorale della Mafia, partendo dal 20 aprile 2018, con la sentenza della Corte d’Assise di Palermo. Nella piccola casa che sulla scena viene raffigurata (gli oggetti, i giocattoli, i Lego di mattoncini, la televisione… mossi con sapienza dai quattro animatori) riverberano, impercettibilmente ma in modo fortemente allusivo, le stragi, le omissioni, i depistaggi, gli eroi, le vittime, i fautori di un fenomeno orrendo, che deve necessariamente essere raccontato alle nuove generazioni.
Due invece le menzioni della giuria, per “I vestiti nuovi dell’imperatore” della Compagnia Le Scimmie e “From Syria: Is this a child?”, nato da un ‘idea di Miriam Selima Fieno.
Il primo è la gioiosa riproposta della famosa fiaba, ricomposta in modo ammirevole da quattro attori che utilizzano insieme tutte le armi che il teatro possiede, dalla commedia dell’arte alla parola in rima, dal teatro di figura all’adesione dei gesti, ad un tappeto sonoro sempre significante, dove la sciocca presunzione dell’imperatore Vanesio viene restituita in tutta la sua forza e vacuità.
Una vera festa del teatro per occhi, orecchie e cuore, capace di coinvolgere e divertire grandi e bambini.
Che adulto vuoi diventare da grande? E’ giusto raccontare della guerra ai bambini?
Sono le due domande a cui vuole dare risposta “From Syria: Is this a child?” attraverso un dialogo multimediale fra teatro ed immagini, proposte sia come documento, sia reinventate attraverso l’animazione come veicolo di forte significato, in stretto raccordo con il dialogo tra una reale bambina italiana ed una ragazza uscita dal suo Paese, martoriato dalla guerra.
Uno spettacolo che mette a confronto il piccolo dolore di una separazione genitoriale con il grande di una casa distrutta e di un Paese senza più avvenire. I protagonisti sul palco si raccontano attraverso parole e immagini, coinvolgendo il giovane pubblico nel farsi una domanda cruciale affinché tutto ciò non debba più accadere: “Che adulto vuoi diventare da grande?”.
La segnalazione speciale è andata invece a “Brigitte e le petit bal perdu” della sarda Nadia Addis, prezioso minuscolo teatro da camera, piccolo gioiello di teatro di figura per quattro spettatori privilegiati che, in sette minuti, assistono da vicino, quasi dal buco della serratura di una magica porta, al tempo che passa e che si fa presente ai loro occhi per mezzo della storia di Brigitte, un’anziana signora che vive sola con il suo cane, nel ricordo di un ballo speciale, che rimanda a mille altri balli impressi nella memoria di ciascuno di noi.
Dei rimanenti progetti ci hanno anche interessato, smuovendo la curiosità di vederli finiti, l’apologo surreale zoomorfo di stampo ecologico di “Alla ricerca di un lieto fine” del siciliano Salvatore Cannova (tratto da un curioso racconto di Gramsci), interessante anche per la reinvenzione degli oggetti di scena, e “Witchy Things” di Coppelia Theatre, dove Mariasole Brusa ricrea con il teatro di figura – che si cuce materialmente addosso in modo foriero di possibili interessanti suggestioni – il rapporto tra una strega e un bambino, utilizzando anche la tecnica del videomapping.