Thomas Bernhard scrisse “Prima della pensione. Una commedia dell’anima tedesca” al tempo dell’affare Filbinger, spiega Eugenio Bernardi nell’introduzione all’edizione italiana del testo.
Claus Peymann, regista che mise in scena molti dei lavori di Bernhard nel corso della sua carriera, fu costretto a lasciare la direzione del teatro di Stoccarda per l’intervento a favore di uno dei membri della banda Baader Meinhof, gruppo anarchico-rivoluzionario tedesco attivo nella lotta armata, soprattutto intorno alla metà degli anni ’70: «Per aver chiesto un trattamento carcerario meno duro per uno dei componenti del gruppo Baader Meinhof, Peymann, considerato un ‘simpatizzante’ del terrorismo, era stato costretto a lasciare la direzione del teatro, proprio da quello stesso presidente del Baden-Wuttenberg di cui negli stessi giorni si venne a sapere che era stato un fedelissimo di Hitler e aveva svolto fino all’ultimo funzioni di giudice nella marina militare».
Da questa querelle politica prende spunto “Prima della pensione”.
Nel racconto della giornata particolare in casa dei tre fratelli Höller, protagonisti del testo, i richiami alla vicenda sono più che evidenti. Ma la lettura in chiave “politica” della pièce è solo la più palese, e sbaglierebbe chi si limitasse solo a quella. In questo tranello Elena Bucci e Marco Sgrosso – che firmano scene e regia – non cadono, emergono anzi in maniera nitida molte delle tematiche e degli elementi presenti in altri scritti dell’autore austriaco.
Ogni anno, il 7 ottobre, il presidente del tribunale Rudolph Höller, ormai prossimo alla pensione (da qui il titolo), celebra assieme alle due sorelle Vera e Clara il compleanno di Himmler, gerarca nazista che ha incontrato solo una volta quando, durante la guerra, svolgeva le mansioni di vicecomandante di un lager.
Al termine del conflitto, dopo dieci anni di latitanza, nascosto come un mafioso dei giorni nostri nella cantina di casa, ha ripreso il suo vecchio incarico al tribunale. Rudolph svolge il suo incarico con enfatico senso del dovere e l’integerrimo senso di superiorità di chi usa l’autorità pro domo sua, in attesa che i tempi siano maturi per il ritorno al potere dei tanti come lui che vivono nascosti ed isolati, ma sono pronti come belve in gabbia a riprendere il posto che gli spetta.
La sorella Vera è legata al fratello da un rapporto incestuoso e di venerazione. Sentimenti opposti animano la sorella Clara, immobilizzata su una sedia a rotelle in seguito ad un bombardamento alleato avvenuto due giorni prima della fine della guerra. Professa idee “di sinistra” (sic!), è un’appassionata divoratrice di libri e giornali, nemica dichiarata della retorica borghese e “nazista” dei due, oltre ad essere schifata dal loro legame. Clara è anche colei che nel testo fornisce più spunti all’ironia feroce e travolgente a causa del suo stato, la sua vera salvezza secondo i fratelli, ciò che le ha impedito di seguire la sua pericolosissima natura di rivoluzionaria terrorista.
I fratelli Höller sono legati da un rapporto morboso sin dall’infanzia. “Conservano gli oggetti e gli abiti come amuleti rituali del passato” e conducono una esistenza soffocante, isolata e ripetitiva alla quale non trovano via di scampo, con slanci che oscillano tra megalomania e subordinazione e tra follia ed ottusità.
La madre è morta suicida ancora giovane. Il padre ha impartito loro un’educazione rigidissima, basata sulla paura e soprattutto sul sospetto, i cui riflessi si sono innervati nello sviluppo delle loro personalità. Tra momenti di comicità, deliri, violenze verbali, accanimenti, frasi ripetute e manie emergono i deliranti e al contempo delicati rapporti interpersonali di una famiglia particolare.
La messinscena di Bucci-Sgrosso si apre con le note iniziali del “Rach 2” (concerto n.2 in do minore, op.18 di Rachmaninoff) ed è caratterizzata dalla scelta di luci chiaroscurali, scelta che viene mantenuta nel corso dei tre atti e rischia di affaticare un poco la visione. A questo contribuisce anche la scelta di un eterogeneo sottofondo musicale per l’intera durata dello spettacolo, in una sorta di horror vacui che satura un po’ il tutto.
La scelta di Rachmaninoff, oltre che sorprenderci – così distanti ci sembrano le poetiche e i mondi dei due autori -, ci sembra esemplificativa di una modalità di approccio registica al testo: annuncia infatti una direzione recitativa dei tre attori (Bucci, Sgrosso ed Elisabetta Vergani) eccessivamente carica, che va ad appesantire, con la smania di sottolineare, sempre e per forza, un’atmosfera che rischia di cadere nell’esasperata ed eccessiva ripetitività, elementi portanti della poetica dello scrittore austriaco, d’accordo, ma non in modo così manifesto.
Elena Bucci, pur dimostrando tutto il talento che possiede, soprattutto nel primo atto sembra timorosa di non riuscire a rispettare per filo e per segno tematiche, poetica e caratteristiche della famosa “frase infinita” bernhardiana, di cui Aldo Gargani parla nel volume omonimo. Ed in questo rincorrere a tutti i costi una “recitazione” filologica sottolinea ogni battuta, con una gestualità carica, plateale e ripetitiva, quasi di danza, che rischia alla lunga di dipingere un personaggio monocromo, senza variazioni, e che dopo la lucentezza iniziale, perpetra, rubando le parole a Van Gogh, un’unica “nota di giallo”.
Il secondo atto appare invece più riuscito, più equilibrato nel trovare la giusta via di mezzo, dosando il clima farsesco con quello drammatico, grazie forse all’ingresso del personaggio di Rudolph, un Marco Sgrosso che offre qualche sfumatura recitativa in più. Anche se poi, nel terzo atto, dove si celebra la tanto attesa cena in onore del genetliaco di Himmler – che sfocia in un finale tragicomico -, si ricalcano un po’ le orme del primo atto.
Anche alcune scelte scenografiche alimentano qualche perplessità. Ai magnifici costumi fanno da contraltare gli elementi d’arredo che paiono scelti con minor cura, quasi avessero un ruolo secondario o addirittura simbolico (?). Ma proprio le fattezze ricercate dei costumi indicano le “manchevolezze” della mobilia. Il tavolo del salotto, per fare un esempio lampante, nella sua sorprendente semplicità, ne è l’emblema.
Ad Elena Bucci e Marco Sgrosso si deve comunque riconoscere il merito di aver sfidato, senza tirarsi indietro di un centimetro, un testo del calibro di “Prima della pensione” di Bernhard, uno dei testi più belli, densi, e al contempo anche uno dei più impegnativi dell’autore; ma la sfida, seppure affrontata a viso aperto con talento ed impegno, non sembra superata appieno.
PRIMA DELLA PENSIONE ovvero Cospiratori una commedia dell’anima tedesca
di Thomas Bernhard
progetto e regia Elena Bucci e Marco Sgrosso
con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Elisabetta Vergani
disegno luci Loredana Oddone
drammaturgia e cura del suono Raffaele Bassetti
supervisione ai costumi Ursula Patzak
immagini assistente all’allestimento Nicoletta Fabbri
collaborazione alla scena Carluccio Rossi
macchinismo e direzione di scena Davide Capponcelli
elettricista e datore luci Gianluca Bergamini
sarta Marta Benini
si ringrazia Sartoria Carpeggiani di Bologna
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, in collaborazione con Le belle bandiere
durata: 2h 24’ (compresi due intervalli)
applausi del pubblico: 2’
Visto a Pontedera (PI), Teatro Era, il 17 marzo 2017