E’ da sempre una ghiotta occasione per osservare da vicino i fermenti teatrali più recenti, non solo quelli del Sud, il festival Primavera dei Teatri di Castrovillari.
Anche la diciottesima edizione, articolata tra fine maggio e inizio giugno, ha svolto questa importante funzione.
L’impressione finale, rispetto a molte delle creazioni viste, è stata quella di diverse prove interessanti, ma che non hanno sfruttato fino in fondo tutte le possibilità che avevano davanti. Cercheremo oggi di analizzarne da vicino quattro tra le più fervide: “Aiace” della Compagnia Stabile Mobile, “Tropicana” di Frigoproduzioni, “Personale Politico Penthotal” di Marta Dalla Via e “Io non sono un gabbiano” della Compagnia Oyes.
“Aiace”, riscrittura della tragedia sofoclea su drammaturgia di Linda Dalisi e Matteo Luoni, con la regia della stessa Dalisi, si inserisce nel cuneo del progetto di Antonio Latella “Santa Estasi”, visto con entusiasmo a Modena l’anno scorso, in cui sette giovani drammaturghi avevano scelto di declinare il mito e le vicende della stirpe degli Atridi attraverso otto testi, messi in scena da 16 giovani attori.
In scena in “Aiace” vi sono tre interpreti: un attore ivoriano, un’attrice francese e un attore italiano.
Il protagonista, che qui ha le fattezze di Abraham Kouadio Narcisse, un attore non professionista, è l’eroe a cui sono state negate le armi di Achille; è il diverso, il folle, lo straniero.
Eccolo il cuore dello spettacolo: l’eroe è rimasto solo, e non comprende le ragioni dell’ingiustizia che gli è stata fatta, non riuscendo più a comunicare con gli altri, non solo perché ha una lingua diversa, ma anche perché non vuole più comunicare con gli altri, in primo luogo con Ulisse (Annibale Pavone), che quella ingiustizia ha in qualche modo perpetrato.
Accanto a loro c’è Estelle Franco, che interpreta ora Atena (sorta di traduttrice dei sentimenti di Aiace, che disvia la sua furia verso gli armenti e non contro gli uomini), ora Tecmessa, la compagna schiava.
E’ questo il cuore narrativo ed emozionale dello spettacolo, che si esprime, secondo noi, solo a tratti, nella babele delle lingue offerte e, soprattutto verso la fine, nella solitudine sofferta di Aiace e nella sua voglia di morte.
Purtroppo infatti questa centralità emozionale è coperta da troppe linee narrative, da troppi segni da decodificare (con tanto di proiezione di disegni), che ne offuscano in qualche modo il risultato, assai lontano dai limpidi frammenti drammaturgici di “Santa Estasi”.
Di tutt’altro climax si compone “Tropicana” di Frigoproduzioni, spettacolo che parte da una situazione insolita: la canzone “Tropicana”, brano del Gruppo Italiano, dominò le classifiche dell’estate 1983, diventando come “Sapore di sale” o “Abbronzatissima” il brano simbolo dell’estate. Un brano facile da ascoltare ma che offriva nel testo ghiotte occasioni per dissertare sulle grandi questioni dell’esistenza.
Da queste semplici asserzioni, Francesco Alberici, Salvatore Aronica, Claudia Marsicano e Daniele Turconi, riproponendo sul palco quella canzone, costruiscono un vero e proprio discorso sulla vita, sui ruoli che ognuno di noi si è costruito e come gli altri li percepiscono.
Purtroppo però, a nostro avviso, una volta mostrato l’assunto, lo spettacolo ne propone solo i lati più semplicemente evidenti, non riuscendo a proporre al pubblico, in modo anche dolorosamente attuale, quanto questi ruoli possano essere regolati in una società come la nostra, in continuo cambiamento.
“Personale Politico Penthotal. Opera rap per Andrea Pazienza”, spettacolo dei fratelli Dalla Via/Gold Leaves, co-prodotto da La Piccionaia, è pensato invece come omaggio ad Andrea Pazienza, disegnatore cult di una generazione, diventato icona di un mondo, quello del Movimento del ’77 e della disperazione rivoluzionaria degli anni Ottanta, morto a soli 32 anni nel 1988.
Marta Dalla Via, “un’eroina fatta di eroina”, ci trasporta in quel mondo – la Bologna di Radio Alice e dello sballo, ben conosciuti da Pazienza – attraverso un lessico stralunato, impastato da inglesismi e slogan, a cui fanno da contraltare i versi rap di cinque giovani muscisti: Omar Faedo (Moova), Simone Meneguzzo (Dj Ms), Michele Seclì (Lethal V), Alessio Sulis (Rebus) e Giovanni Zaccaria (Zethone).
Come per “Aiace” anche qui troppi i segni e le direzioni (troppo lungo il frammento dedicato allo sballo) per uno spettacolo che finisce in qualche modo per dimenticare Pazienza, ma che comunque, in modo originale, tenta di fare un raffronto impietoso tra quel mondo, pieno di fermenti, spesso autodistruttivi, con la realtà di oggi, votata all’individualismo e all’incomunicabilità.
Concludiamo con “Io non sono un gabbiano” della compagnia milanese Oyes.
Dopo l’esito fortunato di “Vania”, Oyes si misura con una nuova avventura cechoviana, proponendo una riscrittura in chiave contemporanea de “Il Gabbiano” con risultati ancora, nel complesso, felici. Come nel lavoro precedente, l’inizio dello spettacolo è segnato da una mancanza: là era il professore, il capofamiglia, ora è Irina Arkadina, la famosa attrice, proprietaria della tenuta in cui si svolge la vicenda e madre di Kostjia, a non far sentire più la sua voce.
Lo spettacolo inizia con una specie di delirante orazione funebre dell’intellettuale del paese, il maestro Medvèdenko. Ma ecco che nell’occhio della bella riscrittura di Stefano Cordella, tutti i personaggi della piece cechoviana vengono rifocalizzati in chiave contemporanea, ad iniziare proprio da Kostjia, il giovane figlio di Arkadina, che, ossessionato dalla necessità di trovare forme nuove d’arte, si mostra nudo davanti a tutti.
C’è poi Nina (qui un po’ in sordina rispetto al testo originale) che fugge per fare l’attrice, all’ombra dell’irrisolto scrittore Trigòrin, suo amante; Sòrin, fratello di Irina, sempre in rimpianto di una vita sprecata, qui, con bella intuizione, viene presentato come una specie di zombie che non si accorge di essere già morto; l’altro personaggio femminile è Mascia, anche lei disillusa nelle aspettative che a malincuore si accinge a sposare il grigio maestro Medvèdenko.
Infine c’è anche Jakov, l’operaio Jakov, che al contrario dell’originale, assurge a personaggio in qualche modo centrale: da tecnico audio dà infatti voce a tutti e instaura un esilarante colloquio con un microfono che pure gli parla, sottolineandone la propria inutilità.
Insomma, nessuno di loro riesce a volare come un gabbiano, e lo spettacolo di Oyes accentua la disperazione intrisa di melanconia di ogni personaggio, fino alla scena conclusiva, in cui tutti, con risultato melanconico e straniante, balleranno al ritmo di “Felicità” con Al Bano e Romina.
Avremmo voluto forse che lo spettacolo potesse osare di più nella contemporaneità, dimenticando più spesso il testo di Cechov, che si plasma spesso nelle varie situazioni che lo spettacolo gli offre; comunque benvenga una giovane compagnia capace di misurarsi con un classico che ancora oggi si presta ad interpretare le disillusioni del presente.
Quattro spettacoli dunque, all’inizio del loro percorso, che secondo noi hanno in nuce la possibilità di una maggiore e più coerente coesione drammaturgica, esprimendo le numerose strade verso cui il nostro teatro più attento alla contemporaneità intende dirigersi.
Il viaggio di KLP negli spettacoli di Primavera dei Teatri proseguirà ancora nei prossimi giorni…