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Primavera dei Teatri 23, uno spazio di democrazia ai piedi del Pollino

Smart work di Mammut Teatro (ph: Angelo Maggio)

Smart work di Mammut Teatro (ph: Angelo Maggio)

Scena Verticale anche in questa edizione ha alternato proposte più conosciute ad un lavoro di scouting sui giovani artisti

È sbocciata nella sua tradizionale collocazione – fine maggio/ inizio giugno –, dopo due edizioni autunnali, Primavera dei Teatri, il festival dedicato ai nuovi linguaggi della scena contemporanea, diretto da Saverio La Ruina, Dario De Luca e Settimio Pisano, portando con sé quel fermento e quella vitalità che da sempre hanno caratterizzato il festival.
Aldilà dei numeri di questa XXIII edizione di Primavera dei Teatri – oltre 40 eventi di spettacolo dal vivo tra teatro, danza, musica, performance accompagnati da residenze creative, workshop, reading, presentazioni di libri e convegni, 16 debutti assoluti, 4 anteprime, 4 coproduzioni, 3 progetti internazionali, più di 14mila spettatori – il festival si conferma quel fertile laboratorio che trasforma Castrovillari, ai piedi del Pollino, in uno spazio unico e privilegiato di incontro e confronto a partire dal teatro che si fa.

Il festival si caratterizza come “uno spazio di democrazia del quale una collettività si è voluta riappropriare partecipando a tutti i tipi di appuntamenti e gremendo i luoghi di spettacolo del festival – dichiarano i direttori La Ruina, De Luca e Pisano – La centralità degli argomenti trattati, delle scelte artistiche, dello scouting sull’ultima generazione di artisti, dell’organizzazione che punta a creare una reale condivisione tra pubblico, operatori, critici e compagnie, sopperisce alla marginalità geografica del luogo. Obiettivo futuro è ora quello di dare continuità nell’anno al lavoro del festival. Ci sono in città due teatri chiusi e la possibilità di creare spazi del contemporaneo molto affascinanti”.

Programmazione, quindi, e sguardo rivolto al futuro per imbastire da subito e in continuità col festival, un percorso che guarda alla drammaturgia contemporanea come luogo su cui riflettere del presente e del futuro.
In scena, anche per questa edizione, una proposta variegata, fra debutti e residenze, che hanno animato i numerosi spazi del festival, il Teatro Sybaris e il protoconvento Francescano, il Teatro Vittoria, il capannone dell’Autostazione, il raccolto teatro Chimera, la sala Varcasia, per un mosaico di parole, immagini, storie.

Il tema della memoria e del tempo fra i vari fili che hanno caratterizzato la proposta, sviscerato attraverso molteplici sfaccettature, come ha fatto splendidamente, in “Via del Popolo”, il padrone di casa di scena Verticale, Saverio La Ruina, con uno spettacolo che aveva debuttato lo scorso dicembre. Fra tradizione e poesia, attraverso una fiaba senza tempo, si è mossa la performance di Dario De Luca, altro padrone di casa, con “Re Pipuzzu fattu a manu. Melologo calabrese per tre finali” di cui abbiamo già parlato.

Il passato coi suoi volti e le sue anime risuona anche nelle parole di Elena Bucci: “Canto alle vite infinite” è un tributo alla natura, ai luoghi cari della Romagna, tristemente colpiti dalla recente alluvione, in cui rivivono donne, uomini, storie e leggende in una narrazione che si fa sogno e si muove ora lenta ora ritmata in una scena dove leggeri si agitano dei veli, a segnare fiati e respiri.

Canto alle vite infinite (ph: Angelo Maggio)

Memoria dolorosa e necessaria quella di “Umanità nova-cronaca di una mancata rivoluzione”, della compagnia reggino-calabra Carullo-Minasi (con Sciara Teatro): siamo in Calabria, alla fine degli anni Sessanta, ed è la vicenda umana di cinque giovani anarchici di Reggio Calabria che emerge attraverso corpo e voce di Giuseppe Carullo, con la regia di Cristina Minasi e la drammaturgia di Fabio Pisano.

E ancora i classici con voce nova, quella elaborata, ad esempio, da I Sacchi di Sabbia, che si affidano alla voce di Silvio Castiglioni per tratteggiare “I Persiani di Eschilo, la tragedia più antica del mondo” che, attraverso un metafisico apparato di teatro di figura (piccoli rettangoli a rappresentare i soldati in battaglia, mossi con cura e precisione), racconta di grandi battaglie di ieri, in un’atmosfera senza tempo.

Corpo e paesaggio, in un continuo rimando al movimento e all’immagine sono protagonisti in “Alcune coreografie” di Jacopo Jenna, con la danza di Romana Caia, che dialoga perfettamente con una moltitudine di frammenti video alle spalle, riempie lo spazio, crea connessioni con la natura che si fa essa stessa protagonista in gesti e movimenti alla ricerca di un rapporto possibile fra le due dimensioni.

Un laboratorio attivo quello di Primavera, reso ancor più interessante dalle residenze proposte, i cui esiti hanno coinvolto il pubblico: è il caso di “Smart Work”, testo che nasce all’indomani della pandemia, scritto a quattro mani da Armando Canzonieri e Gianluca Vetromilo e interpretato da Francesco Rizzo, che pone al centro di una narrazione diretta e carica di ritmo il tema del lavoro, precario, agile, troppo spesso dissimile a quanto desiderato, ma che con tenacia, coraggio e costanza si cerca di portare avanti.
Quadri di un presente complesso, che coinvolge giovani ma non solo, capaci di sollevare interrogativi e riflessioni.

Ed è sempre il lavoro, fra sogni ed ambizioni e, nello specifico, quello desiderato di cantante lirica, al centro di un’altra interessante residenza, “La consagración de nadie” (La Consacrazione Di Nessuno), regia di Gonzalo Quintana con Micaela Fariňa, argentini che raccontano con ironia e dolcezza la ricerca di Micaela, una cantante d’opera e attrice che non è riuscita mai a entrare nella scena lirica di Buenos Aires.

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