Progetto Schwab. Lupinelli e gli incubi a occhi aperti

Michele Bandini in Appassionatamente
Michele Bandini in Appassionatamente
Michele Bandini in Appassionatamente (photo: armunia.eu)

Maurizio Lupinelli. Ché poi nemmeno si chiama così, ormai, lui si presenta a tutti come Lupo. Lì per lì ti scappa anche un sorriso. Poi ti siedi in platea e capisci che quel nome gli sta a pennello, capisci che qualcuno sta per divorarti.
C’è qualcosa di terribile nel Progetto Schwab di Lupo, che ora, con “Appassionatamente”, passa per Inequilibrio Festival di Castiglioncello.

Innanzitutto c’è il grande coraggio di prendere in mano testi davvero spinosi, quelli, appunto, di Werner Schwab, australiano di lingua tedesca considerato uno dei “drammaturghi maledetti” di quest’ultima epoca. Lupo ha cominciato la sua avventura teatrale nel 1986, insieme ad altri grandi nomi. In questa intervista viene fin troppo ben delineato il lavoro che lo ha portato oggi, dopo più di vent’anni di ricerca, a costruire intorno e dentro ai propri spettacoli un mondo buio e inquietante, un’architettura stregata.
E già il termine “spettacolo” è poco efficace, poco adatto. Si tratta di una vera e propria creazione, in cui gli elementi prendono posto per reazione e del cui ordine possiamo percepire la finezza soltanto grazie alla lente di un maestro della regia. Ecco, questo è Lupo.

Il lavoro è suddiviso in quadri. Istantanee brevi e terribili di quotidianità distorte. C’è la coppia, composta da Elisa Pol e Michele Bandini, alle prese con un’ossessiva ricerca delle reciproche colpe da assegnare. L’orrore dell’altro rivive in piccoli puntigli e accuse che tagliano. Questa fotografia desolante raffigura i due, di tanto in tanto, con i volti coperti da maschere di animali, quasi a richiamare la simbologia dell’apologo greco, in cui crudeltà e innocenza prendono forme fisiche. E intanto non c’è speranza, non c’è amore, non c’è fiducia in questo rapporto continuamente interrotto dal buio, che arriva come la lama della memoria, ad amputare dettagli.
E poi ci sono i disabili, altro grande punto fermo nel lavoro di Lupo. Mai usati vigliaccamente come fenomeni da baraccone, meno che mai aggrediti dal tentativo terapeutico, messi piuttosto di fronte alla sola prova del creare arte. Compongono quadri di dialogo secco e tableau, anch’essi di una crudeltà esemplare, dall’obeso che chiede ossessivamente da mangiare alla bambina abbandonata dalla mamma. In loro e in noi si apre un solco indimenticabile, straniante, nel tentare di capire se sia il mondo a scomparire o noi a tapparci gli occhi. L’unione tra queste due distorsioni è un’esplosione di rabbia, sono cani invisibili che assordano con i loro latrati. Ed è l’ingresso di Lupo nel suo costume settecentesco. Nero addosso, bianco in viso e con la chioma grigia sciolta sulle spalle, ci vomita addosso il nostro stesso odio, viene a rubarci la tranquillità di spettatori, ingoia la scena tutta, in una performance breve, terribile, enorme.

Di questa creazione resta il testo frammentato di Schwab, che chiama altro lavoro, ferma gli spunti di mille riflessioni su normalità e quotidianità; restano le visioni perfettamente incorniciate da buio e colori; restano movimenti scenici di pulizia esemplare. E la sensazione, difficilissima da rendere, che a prendere vita in scena sia il ritratto di un incubo. Quello che troppo spesso ci vede indifferenti di fronte a certe fratture del senso comune. Fino a farci sentire in colpa, chissà poi perché.


PROGETTO SCHWAB – APPASSIONATAMENTE

regia: Maurizio Lupinelli
produzione Armunia, Festival Inequilibrio di Castiglioncello, Regione Toscana, 3bis F di Aix en Provence
con: Michele Bandini, Maurizio Lupinelli, Elisa Pol, Federica Rinaldi, Linda Siano, Cesare Tedesco
ideazione scenografica Alessandra Ferrari
disegno luci: Filippo Trambusti
costumi: Maria Chiara Grotto
direzione tecnica: Fabrizio Bellini
assistente alla regia: Eugenio Sideri
coordinatrice del progetto: Alessandra Rey
drammaturgia: Eugenio Sideri, Maurizio Lupinelli
durata: 1h
applausi del pubblico: 2′ 30”

Visto a Castiglioncello (LI), Castello Pasquini, il 18 novembre 2010



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  1. says: sergio

    ciao anna,
    è molto interessante quello che dici.
    io trovo che questa frammentarietà sia la potenza dello spettacolo.
    credo che proprio in questo modo Lupo sia stato in grado di trasferire un immaginario altrimenti irrappresentabile, quello del sogno.
    non ho letto tutto Schwab, ma qualcosa sì e ci ho sempre trovato questo carattere, questa cupezza che è solo degli angoli bui degli incubi, quelli che non riesci a svegliarti. quelli in cui i volti appaiono e scompaiono e da un momento all’altro cambiano, si modificano, si deformano.
    quelle suggestioni visive senza collante mi sono parse la potenza stessa del lavoro, la sua compiutezza.
    per questo ho parlato di incubi ad occhi aperti.
    ma si tratta – come sempre, d’altronde – anche e soprattutto di un giudizio personale, che si basa molto sulla sensibilità. credo che la potenza di certo teatro stia anche lì, a colpire nel segno. e in questo caso Lupo lo ha fatto facendo leva sulle curve di una memoria che volevo seppellire. chissà poi qual è. buffo che chiuda questo commento allo stesso modo di come ho chiuso il pezzo.
    grazie a entrambi di aver letto

  2. says: ac

    anche io credo di aver visto un altro spettacolo.
    uno spettacolo frammentario, senza capo ne’ coda.
    molto dilatato nei tempi e macchinoso, quasi un passo piu’ lungo della gamba per l’amico Lupo, che tanto invece riesce a dire con il minimalismo.
    un insieme di suggestioni tutte visive senza un collante.
    tuttavia un grande amore per il teatro che rende difficile parlarne male.
    mi sono mancate le necessita’ delle scelte, a partire dalle scelte degli attori, fino ad arrivare al testo, ai costumi. e’ difficile da spiegare, ma e’ come se ci fossero tutti gli elementi per un ottimo lavoro, ma in scena ho visto solo gli elementi, e non l’opera compiuta.

    anna