Site icon Krapp’s Last Post

Pronti a tavola. Perdutamente è servito (ma senza alcolici)

La campagna dell'Angelo Mai in seguito alla chiusura del bar
Il Teatro India di Roma
Il Teatro India
Perdutamente. Può essere la sfumatura di emozione che accompagna un uomo o una donna, soli o in compagnia, nel vivere, morire, combattere, lasciarsi andare. L’hanno scelta come titolo per l’iniziativa che sta partendo al Teatro India di Roma, dal sottotitolo nobilmente costruito in “Atti, distrazioni, incidenti, teorie sul tema della perdita”, carico di immense (rischiose) possibilità.

Fautore dell’atto visionario si è detto essere Gabriele Lavia, che oltre ad attore, regista, pensatore, è anche direttore del Teatro di Roma, alla cui presidenza si trova Franco Scaglia, entrambi presenti alla conferenza stampa che l’ha vista lanciata in una sera lunare negli spazi all’aperto del Teatro India, qualche addetto ai lavori intervenuto, per lo più presenti le 18 compagnie e amici coinvolti nella vicenda.

Lucia Calamaro, Daniele Timpano ed Elvira Frosini, Andrea Cosentino, Accademia degli Artefatti, Muta Imago, Santasangre, Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, Veronica Cruciani, Lisa Natoli, Opera, Roberto Latini, MK, Tony Clifton Circus, Teatro delle Apparizioni, Biancofango, Fattore K con Federica Santoro, Psicopompo Teatro, Andrea Baracco i nomi di coloro che hanno ricevuto la chiamata per ciò che Lavia ha definito, occhi rivolti al cielo notturno, uno sguardo nel buio, dato che nessuno sa, per sua stessa ammissione primo fra tutti lui, cosa potrà portare tutto questo.

L’unica cosa certa è che, da ottobre a dicembre 2012, i luoghi dell’India saranno abitati da chi fa teatro, e si spera anche da un pubblico che non sia solo e sempre il “suo”, che nell’anomalia della vicenda possa essere calamitato qui anche chi, in qualche modo, a teatro ci capita per caso, ma che non per caso ci potrà rimanere ad abitarlo.

Ha avuto dei natali fortunati il Teatro India, nella presenza piena di ottimi auspici che fu quella di Mario Martone, già motore, partenopeo, rinvigorente nei Teatri Uniti della Primavera napoletana. Per l’Estate romana, andato via lui, si è aperto l’Inverno del nostro scontento, per uno spazio mal gestito e (dis)occupato, se non per i fortunati episodi che vedono primo fra tutti quello di Short Theatre con la direzione artistica di Fabrizio Arcuri e dei suoi Artefatti.
È mancata fin qui quella continuità di spazio pieno e d’incontro che invece la facciata dai mille passi di Mimmo Paladino facevano prospettare. Passi che la ghiaia bianca che circonda l’India ha visto stanchi e poco motivati in questi anni, presi da quel torpore che fa parte del galleggiamento da liquido amniotico, in attesa del nascere, che un po’ tutto nella capitale tende a manifestare. In un rincorrersi di eventi spot, che mangiano se stessi, bruciando e rinascendo volta per volta, come una fenice che ha perso di vista la sua luce, la sua memoria, cadendo ogni volta in questo mondo come un novello smemorato di Collegno…

Le compagnie che salgono sul palco, a rappresentanza delle 18, cercano di ricordarlo all’assessore alle Politiche Culturali e al Centro Storico di Roma Capitale Dino Gasperini, presente al lancio di “Perdutamente”, qui in puzza di raccolta di consensi, dopo le nefaste e indegne vicende che hanno caratterizzato i luoghi dei palazzi regionali, punta dell’iceberg di un malcostume generale.
Del resto, come si direbbe nei bar nella capitale, dove gli avventori ne sanno più di giornalisti e addetti ai lavori, “ma già si sapeva da tempo, lo fanno tutti….”. Ma perché si subisce in silenzio, senza cercare di fare e sapere prima? Altro male italiano: intervenire in ritardo come se, sempre, tutto fosse un’emergenza…

Le voci che si susseguono ricordano all’assessore che non basta creare una cattedrale che rischia di essere nel deserto. Le si deve dare continuità, non dimenticandosi affatto di ciò che, con le cantine romane a suo tempo, è stato motore e fulcro di ricerca in queste ultime decadi, essendo luoghi di scambio e di incontro: quegli spazi detti centri sociali, spazi occupati, che grazie alla delibera 26 dell’allora giunta Rutelli furono riconosciuti necessari in qualche modo anche dalla “legalità”.

La campagna dell’Angelo Mai in seguito alla chiusura del bar
Il nuovo corso dall’avvento del sindaco Alemanno ha visto spazi importanti colpiti: chi soccombendo, chi boccheggiando in mancanza di ossigeno. Chiuso il Rialtosantambrogio, in drastica diminuzione di attività il Kollatino Underground, in continua sopravvivenza il Teatro Furio Camillo, ora tocca all’Angelo Mai.
È di poche settimane fa l’annuncio che sono stati costretti a chiudere il bar a causa della lente d’ingrandimento del Comune. Unica vera fonte di sostegno per gli Angeli, già fatti sbaraccare da Rione Monti verso la zona delle Terme di Caracalla, è questa una sentenza di condanna a morte.
Ospitati all’Ex Cinema Palazzo Sala Arrigoni a S. Lorenzo, e ieri sera al Valle Occupato per la serata Frammenti Condivisi, continuano a compiere un’opera di autofinanziamento e sensibilizzazione per la loro sorte, per fare in modo di realizzare comunque l’importante evento che sarà, dal 14 al 18 ottobre, la mostra fotografica di David Fenton proprio negli spazi dell’Angelo Mai, così da avere per la prima volta in Italia l’opera del fotografo che, a 15 anni, è stato capace di documentare storicamente il movimento di controcultura degli anni ‘60 e inizio ‘70 negli Stati Uniti.

Chiedono continuità all’assessore e al Comune le compagnie chiamate a rappresentare le tante altre che si muovono nel territorio romano e nel Lazio. Chiedono che si protegga ciò che ormai è radicato nel territorio, in quella rete urbana che a volte si muove, per quanto le è ancora possibile, in modo sotterraneo e poco evidente alla cittadinanza: emblematico il racconto di un’amica che chiese, anni or sono, a un edicolante nei pressi di Piazzale della Radio dove fosse l’India. Lui rispose, colmo di stupore, “Cosa?”…

A gennaio inizieranno i lavori di ristrutturazione, di rinnovamento dell’India (il teatro!); quei lavori che sarebbero dovuti partire a luglio e che, scivolati inevitabilmente per le tempistiche italiane, hanno fatto saltare il suo cartellone.
Un nobile proposito che nasconde una mera incombenza pratica, quella di “Perdutamente”: come riempire questi mesi di limbo purgatoriale fino all’avvento del 2013? Ed ecco qua la fortunata intuizione di Lavia, accolta da Scaglia. Abbracciata da Gasperini. Che risponde, anch’esso guardando quella luna lassù, alle parole di rammarico a caccia di risposte delle compagnie: “Andiamo avanti”; si vuole dar fiducia. E per questo si spera che tutto questo avvenga non dimenticandosi del passato, anzi migliorandolo, salvandolo per ciò che è di vitale importanza, imparando dai propri errori, stabilendo un vero dialogo. Prendendo tutto questo per quello che è, un’occasione, e non mancarla.

A dicembre la serie di laboratori aperti a tutti porteranno a rappresentazioni nello spazio del cantiere che sarà l’India, ancora per qualche mese solo cantiere-teatro. In attesa che lo sguardo rivolto al buio catturi dalle sue ombre qualcosa che prenda forma di futuro.
Intanto “Perdutamente” rompe il ghiaccio con il primo dei suoi laboratori, nella volontà, come si legge dal sito del Teatro di Roma, di essere “un’avventura inedita per ‘abitare’ il Teatro India e per condividere con la città uno spazio aperto all’incontro di nuove esperienze artistiche”.

A partire da lunedì prossimo, 15 ottobre, la compagnia PsicopompoTeatro proporrà “La perdita del personaggio”, un laboratorio rivolto ad attori professionisti. Dodici giornate di lavoro con Manuela Cherubini e Luisa Merloni, come ancora si legge dal sito del Teatro di Roma.
In questa perdita che ci viene così descritta proprio da Manuela Cherubini: “Non trovo niente di più commovente, struggente, meraviglioso (che dà meraviglia), potente, di un corpo che si offre. Si apre, si spoglia di tutte le difese di cui lo provvede l’identità. L’identità è come una calamita che attira il corpo a sé, se lo fa aderire. L’attore può essere atleta impossibile, in grado di abbandonare e riprendere il proprio corpo, gestire la propria identità. Come il pittore col colore. Si tratta di un’arte pericolosa, sul filo che separa la vita dalla morte, dal distacco definitivo. Non sappiamo cosa sia, ma è quello che temiamo di più. L’attore m’innamora quando gioca con la morte, mette continuamente in pericolo la sua identità, perché quando ne arma una fasulla restituisce allo sguardo che lo osserva un corpo morto”. E così sia.
 

Exit mobile version