Superare i traumi con l’arte. L’esempio cambogiano di Putho!

Putho!
Putho!
Putho! (photo: phareps.org)

Su uno scenario di murales orientaleggianti si apre “Putho!” (in khmer “Mio Dio!”), unica data italiana dello spettacolo della compagnia circense cambogiana Phare Ponleu Selpak Cirk composta da una quindicina di giovani provenienti da Battambang.
L’ultimo spettacolo del Phare Ponleu Selpak Cirk, concepito durante due corsi di perfezionamento della compagnia in Vietnam e in Francia, affronta il tema della giovinezza, qui celebrata nei suoi aspetti distruttivi come in quelli più vitali.
Trattandosi di un teatro estremamente fisico la trama gode di una semplice linearità. Una coppia di ragazzi che si amano e vogliono stare insieme devono fare i conti con i compagni del clan rivale, che non approvano il loro sentimento: un mix ben calibrato tra il “Romeo e Giulietta” di Shakespeare, “West Side Story” e “Grease”. Ma la vicenda non è propriamente leggera o romantica, perché strettamente intrecciata alle drammatiche vicende che hanno segnato la seconda metà del ‘900 in Indocina, e in particolare in Cambogia.

Il nucleo da cui si sviluppa il progetto di una compagnia di circensi nasce in occasione di una serie di laboratori espressivi, partiti nel 1986 in un campo profughi sul confine thailandese per aiutare i bambini a superare il trauma del conflitto bellico. L’esperimento si rivela efficace e viene portato avanti fino a quando, nel ’94, (dopo le elezioni monitorate dall’Onu, la nuova costituzione e il reisediamento di Sihanouk sul trono) un gruppo di persone che aveva beneficiato dei primi laboratori decide di fondare un’associazione che miri alla risocializzazione di bambini in difficoltà attraverso pratiche artistiche. Da qui la nuova associazione, Phare Ponleu Selpak, che in khmer vuol dire “lucentezza dell’arte” e la nascita della scuola circense, che ormai vanta tournée mondiali.
Ecco quindi, anche in “Putho!”, accanto ad amore e vendetta, comparire la guerra e i tentativi di suicidio, che tuttavia, grazie al ritmo sostenuto e serrato delle scene, offrono allo spettatore la possibilità di percepire la trama con uno stato d’animo più leggero.

Lo spettacolo ha una struttura che alterna momenti di pura arte circense, dove il nutrito gruppo di performer fa sfoggio di spettacolari salti acrobatici, animalesche contorsioni e figure intrecciate, a momenti di sola gestualità intramezzata da alcune parole chiave pronunciate in italiano.
Su tutto è il trionfo del colore: dagli attori di pelle ambrata in netto contrasto con i colori sgargianti dei loro abiti, alle numerose immagini che evocavano le sfumature di una terra a noi poco conosciuta… I colori vivaci, fosforescenti e allegri, uniti ad una musica tribale dalle sonorità frenetiche, contribuiscono a rendere piacevole lo spettacolo e adatto a tutti i tipi di età.

Ciò che rende unico e particolare “Putho!” è la fusione tra cultura orientale e  occidentale.
“Putho!” è spettacolo ibrido e affascinante per la sua carnalità, che può essere letto al tempo stesso come intrattenimento e specchio dell’artificio teatrale e dello spettatore che riflette. Non è mai solo questione di ragionamento, ma anche di corpo e azione.

PUTHO!
direzione: Khuon Det, Phil Noble
musica: Norng Chann, Gardy Labad, Jeff Hernandez, Ly Vanthan
artisti: Génération 3 de PPS
durata: 60′
applausi del pubblico: 4′ 16”

Visto a Livorno, Centro artistico Il Grattacielo, il 19 giugno 2009

0 replies on “Superare i traumi con l’arte. L’esempio cambogiano di Putho!”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *