All painting is an accident. But it’s also not an accident, because one must select what part of the accident one chooses to preserve.
(Francis Bacon)
Cualquier obra arquitectónica que no exprese serenidad es un error.
(Luis Barragán)
Ci sono occasioni che hanno il sapore di un invito a casa, per celebrare una ricorrenza importante, un anniversario che dedica tempo e respiro allargato a qualcosa che potrà avere eco al di fuori delle quattro mura in cui è contenuto l’evento.
In questo caso la casa simulacro è stata la sala “piccola” del Teatro Era, la Sala Cieslak, per creare una dimensione più intima e ravvicinata con gli spettatori, qui al massimo 70, per farli camminare in quei territori dell’anima in cui ama portarli spesso e volentieri il regista Roberto Bacci.
La storia è quella di Giovanna Daddi e Dario Marconcini, una vita dedicata al teatro, che hanno donato il loro bagaglio di ricordi ed esperienze a Bacci e Stefano Geraci, che nella casa effettiva e affettiva dei due hanno prima accumulato per poi asciugare quelle vite, fino a renderle “Quasi una vita – Scene dal Chissàdove”, drammaturgia dal sapore di tributo che ambisce all’universalità, recentemente in scena anche a Fabbrica Europa.
Giovanna Daddi e Dario Marconcini, coppia sulla scena e nella vita, sono figure chiave del teatro toscano e nazionale: fondatori del Piccolo Teatro di Pontedera, di cui facevano parte anche Luca Dini e lo stesso Bacci, quest’ultimo fu chiamato a farne parte su indicazione dell’Odin Teatret di Eugenio Barba. Dal Piccolo Teatro di Pontedera ha preso il via la strada che ha portato alla nascita del CSRT – Centro di sperimentazione e di ricerca teatrale della Fondazione Teatro della Toscana, il Teatro Era. E ancora, la direzione del Teatro Francesco di Bartolo di Buti, così come un lungo sodalizio al cinema con il regista francese Jean-Marie Straub.
Per stessa ammissione di Bacci, oggi direttore artistico del CSRT, e di Luca Dini, suo direttore generale, il CSRT-Teatro Era è Giovanna Daddi e Dario Marconcini. La scintilla iniziale, che l’ha portato ad essere punto di riferimento nella scena della ricerca teatrale, è stata accesa grazie a loro.
In scena un’ora e oltre di esistenza le cui lancette sono iniziate a girare ben prima, al momento di varcare l’uscio di quella “casa”, con Giovanna Daddi ad accogliere gli invitati intervenuti, ringraziandoli di essere lì.
È con il sorriso che la Daddi fa entrare a “casa” (una casa spoglia, essenziale, netta per come l’ha disegnata lo stesso Bacci, responsabile anche dei costumi di scena): di fronte allo spazio scenico, e a lambirne due lati, i posti per gli spettatori, con l’azione che entrerà a farne parte, gli attori che si siederanno con, si muoveranno verso di loro.
Compariranno degli sgabelli, che mobili accoglieranno attese e racconti dei protagonisti di questa storia. In fondo, a sinistra, una porta, la cui struttura si chiuderà e aprirà, in attesa di essere oltrepassata. In piedi, al centro, vicino ai convitati che passano alla ricerca del loro luogo, del loro “spazio di sicurezza”, Dario Marconcini sorride con sguardo dolce e bonario, come se si camminasse nel giorno, nella normalità della vita.
Le musiche ancora una volta incisive ed evocative di Ares Tavolazzi a condurre animi ed emozioni.
Con la Daddi e Marconcini, quattro figure, spettri, spiriti di ciò che è stato e che è, storie divenute una, unica e comune, un mistero. Sono vestiti di bianco Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini, che entreranno e usciranno, dialogando coi due e tra di loro, per poi “stare” nello spazio, incisi nel tempo.
Inizia lo spettacolo, il ricordo della prima volta che si baciarono: arrivò l’intimità a rompere gli argini della timidezza, che si confonde nella memoria e nel racconto dei due; c’è stato un inizio, ma quale? Solo la verità e intensità di quelle emozioni a definirne forse la veridicità.
La Daddi e Marconcini si donano, aprono il velo sulle loro esperienze, parlano di malattia, vissuta per la perdita di persone care, della loro famiglia; rappresentano il loro percorso a teatro, la loro vita, aprendo gli argini, quasi crudeli con se stessi e gli spettatori.
Tazio Torrini, novello demone tentatore, bacia disperatamente il Faust / Marconcini per suggellare il patto diabolico, mentre Puleo ne raccoglie l’inchiostro di sangue; danzano e si muovono ipnotiche nei vortici del tempo Pasello e Cuppini.
Marconcini in ginocchio, consegnandosi al ridicolo della propria vita, si lascia truccare da Torrini, prima il cerone bianco, su cui poi traccia linee grottesche di sembianze umane. Lo fa con pudore commosso, sottile e palpabile che si posa in quella “casa”, tra il pubblico, che ascolta ancora la Daddi ricordare quando assistette i genitori suoi e di Marconcini alla morte; quando ancora lei fu forza e speranza di Marconcini nella malattia che pareva non lasciare scampo.
Ora è nato questo tributo, che non è solo semplice ossequio; nel rispetto e nell’amorevolezza che si avvertono, risulta capace di traslare dal particolare e dare sembianze di universale, fino a (con)fondere con tenerezza; in grado di (ri)darci quella malinconia che, bussando alla porta del cinema, era di Bergman e di Kieslowski, quella leggera malinconia di un Buster Keaton; e che, infine, ricrea la dimensione del rito catartico in cui è coinvolta la comunità, in questo caso piccola ma folta, da tutto esaurito nelle repliche sia a Pontedera che a Scandicci.
Colpisce sentire quello che aleggia in sala, il voler bene rivolto a queste due figure, Daddi e Marconcini. A tratti lo sguardo degli spettatori, dello stesso Bacci, si abbassa, si discosta pudico, per non violare quelle vite. Ma, allargando respiro e sguardo, fa intendere il tentativo di ciascuno dei presenti di dedicare rispetto alla propria esistenza.
Echeggia così un’altra frase, una considerazione raccolta da Bacci: Daddi e Marconcini sono veri artisti, e come tali sanno che si deve essere crudeli con se stessi per non porsi limiti e riuscire ad andare oltre la soglia di una semplice e meschina rappresentazione, esistenza.
Di fronte alla porta, loro due si rinfacciano la vacuità del ricordo che vacilla, e che (si) confonde. “Sarò io, sarà il silenzio”. E “nel silenzio non si sa”; e forse sarà finalmente “la tua storia, la nostra storia…”.
Varcata la soglia, mentre anche quei quattro spettri si donano la reciproca versione dei fatti, ricordando la prima volta, echeggia: “Parlava loro dolcemente la notte”.
Si fa buio, il cielo s’illumina di stelle, a indicare il cammino, quasi una vita verso chissàdove.
QUASI UNA VITA – Scene dal Chissàdove
drammaturgia Stefano Geraci, Roberto Bacci
regia, scene e costumi Roberto Bacci
con Giovanna Daddi, Dario Marconcini, Elisa Cuppini, Silvia Pasello, Francesco Puleo, Tazio Torrini
interventi sonori a cura di Ares Tavolazzi
luci Valeria Foti
aiuto regia Silvia Tufano
assistente costumi Chiara Fontanella
allestimento Sergio Zagaglia, Stefano Franzoni, Fabio Giommarelli
scenografa pittrice Chiara Occhini
foto Roberto Palermo
realizzazione costumi SabrinAtelier
si ringraziano Augusto Timperanza, Associazione Teatro di Buti, Marilù Mazzanti, Daria Castellacci
durata: 1h 05’
applausi del pubblico: 3’ 30’’
Visto a Pontedera, Teatro Era, il 22 aprile 2018