Rossa e artigianale la rabbia dei Muta Imago

La Rabbia Rossa
La Rabbia Rossa
La Rabbia Rossa (photo: romaeuropa.net)

Li avevamo lasciati nel fumo di “Madeleine”, alle prese con una memoria individuale tutta da scoprire, tutta da recuperare, tutta da visualizzare. C’era stato per me, in quell’occasione, lo spaesamento che arriva da una corsa troppo lunga sulle montagne russe, quella piccola nausea da luna park che ti fa tornare su lo zucchero filato. Me ne ero andato portandomi dentro lo stupore per tutto l’incantesimo, ma forse anche un po’ la delusione di averlo dovuto osservare da dietro un vetro. Magari sottile, ma sufficiente a respingere quasi del tutto gli effetti della magia.

Nel frattempo avevo avuto modo di vedere molto teatro, di sottopormi a una sorta di accurato esame della vista, per imparare a vedere anche l’ultima riga della lavagna. E tornavo, a Romaeuropa 2010, a vedere il debutto di un nuovo lavoro dei Muta Imago.

Nello spazio spoglio e ampio dell’Angelo Mai, quattro donne schierate in una rigorosa fila indiana attendono l’ingresso del pubblico, che riempie gli spalti sotto il loro sguardo severo. Qualcuno si stringe nel cappotto contro un ottobre dai denti aguzzi, poi cala il silenzio. La frase d’attacco del foglio (elettronico) di sala vale la pena di citarla integralmente: “La rabbia rossa è quella che leggi in certi sguardi delle persone che incroci per la strada; è lì, un inquietante agglomerato di violenza pronto a esplodere”. E tutto questo c’è. Le quattro donne sono vestite identiche, ma è più straniante riconoscere in loro anche tratti somatici simili. Mi chiedo se non sia una mia suggestione; fatto sta che, in quei movimenti svelti e precisi, quel transitare frenetico lungo le linee sottili dei sagomatori incrociati a griglia, in quel comparire e scomparire che è già cifra stilistica, in quel sostare fronte al pubblico con sguardi severi e muscoli che tremano io riconosco quattro versioni dello stesso essere umano. Importa poco riconoscere in questa somiglianza una reale intenzione di regia, ché un senso arriva comunque, quello semplice e definito secondo cui tu sei uguale a tutti gli altri e gli altri uguali a te. Stretti tutti nella morsa dello stesso odio.

Nella drammaturgia – infusa tra ruvide musiche attraverso una voce off – si colgono riferimenti a scenari di guerra; l’abito che le quattro attrici indossano ha ispirazione persa tra Guerre Stellari e le immagini dell’Afghanistan. E allora i rumori diventano colpi di mortaio, la corsa una fuga, gli sguardi intensi sofferenza, il tremito terrore. Si raggiungono momenti di grande, grandissima intensità con le frustate, le passeggiate al buio e soprattutto il terrificante canto live di “Lascia ch’io pianga” sommerso, poco a poco, da dissonanze che frastornano. Aiutano molto i fasci di luce rosso vermiglio, soprattutto quando incorniciano volti androgini e sopracciglia inarcate, e ci precipitano in un inferno di segni.

Con questo nuovo lavoro Muta Imago confermano una tendenza: l’artigianato. Giorni fa si discuteva sulla virtualità gelida e disperata dei Santasangre, sul loro cercare di ricreare in scena una realtà completamente altra, che faccia scivolare le certezze del pubblico su un ghiaccio di nuove convenzioni, punti di riferimento alieni. Claudia Sorace e i Muta Imago si tengono la realtà che tutti conosciamo, non la sostituiscono. La loro rinuncia alla parola somiglia al momento in cui getti i sacchi oltre la sponda dell’abitacolo per far prendere il volo alla mongolfiera.
Stavolta non è un luna park di effetti visivi, ma un laboratorio d’altri tempi in cui ogni avvenimento è artigianale e, soprattutto, guidato da una grande forza creativa. Allora la rabbia prende vita nel modo più semplice, ha spazio per aggredirti, ti punta contro il dito. Resta il sospetto che qualche scelta sia semplice, che qualche durata sia ancora da spezzare. Ma è come la respirazione quando corri o nuoti, il ritmo giusto arriva nel momento in cui cominci davvero a faticare. E per adesso portiamo a casa un giusto spaesamento, che dà senso a quel “Displace n.1” del titolo.

DISPLACE N.1 – LA RABBIA ROSSA
ideazione: Muta Imago
regia/Luci: Claudia Sorace
drammaturgia/suono: Riccardo Fazi
realizzazione scena: Massimo Troncanetti, Maria Elena Fusacchia
vestiti: Fiamma Benvignati
organizzazione: Martina Merico
con: Chiara Caimmi, Fabiana Gabanini, Valia La Rocca, Cristina Rocchetti
produzione: Muta Imago In collaborazione con Regione Lazio Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport, FOCUS on Art and Science in the Performing Arts in residenza presso Inteatro – Polverigi, L’Arboreto – Teatro Dimora di Mondaino _ Kollatino Underground_ Angelo Mai_Ruota Libera Teatro – Teatro del Pigneto
realizzato da: Romaeuropa Festival 2010 in collaborazione con Iam
presentato nell’ambito di Festival Temps D’Images, DG Istruzione e Cultura

Visto a Roma, Angelo Mai Occupato, il 23 ottobre 2010



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