Parsifal. Il “puro folle” nella visione di Romeo Castellucci

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Parsifal (photo: lamonnaie.be)
Parsifal (photo: lamonnaie.be)

“Anche se si spingono a scandagliare le origini di qualcosa, gli scritti sono sempre le scorie marginali e secondarie degli spettacoli. Scrivere attorno al teatro è soltanto un modo per rimanere nel riverbero di ciò che finisce”.
Queste le parole di premessa a “Epopea della polvere”, il libro che raccoglie i lavori della Socìetas Raffaello Sanzio dal 1992 al 1999.

Scrivere e protrarre nel tempo il piacere di una nuova visione e galleggiare nel riverbero delle immagini ancora vibranti, seppur ‘finite’, è invece possibile grazie al lavoro di Romeo Castellucci.
Al regista, che già aveva compiuto i primi passi nel teatro musicale – quello d’opera – nel 2001 con “Il Combattimento di Tancredi e Clorinda” di Monteverdi, il teatro La Monnaie di Bruxelles ha offerto una nuova sfida: “Parsifal”, l’ultimo dramma di Richard Wagner che insinua, attende e spera nell’arrivo del “puro folle” che giunga a salvare una comunità ormai ferma.

Scelta lungimirante e vincente, quella del teatro belga, di affidarsi al regista italiano, in linea con la fiducia consacrata dai teatri europei negli ultimi anni ad artisti non ufficialmente dediti al teatro musicale quali Emma Dante, Pippo Delbono o, sul versante francese e belga, Joël Pommerat, Guy Cassiers… E così, oggi più che mai, attraverso la visione di Castellucci – che firma regia, scene, costumi e luci – l’antico “far opera” passa attraverso una tabula rasa per ripartire da zero ed andare chissà dove: forse verso la salvezza?

Castellucci, come ha più volte dichiarato, ci pone di fronte ad una riflessione filosofica, unico modo possibile per guardare “Parsifal” oggi. Riflessione che non è mai una conclusione ma rimane sempre un punto di partenza, in un’ottica fortemente orientata al lanciare questioni più che risolverle, insinuare dubbi più che emettere sentenze. Grazie a questa impostazione rimaniamo liberi di vagare tra un immagine e il suo opposto sin dalle primissime note dell’opera.
Già nel preludio ci troviamo di fronte alla prima scelta: Wagner o Nietzsche, con la grande immagine di quest’ultimo proiettata nel buio. La figura del filosofo è a sua volta insinuata dal dubbio, rappresentato da un seducente serpente albino che si muove sinuoso (e, paradossalmente, a tempo di musica) ad un’altezza tale che pare gli stia sussurrando all’orecchio frasi indicibilmente peccaminose.

Alla domanda: “Cosa significa raccontare Parsifal oggi?”, il regista risponde con la messa in scena di una società caratterizzata dall’annullamento di ogni individualità. Il “puro folle” giunge, solo ed errante, presso una comunità che non conosce e di cui ad un tratto scopre di doversi fare redentore. Alla fine non riuscirà realmente a salvarla, rimanendo nuovamente solo, dietro una folla destinata a errare in eterno.
Presenze oniriche, magiche e premonitrici emergono d’improvviso per poi sciogliersi poco dopo davanti ai nostri occhi, senza lasciar quasi traccia.

Nel primo atto l’individuo scompare in una iperrealistica foresta popolata da animali veri: il serpente albino e un pastore tedesco. E’ invece assente il famoso cigno che introduce da sempre l’ingresso di Parsifal. La scelta è in linea con la decisione di Castellucci di evitare di mostrare gli elementi più propri della simbologia mitica, cristiana o pagana che sia, per non cadere nell’illustrazione e poter tirare fuori, invece, ciò che si trova negli strati più nascosti e profondi del mito. I cantanti si muovono nella penombra, ricoperti interamente di foglie, presenze mimetizzate di cui udiamo spesso solo le voci. Grazie ai differenti abiti, dichiaratamente contemporanei, riusciamo a distinguere solo Kundry e Parsifal, primo segno visivo della solitudine che contraddistingue soprattutto il protagonista.

Parsifal (photo: lamonnaie.be)
Parsifal (photo: lamonnaie.be)

L’ingresso della donna è preceduto dall’apparizione di due creature, una bimba e un’adolescente che, col viso avvolto nello stesso cappuccio bianco, mostrano le medesime fattezze dell’adulta, insinuando nelle mente di chi guarda il dubbio che si tratti delle tre fasi della vita di Kundry.

Tra alberi che dolcemente si inclinano e cadono a terra, rami che diventano incandescenti fino a sciogliersi e i lampi di luce delle torce che stringono fra le mani i Cavalieri del Graal, la foresta diventa personaggio attivo, vero, che respira e vive fino al suo disfarsi, rilasciando tutti gli uomini che aveva prima inglobato, in un deserto popolato solo da qualche residuo di foglie e da fortissime luci che calano accecanti dall’alto.
Il contrasto luci/ombre è uno dei linguaggi principali dello spettacolo. Amfortas ci mostra la sua ferita, che spalanca al punto da rivelare il buco nero che vi si annida dentro. Nero, tanto profondo e potente da esondare dal petto del re e allargarsi pian piano, fino a ricoprire e annerire l’intera scena. Il vuoto della sua ferita è il vuoto del Graal. L’equazione Graal uguale vuoto è il motore dell’intera storia, il punto d’avvio di un’assenza che, sopraggiunta all’improvviso, deve essere colmata.

Sulla stessa linea, uguale e contraria, si sviluppa il secondo atto. Ancora una volta le presenze umane si sfaldano e mimetizzano nello spazio, che qui assume il carattere di una cella, bianco latte, fredda e asettica. Numerose presenze femminili, anch’esse biancastre e statuarie, tra bondage e shibari si aggirano per la scena appese a reti di corde, affioranti come presenze di ragno sul fondo. Sono le fanciulle in fiore che Klingsor tiene soggiogate come trappola per i cavalieri; tra di esse anche Kundry, il cui incontro con Parsifal evoca una di quelle presenze che paiono farsi spesso terrifiche nel teatro d’opera: la madre. La generatrice di Parsifal si manifesta nell’immagine del sesso femminile di una donna, stesa alle loro spalle in posizione quasi da partoriente.

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Parsifal: una scena dal terzo atto (photo: lamonnaie.be)

Il terzo atto giunge quasi a riposare le nostre menti affollate d’immagini. La scena completamente vuota, buia. Un piccolo ramoscello di foglie si erge esile ed innocente per qualche attimo dal suolo, fino a quando non viene strappato e donato a Parsifal. Lentamente la scena si riempie di uomini e donne in grigi abiti contemporanei – i registri linguistici si mescolano e alternano  incredibilmente nel corso dell’opera senza alcuna incoerenza – che vengono a comporre l’ultima folla indistinta di questo Parsifal. In mezzo, ancora una volta, nascosti tra i figuranti, stanno protagonisti e coristi. Ogni tanto qualcuno emerge, innalzandosi magicamente sopra la folla per riscendere subito dopo. Parsifal li avvia ad un cammino che sembra debba durare in eterno. Ma al termine di questa lunga camminata il protagonista non sembra portare il lieto fine della redenzione e della salvezza generale. Si aggirerà ancora solo tra i rifiuti di una folla, grigia e senza nome, che continuerà ad errare in eterno.

la monnaie - bruxellesPARSIFAL
Dramma sacro in tre atti di Richard Wagner

Direction musicale: Hartmut Haenchen
Mise en scène: Romeo Castellucci
Chorégraphie: Cindy Van Acker
Décors, costumes et éclairages: Romeo Castellucci
Dramaturgie: Piersandra di Matteo
Collaboration artistique: Silvia Costa
Collaboration décors: Giacomo Strada
Collaboration aux lumières: Giacomo Gorini
Video 3D: Apparati Effimeri
Direction des chœurs: Winfried Maczewski
Direction du chœur de jeunes: Benoît Giaux
Bondage artist: Dasniya Sommer
Amfortas: Thomas Johannes Mayer
Titurel: Victor von Halem
Gurnemanz: Jan-Hendrik Rootering
Parsifal: Andrew Richards
Klingsor: Tómas Tómasson
Kundry: Anna Larsson
Gralsritter: Willem Van der Heyden, Friedemann Röhlig
Vier Knappen: Ilse Eerens, Angélique Noldus, Gijs Van der Linden, Guillaume Antoine
Klingsors Zaubermädchen: Hendrickje Van Kerckhove, Anneke Luyten, Angélique Noldus, Ilse Eerens, Tineke Van Ingelgem, Margriet van Reisen
Stimme aus der Höhe: Anna Larsson
Orchestre: Orchestre symphonique, chœurs et chœur de jeunes de la Monnaie

Production: La Monnaie
Avec le soutien de Toyota
Partenaire média: Cobra.be

Durata: 5h circa
Applausi del pubblico: 5′ 42″

Visto a Bruxelles, Théâtre Royal de la Monnaie, venerdì 11 febbraio 2011

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