Esperienza unica ed emozionante quella vissuta dallo spettatore in “Radici profonde nel grembo di un monte”, lo spettacolo itinerante dedicato alla poetessa lombarda Antonia Pozzi, concepito da Farneto Teatro e dalla compagnia Scarlattine che ha aperto il festival Il giardino delle Esperidi.
Elisabetta Vergani, con la musica dal vivo di Mario Arcari, Filippo Fanò e Leonardo Ramadori, nello spazio scenico creato da Matteo Lainati e Tania Corradini, attraverso le luci di Andrea Violato, la drammaturgia della stessa Vergani e la regia di Maurizio Schmidt, mette in scena per mezzo delle parole della Pozzi la vicenda umana e poetica della poetessa, e lo fa proprio negli stessi luoghi che la videro passare diverse estati della sua vita.
Finalmente, dopo anni di oblio, la poesia di questa infelice donna, morta suicida, viene lodevolmente riscoperta, e lo spettacolo ne fa ampia giustizia.
Antonia Pozzi, figlia di Roberto, importante avvocato milanese e della contessa Lina Cavagna Sangiuliani, nipote di Tommaso Grossi, nasce a Milano nel 1912; studia nel liceo classico Manzoni di Milano, dove ha una
relazione con il suo professore di latino e greco, Antonio Maria Cervi, molto osteggiata dai genitori, e che le procura una depressione che contribuirà a condurla al suicidio.
Si laurea nel 1935 con una tesi su Flaubert, ma è la poesia la sua àncora di salvezza. Ha molteplici interessi, tiene un diario, ama le lunghe escursioni in bicicletta e in montagna, che ci rimangono attraverso molte fotografie da lei stessa effettuate, conosce il tedesco, il francese e l’inglese, viaggia, ma il suo luogo prediletto rimane la settecentesca villa di famiglia, a Pasturo, ai piedi delle Grigne.
Le leggi razziali del 1938 colpiscono alcuni dei suoi amici più cari; «forse l’età delle parole è finita per sempre», scrive quell’anno all’amico Vittorio Sereni.
Nel suo biglietto di addio ai genitori parlerà invece di “disperazione mortale”, per poi uccidersi con i barbiturici. Il suo corpo verrà ritrovato vicino all’Abazia di Chiaravalle; ma la famiglia negherà la circostanza
«scandalosa» del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il suo testamento verrà distrutto dal padre, che manipolerà anche le sue poesie, scritte su quaderni e allora ancora tutte inedite; tanto che la storia d’amore con il Cervi sarà falsamente descritta come una relazione platonica.
È sepolta nel piccolo cimitero di Pasturo, ed è nella sua villa che assistiamo a “Radici profonde nel grembo di un monte”, lo spettacolo itinerante dedicato alla poetessa lombarda.
Gli spettatori, sessanta alla volta, compiono un vero e proprio cammino, reale ed immaginifico, nel giardino della dimora di Pasturo, origine di molte delle sue composizioni: uno spazio ampio composto da prati, alberi,
un piccolo chiostro, e sul retro della casa una panchina e l’altalena, infine un ponticello che attraversa un fiumiciattolo.
Le alte parole della Pozzi si riverberano per tutto lo spazio scenico, diviso in diverse stazioni, dove Elisabetta Vergani si muove dando voce al desiderio di poesia, bellezza e libertà della donna.
Un desiderio di poesia a cui Antonia Pozzi si è immolata e le cui rime, come finestre della sua anima, si aprono sul pubblico: desiderio di bellezza e di libertà, manifestate dalla necessità di respirare ogni parte che la
natura le concedeva con le fotografie da lei stessa scattate, e che si adagiano sui muri della villa, testimoni perfette del suo amore per la vita.
Le sue parole così riempiono i prati, gli alberi, gli orti, il torrente, accompagnate dalle suggestive e sempre appropriate musiche dal vivo di Mario Arcari, Filippo Fanò e Leonardo Ramadori, che si intersecano con i
rumori reali e ricreati della natura, dando spessore e suggestione sempre diversi ai versi della Pozzi.
Ma la cosa che ci ha fatto più immensamente piacere è immaginare il volto e i pensieri del meschino padre, nel vedere tanta gente accorrere e commuoversi alle parole da lui tanto disprezzate e che il teatro ha così meritatamente valorizzato.
Preghiera alla poesia
Oh, tu bene mi pesi
l’anima, poesia:
tu sai se io manco e mi perdo,
tu che allora ti neghi
e taci.
Poesia, mi confesso con te
che sei la mia voce profonda:
tu lo sai,
tu lo sai che ho tradito,
ho camminato sul prato d’oro
che fu mio cuore,
ho rotto l’erba,
rovinata la terra –
poesia – quella terra
dove tu mi dicesti il più dolce
di tutti i tuoi canti,
dove un mattino per la prima volta
vidi volar nel sereno l’allodola
e con gli occhi cercai di salire –
Poesia, poesia che rimani
il mio profondo rimorso,
oh aiutami tu a ritrovare
il mio alto paese abbandonato –
Poesia che ti doni soltanto
a chi con occhi di pianto
si cerca –
oh rifammi tu degna di te,
poesia che mi guardi.