Lo sguardo sugli Inferi dal Cavalcavia di Industria Indipendente

Lucifer (creazione grafica di Brì Di Tanno)
Lucifer (creazione grafica di Brì Di Tanno)

“È vero, lurido bastardo, tutto questo è bellissimo” afferma Lucifero dalle pagine della graphic novel “Sandman” e dalle spiagge di Perth, Australia, seduto di fronte al mare su una sdraio, la cicatrice delle ali tagliate ben evidente sulle spalle, mentre il sole tramonta all’orizzonte.

Non sappiamo se abbiano avuto anche questo riferimento cultural-motivazionale nel realizzare la loro nuova opera le ragazze di Industria Indipendente, Erika Z. Galli e Martina Ruggeri, nel frullatore immaginifico che sono capaci di mettere in moto ogni volta.

Proprio “Lucifer” si chiama ciò che ha camminato i suoi neonati passi come “Studio I” quest’estate nel Castello Pasquini di Castiglioncello durante Inequilibrio.
Nuovo tassello della produzione artistica di Industria Indipendente, rientra in un percorso ideale che, dopo aver rivolto un lungo sguardo alle madri e alla figura femminile, risponde ora all’esigenza di dar voce allo smarrimento dell’uomo odierno, comunque aleggiando nell’aria una nodale presenza femminea.

Precedente tappa in questo senso era stato “I ragazzi del cavalcavia”, presentato al Teatro Vascello di Roma in una quattro giorni di primavera che aveva visto il sold-out degli spazi di Monteverde Vecchio diretti da Manuela Kustermann.
Ma “I ragazzi del cavalcavia” e “Lucifer” saranno fra poco tra i protagonisti anche del festival TramedAutore al Piccolo Teatro di Milano (21 e 22 settembre), prima di arrivare a Romaeuropa il 3 e 4 ottobre.

Hanno seminato parecchio in questi anni Galli e Ruggeri, ricevendo lo sguardo di sbieco della critica che non ha ancora capito bene dove e come collocarle, loro dalla formazione così trasversale, passando da serate al Goa, All Animal Social Club e Fanfulla all’arte performativa, fino a quello che è il loro approccio s/convolgente – per le carte che sparigliano sul tavolo delle regole teatrali – e d’impatto allo “Spazio vuoto”.

Hanno varcato la soglia dell’urbe romano alla ricerca di ulteriori spazi e a poco a poco li hanno trovati, ottenendo nel 2014 il Premio Hystrio-Scritture di Scena con “Supernova”, testo selezionato per “Face à Face – Parole d’Italia per scene di Francia”, progetto dedicato alla drammaturgia italiana contemporanea che arriva Oltralpe.

Lanciando uno sguardo alle loro più recenti creazioni, segnaliamo anche gli esiti felici dello spettacolo/installazione che le ragazze “industriali” hanno realizzato – loro alla drammaturgia – con Luca Brinchi e Daniele Spanò a regia, scene, luci e video: titolo “Aminta”.

“I ragazzi del cavalcavia” sono invece il coro marcito dalla muffa della provincia del nostro scontento italico, quei quattro Fratelli Furlan, cavalieri dell’Apocalisse più uno, lo Zio Tex, che uccisero lanciando dei sassi dal Cavalcavia della Cavallosa, a Tortona, la notte di Santo Stefano, “per scacciare la noia non sapendo come trascorrere una serata d’inverno nel periodo di Natale”, come dichiararono, sassi che fecero uno strike bastardo sulla macchina di una coppia che si amava, uccidendo lei, Maria Letizia Bernini.

Suddivisa la narrazione nei tre giorni (24-25-26 dicembre) di vent’anni fa, alla fine dei quali avvenne il contatto con il non ritorno, inizialmente le luci si alzano a illuminare uno scenario spoglio, colmo di loro, che condurranno in un rito iniziatico il più giovane del branco, il cucciolo che digrignerà i denti avvertendo la puzza della propria paura di esistere, sposando quella del resto della sua compagnia bella, e morderà, scattando come una vipera, calando il colpo in questo Finale di partita mortale.

C’è il fratello radioamatore che ci cala in un’atmosfera onirica, l’eco della cui voce da distanze siderali andrà a ricadere, meschino, su questa terra, imbevuta di frustrazione. Quella dei Maschi Alfa, sotto le cui mentite spoglie si nascondono pecorelle smarrite, che non faranno in tempo a tornare a casa da bravi figliol prodighi. Sono tutti fratelli, orfani di padre, una madre nel disagio, evocata ma relegata nell’ombra, forse per tutelarla da quello smarrimento. Lo zio, figura che dovrebbe essere di riferimento, cade nella tentazione di dimostrare d’essere il capobranco.

Pochi elementi di scena, ad evocare luoghi inferi, per lo più delineati dal disegno luci di Diego Martinucci e dalle musiche originali di Diego Buongiorno, come nella discoteca dove si buttano nelle danze, indossate maschere iconiche di quei ruggenti anni ’90, si muovono a ralenti, uno di loro perso nello sballo. Albero di Natale piantato al centro, mettono le lucine ai bordi della scena, che diventano nel quadro finale quelle della superstrada, che sovrastano dal cavalcavia, da cui si specchiano nell’abisso.

Bravi e generosi, Alberto Alemanno, Maziar Firouzi, Ciccio La Mantia, Daniele Pilli e Michael Schermi si prestano a dar corpo e voce a questa razza deprecabile di umanità che fu germe esploso poi nella malattia, nel vuoto pneumatico, nella cui tentazione la brava gente italica, l’Europa, rischia tuttora di cadere.

Come il loro “Lucifer”, che si ritaglia uno spazio tutto suo, da urlo, per la geniale inventiva e il sapere ben dosato, consapevole delle proprie capacità, che irruenti si conquistano dal palco l’attenzione del pubblico per la sua carica energetica. Non possono fare altrimenti gli spettatori: non è concesso cadere nella tentazione di distogliere lo sguardo.

Tutti gli elementi serviti sono ruggenti, tenendone non si sa quanti ancora nel cassetto creativo – siamo stati testimoni di due studi in parte diversi: le musiche dal vivo di Lilith Lady Maru, che da Madre vestale all’inizio delle danze spettacolari accoglie gli astanti, sguardo fisso da sotto il cappuccio, immobile spalle al camino, in attesa di andare al tavolo delle sue alchimie sonore e partire dando il via al buio della creazione, alle vibrazioni distorcenti e palpitanti dalle cui viscere nasce ancora lui, la Stella più bella, la più luminosa, l’Angelo ribelle, ormai lontano dalle grazie del Padre: Lucifer.

Prima del buio si avvistano sullo scheletro di un guardaroba di metallo maschere diaboliche e da lotta messicana, costumi di scheletri e trofei fallici, mentre continua l’odore, che pensiamo essere d’incenso ma che scopriremo invece di palo santo, a riempire la stanza, in attesa di essere scalzato da quello di sudore, umori e materiale organico, di cui non vogliamo rivelare troppo l’origine, che sarà sintomo di creazione e di umanità con cui giocherà a fare Dio Lucifer.

Nascerà dal frastuono la prova stupefacente di PierGiuseppe Di Tanno, tra danza, attorialità e performance, in cui sarà capace di far esplodere la tenebra, evocato dalle onde sonore di Lady Maru e dal disegno luci architettato da Luca Brinchi e Daniele Spanò.

Tra ironia e dramma, risorta la luce, avrà dunque inizio il gioco al massacro di cui è direttore d’orchestra questo angelo nero, vestito di rosso, come un rapper giocatore di basket, pronto a prendere il volo su uno skateboard al passo di danza alla Michael Jackson.

È iconico, prima del bene e del male, questo Lucifer: nel disprezzo della sua solitudine, chiede di vivere per lui agli esseri smarriti che sono/siamo, microbi, umani, omuncoli che prendono vita sul palco, ricordandoci il Faust di Goethe e di Sokurov; di danzare per lui i ruoli della vita per esserne protagonisti. Invece si trovano a cadere nell’ombra, mettendosi in disparte, soccombendo al canto di “I Believe I Can Fly”.

Sprezzante, a un palmo dal naso degli spettatori, Lucifer/Di Tanno evoca il Padre, prega in sanscrito, in ebreo, in latino, impone le mani, anzi le dita con esiti deflagranti, fino a immergersi nel rito della meditazione.

E mentre attendiamo da un momento all’altro che lieviti in volo, novello Siddhartha, l’eco di quelle parole (“è vero, lurido bastardo, tutto questo è bellissimo”) insieme a ciò che proclama Lady Maru in un incontro eretico e luciferino al Castello Pasquini (cioè che anche questa è un’opera che nasce dal disagio che ci circonda) sembrano introdurci al mistero in cui presto potrà evolvere questo magnifico bastardo: Lucifer.

I RAGAZZI DEL CAVALCAVIA
Scritto e diretto da Erika Z. Galli e Martina Ruggeri
Con Alberto Alemanno, Maziar Firouzi, Ciccio La Mantia, Daniele Pilli e Michael Schermi
Disegno luci Gigi Martinucci
Musiche originali Diego Buongiorno
Assistente alla regia Elvira Berarducci
Costumi Livia Fulvio
Una produzione Industria Indipendente
In collaborazione con Carrozzerie N.O.T. Fivizzano 27
Testo inserito e promosso nell’ambito del progetto Fabulamundi Playwrtiting Europe

durata: 1h 10’
applausi: 3’

Visto al Teatro Vascello, Roma, il 22 aprile 2017

 

 

LUCIFER (studio I)
di Erika Z. Galli e Martina Ruggeri
con PierGiuseppe Di Tanno e Ledi Maru
musiche originali Lady Maru
luci Daniele Spanò, Luca Brinchi
produzione Industria Indipendente
coproduzione Carrozzerie N.O.T
residenze Armunia Festival Inequilibrio Centro di Residenze Artistiche Castiglioncello, Città del Teatro (Cascina), Occhisulmondo (Perugia), Angelo Mai (Roma)
in collaborazione con Area06

durata: 50’
applausi: 3’ 30’’

Visto al Castello Pasquini, Castiglioncello, il 30 luglio 2017

0 replies on “Lo sguardo sugli Inferi dal Cavalcavia di Industria Indipendente”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *