Re Lear è morto a Mosca. L’ironia yiddish di César Brie

Lear (ph: Andrea Fabbri)
Lear (ph: Andrea Fabbri)

A riproporre la storia del teatro Goset otto giovani attori provenienti dalla Scuola Galante Garrone di Bologna

“Essere rinomati non è bello, non è così che ci si leva in alto. Non c’è bisogno di tenere archivi, di trepidare per i manoscritti. Scopo della creazione è il restituirsi, non il clamore, non il gran successo. È vergognoso, non contando nulla, essere favola in bocca di tutti. […] Altri, seguendo le tue vive tracce, faranno la tua strada a palmo a palmo, ma non sei tu che devi sceverare dalla vittoria tutte le sconfitte. E non devi recedere d’un solo briciolo dalla tua persona umana ma essere vivo, nient’altro che vivo, vivo e nient’altro sino alla fine”.
E’ con queste parole, tratte da una poesia di Boris Pasternak, che si conclude lo spettacolo di César Brie “Re Lear è morto a Mosca”.

E’ un omaggio all’anima russa, al teatro, ai suoi artefici, al suo dovere di smuovere le coscienze contro ogni forma di potere, quello che il maestro argentino César Brie mette in scena con lo spettacolo da noi visto al Teatro Manzoni di Monza. Un omaggio ancor più sentito perché rimanda inequivocabilmente a ciò che sta accadendo oggi in Russia, e perché in scena con lui ci sono otto giovanissimi artisti, attori e attrici di matrice diversa provenienti dalla Scuola di teatro Alessandra Galante Garrone di Bologna, che hanno creduto in questo progetto che nasce davvero dal basso, provato per mesi nello spazio che Brie mette a disposizione in alta Val Tidone, in provincia di Piacenza.

Un omaggio profondo e commovente al teatro perché ci introduce in un’esperienza dimenticata e indimenticabile, accaduta nella Russia stalinista e riportata alla luce grazie ad Antonio Attisani, amatissimo studioso teatrale, docente prima a Cà Foscari e poi a Torino. In scena infatti, attraverso la drammaturgia dello stesso Brie e del giovanissimo Leonardo Ceccanti, rivive l’esperienza unica e fantasmagorica del teatro Goset, fondato nel 1919 dal regista Alexander Granovskij e dal visionario pittore Marc Chagall, un teatro ebraico in lingua yiddish, di nuova impostazione, non più legato alla stantia imitazione folklorica tipica di quel teatro.

“Il Goset era un teatro popolarissimo e frequentatissimo da ebrei e non ebrei, serate da tutto esaurito e lunghe file al botteghino – sottolinea Brie – La compagnia allestiva i propri spettacoli in yiddish ma all’entrata consegnava una sinossi agli spettatori perché capissero quanto bastava, e tutti si divertivano molto. Non solo la lingua era una componente caratterizzante, ma anche il loro modo di recitare, che riprendeva alcune gestualità della cultura ebraica, elementi che il regime non sopportava”.

È in seno a questa istituzione che si sviluppò l’arte di Solomon Michoels e Veniamin Zuskin, il primo ucciso in un incidente d’auto, il secondo fucilato nell’agosto del 1952, durante quella terribile notte che fu poi chiamata ‘la notte dei poeti assassinati’, in cui morirono 13 scrittori ebrei sovietici. Michoels e Zuskin furono autori di una formidabile edizione del “Re Lear”, uno dei pochi testi del Grande Bardo autorizzati per la messinscena dal regime sovietico, a cui assistette anche il grande regista e teorico inglese Gordon Craig, che rivive anch’egli nello spettacolo.
Un Lear che Brie, insieme ad Altea Bonatesta, Alessandro Treccani, Leonardo Ceccanti, Eugeniu Cornitel, Davide De Togni, Anna Vittoria Ferri, Tommaso Pioli ed Annalesi Secco, rimette in scena con una semplicità disarmante, che tocca il cuore e prende vita metaforicamente nella relazione di Lear con il suo fool, in dialogo con quella di Michoels e Zuskin.

La vicenda del teatro Goset rivive, sotto il ritratto di Stalin, attraverso i diversi linguaggi che il teatro può concedere: dal canto alla danza all’acrobatica. Il tutto attraversato da artifici scenografici (scene e costumi sono di Matteo Corsi) che rimandano a Chagall, e che sbucano da un piccolo teatrino, tra l’effimera consapevolezza di vivere una nuova stagione di libertà e la certezza di essere stroncati in quanto sgraditi al potere, perché fare l’artista in un mondo siffatto è pericoloso. Un potere che, attraverso l’ironia yiddish, rivive in una delle scene più esilaranti dello spettacolo, con Molotov, Stalin e Beria rappresentati come infausti burattini, senza umanità.

In scena, in contrapposizione a loro, vivono prepotentemente gli otto interpreti, ad un certo punto rappresentati come un mondo di morti, agghindati con grandi cappottoni, artisti uccisi da un potere che non poteva permettere il loro teatro, che ci appaiono attraverso la loro tragica storia, di vivissima essenza, giunta sino a noi anche in modo rocambolesco. E infatti, nel finale, la finzione si confonde sempre più con la realtà, attraverso due donne delle pulizie che, invece di bruciare (come avrebbe voluto intenzionalmente il potere) tutte le carte e i copioni dei due intellettuali, li salvano, nascondendoli pericolosamente sotto le gonne, per poi affidarli a una vecchia signora ebrea che, molti anni dopo, riuscirà a emigrare in Israele e a farli conservare in un piccolo archivio/museo a Tel Aviv.

Lo spettacolo rende anche un sentito omaggio all’anima russa e a quello stuolo di intellettuali che il barbaro regime fece imprigionare, ricordandoli durante lo spettacolo: Osip Ėmil’evič Mandel’štam, Pavel Aleksandrovič Florenskij, Les Kurbas e Marina Cvetaeva, che non fu imprigionata ma si suicidò nel 1941, isolata dalla comunità letteraria.

Re Lear è morto a Mosca
Regia César Brie
Testo César Brie, Leonardo Ceccanti
Con la collaborazione degli attori che hanno proposto scene, testi, danze e immagini
Sono stati usati frammenti di testi di Marina Cvetaeva, Pavel Florenskij, Osip Mandel’štam, Tician Tabidze
La poesia finale è di Boris Pasternak
Attori creatori: Altea Bonatesta, César Brie, Leonardo Ceccanti, Eugeniu Cornitel, Davide De Togni, Anna Vittoria Ferri , Tommaso Pioli, Annalesi Secco, Alessandro Treccani
Consulenza storica Antonio Attisani
Maestra di danze e lavoro corporale Vera Dalla Pasqua
Scenografia e costumi Matteo Corsi – L’ensemble
Luci César Brie, Stefano Colonna
Tecnico luci Alfredo Pellecchia
Musiche tradizionali yiddish Pablo Brie
Maestra di canto Anna Pia Capurso
Produzione Isola del Teatro, Campo Teatrale

Un grazie accorato a Alfredo Pellecchia e Caterina Benevoli per i loro testi e a Rossella Tansini, Giancarlo e Laura Spezia, per il loro formidabile sostegno.

Visto a Monza, Teatro Manzoni, il 7 marzo 2024

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