In scena a Castrovillari in occasione della 23^ edizione di Primavera dei Teatri
“Mo vi cuntu in bona sustanza di re Pipuzzu la rumanza, pe chini a vo’ cruda e chini a vo’ cotta vi cuntu ‘i Pipuzzu e d’a Reginotta”.
Tra i molti stimoli che ci sono giunti in questa bella edizione del festival calabrese Primavera dei Teatri di Castrovillari abbiamo deciso di concentrarci su un semplice racconto popolare che ci ha toccato il cuore e la curiosità: “Re Pipuzzu fattu a manu”, raccolto tanti anni fa da Letterio di Francia, e restituitoci teatralmente con vivida accortezza da Dario De Luca.
In tanti anni fra i palchi, il nome di Letterio di Francia non era mai “capitato” in nessuna delle nostre pur numerose frequentazioni vicino alle fiabe o all’immaginario legato ai ragazzi. Se qualcuno ce lo avesse solo accennato, il suo nome, lo avremmo raccordato a un cavaliere medioevale o ad un principe rinascimentale. Invece Letterio di Francia è un raccoglitore di fiabe popolari, come lo sono stati il siciliano Giuseppe Pitrè e il napoletano Giambattista Basile.
Solo che il nostro, che nacque a Palmi nel 1877, si è interessato alle tradizioni di una regione, la Calabria, a cui non eravamo solitamente avvezzi a frequentarne il pur ricco mondo di racconti e fiabe.
E’ grazie al festival Primavera dei Teatri che abbiamo scoperto come Letterio abbia raccolto decine di racconti e, tra gli altri, la fiaba stupefacente “Re Pipuzzu fattu a manu”, che Dario De Luca a Castrovillari ha portato in scena nella riscrittura di Marcello D’Alessandro, definendolo “Melologo calabrese” per tre finali.
Vi si racconta di una principessa, Reginotta, che – insoddisfatta dei pretendenti che le venivano offerti dal padre – il fidanzato se lo costruisce da sé. Ma già dai nomi dei possibili sposi della Principessa, che il regista e autore di Scena Verticale ci presenta, lo spettacolo si fa amare.
Chi non sceglierebbe Roderigo di Castiglia? Leandro di Turnè, Micuzziellu du Timpune? E chi non sposerebbe Almerigo Dellefette, Aldobrando dell’Aglione, Giannetto dell’Orbo, Ernani di Trebisacce, Minicuzzu di Mezzabotta? Gildino di Vuccuzza? Aristobulu della Cerza? Tutte se li contenderebbero, ma lei, Reginotta, a tutti, dice di no!
A uno puzzano i piedi, all’altro il fiato, uno non ci vede da un occhio, insomma sono “tutti ciarciagalli, spampuni, brutti, cicati, pirchi, tamarri e ragapìedi”.
Allora il re si dà per vinto, dà alla figlia zucchero e farina e Reginotta si chiude in una stanza. Prende da una madia un setaccio e comincia ad impastare il suo fidanzato, rifacendolo diverse volte, poiché una volta finito non ne è mai soddisfatta.
Ma intrigante è anche il modo, molto personale, con cui la ragazza se lo costruisce l’uomo della sua vita, perché effettivamente le deve piacere, senza se e senza ma.
Così, con zucchero e farina, da vecchia volpe qual è, ci mette intelligenza (tanta), bontà (mezza dose), una giusta quantità di simpatia, mezza tazza di gelosia, quanto basta di fedeltà (guai se la tradisse, lo disimpasterebbe), tanta passione ovviamente, e un poco di coraggio perché il contenitore si è rovesciato.
Cosa mette al posto della bocca? “Nu pipariuddru: ma russu, add’essa russu russu”. Prende infatti un peperoncino rosso e glielo mette come bocca. Infine, quando dopo un po’ il Principe comincia a parlare, Pipuzzo e Reginotta si sposano con grande felicità di tutti.
Eppure, quando tutto sembra andare per il verso giusto, succede che una tempesta di vento rapisce il nostro principino portandoselo chi sa dove! Certamente vi piacerebbe sapere dove, ma non lo sveleremo. Vi diremo solo che ci saranno, secondo tradizione, un viaggio avventuroso, un aiutante magico, tre prove da superare e un’antagonista davvero particolare.
Non vi diremo nemmeno se la nostra Reginotta riuscirà a trovare il suo Peppuzzu, vi diremo solo che il narratore, conoscendo lo spirito di Reginotta, incuneerà dei dubbi agli spettatori sulla “presunta” fedeltà dell’amato, proponendo tre finali alternativi.
Mescolando sapientemente il dialetto calabrese con l’italiano e la musica, accompagnato con lo straordinario e variegato sussidio sonoro concepito da Gianfranco De Franco, che propone un’alternanza di flauto traverso, clarino, controller del suono e theremin, troviamo Dario De Luca agghindato con una lunga veste, come un antico narratore dal sapore orientale. Infondendo alle parole un’aura quasi sacrale, intrisa di sapida ironia, portatrice di sottotesti sensuali, ci regala un racconto senza tempo, con protagonista finalmente una donna tutt’altro che remissiva, invadendo di letizia e stupore gli spettatori, superando barriere di età e di lingua. E così “Re Pipuzzu fattu a manu, senza nchiostru e calamaru, ccu la forza di su vrazzuppi mi fa nu masculazzu. Ppe sia misi mi ti spastu, ppe sia misi ti rimpastu” ha la forza di restare per molto tempo nella nostra memoria, mantenendo la capacità di poter essere raccontato e tramandato.
RE PIPUZZU FATTU A MANU. MELOLOGO CALABRESE PER TRE FINALI
Liberamente tratto dalla fiaba calabrese Re Pepe raccolta da Letterio Di Francia
riscrittura di Marcello D’Alessandro
di e con Dario De Luca e Gianfranco De Franco
Visto a Castrovillari (CS), Sala Varcasia, il 3 giugno 2023
Festival Primavera dei Teatri