Reims Scènes d’Europe: visioni e colori dal festival

Sfumato (photo: Jacques Hoepffner)|Il nido gigante dell'installazione sonora Migrazioni|Nanook © Sonia Recchia Wireimage Getty for Tiff|La vita attorno al 'laghetto' di Bruno Roubicek
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Il nido gigante dell'installazione sonora Migrazioni
Il nido gigante dell’installazione sonora Migrazioni

La sera in cui si inaugura il festival multidisciplinare Reims Scènes d’Europe fa freddo, ma i cittadini di Reims, un curioso mix di abitanti locali e studenti universitari internazionali, non si fanno scoraggiare dal clima e affollano con entusiasmo la sala del mercato comunale, dove viene inaugurata questa edizione “verde” del festival.

Si beve vin brulé e si degustano prodotti tipici del territorio; attorno a me persone di tutte le età: sembra che frequentare il teatro, qui in città, sia un’abitudine abbastanza diffusa. In una realtà di circa 200.000 abitanti, la scelta a livello culturale è decisamente elevata e non c’è di che annoiarsi. Gli abituées del teatro si danno appuntamento soprattutto alla Comèdie e al Manege, mentre il faro della musica contemporanea e della ricerca è portato avanti da Césaré e dalla Cartonnerie. Bambini e famiglie sono soddisfatti dall’intensa programmazione di Nova Villa, mentre l’opera lirica e la sua sperimentazione hanno una sede di tutto rispetto nel pieno centro città, all’Operà de Reims.

Nanook © Sonia Recchia Wireimage Getty for Tiff
Nanook (photo: © Sonia Recchia Wireimage Getty for Tiff)

In questa serata d’inaugurazione del festival, di cui si chiude oggi la prima settimana di programmazione, la grande sala della Comèdie viene travolta da una grande piccola donna, la cantante Inuit Tanya Tagaq che, sul palco insieme a due musicisti, dà nuova voce allo storico documentario “Nanook of the North”, girato da Robert Flaherty nel 1922.

Mentre alle spalle della cantante passano le vite lontane di Nanook l’eschimese e della sua famiglia, Tanya Tagaq intesse la sua storia musicale fatta di gorgheggi, respiri affannati e gravi e improvvisi acuti. Il suo corpo si muove e danza, accompagnando questo canto tradizionale tanto lontano quanto vicino alla musica sperimentale ed elettronica.
L’energia di Tanya ci trasporta nel freddo dell’Artico e sembra quasi che in sala soffi lo stesso vento gelido che scuote la difficile vita di Nanook e della sua popolazione. Il canto diventa quasi ipnotico, la relazione tra questa “cantante del grande nord” e i suoi antenati diventa palpabile: sul palco della Comèdie è Tanya a muoversi, ma ai nostri occhi è tutto il popolo Inuit che celebra la sua terra.

La festa continua al bar del teatro che, cosa bellissima e rara in Italia, rimarrà aperto a lungo anche dopo la fine dello spettacolo. Si mangia, si beve (champagne ovviamente, visto che siamo nella capitale della regione che lo produce) e d’improvviso gli artisti protagonisti dello spettacolo si mescolano a noi. Tanya Tagaq, ancora il costume di scena addosso, ride e sembra divertirsi in modo particolare.
Nella piccola sala destinata al catering del festival mi ritrovo per caso faccia a faccia con lei e la sua compagnia. Finito di mangiare Tanya si mette a sparecchiare e, vedendomi particolarmente stupita, mi dice: “In fin dei conti sono soprattutto una mamma!”.

Le cene del festival diventano così un momento di incontro fra tutti quelli che lavorano per questa grande macchina dello spettacolo dal vivo: artisti, organizzatori, direttori teatrali e tecnici, scambiandosi qualche battuta o passandosi semplicemente una salsa o un pezzo di pane.
Per strada, tra le vie del centro popolate di bancarelle di Natale, si scorgono un po’ dappertutto i cartelli del festival e ogni sera, puntuali al loro appuntamento, i ‘remois’ si presentano alle casse dei teatri per assistere agli spettacoli in programma.

Il primo weekend festivaliero si apre l’indomani in modo delicato: il primo spettacolo della giornata fa parte della programmazione riservata ai bambini e programmato in collaborazione con l’associazione Nova Villa.
In un piccolo spazio alla periferia della città assistiamo a “Wolle”, un progetto di Barbara Kolling e della compagnia tedesca Helios Theater.
Una scena dalle tinte calde e lievi ci accoglie mentre i tre attori, con un fare a volte troppo impostato, svolgono davanti ai nostri occhi gomitoli di lana e tessuti da cardare, dando vita ad un piccolo mondo delicato popolato di suoni leggeri e qualche canzone appena accennata.
I bambini osservano rapiti, catturati dalla magia di alcuni ferri per fare la maglia che diventano improvvisamente piccoli strumenti musicali. Uno spettacolo che trasforma il materiale per eccellenza della civiltà umana in tante piccole storie appena accennate. Un lavoro delicato e poetico che si apprezza in particolare per la sua estetica.

La vita attorno al 'laghetto' di Bruno Roubicek
Bruno Roubicek alle prese con il suo bacino artificiale

Il ritorno al mondo esterno ci riporta verso una delle sedi principali di Reims Scènes d’Europe, il teatro della Comèdie.
A pochi minuti dalla sede centrale, in uno spazio dedicato alla residenza degli artisti ospiti, sta per cominciare uno degli appuntamenti più originali del programma 2013.

L’attore e performer inglese Bruno Roubicek, armato solo di qualche semplice attrezzo, sta per affrontare “Man digs pond”, una performance continua di 24 ore alla fine della quale verrà creato un piccolo bacino d’aqua pensato per accogliere e far riprodurre gli anfibi.

Il progetto di Roubicek va oltre l’idea generale di performance; ciò a cui assistiamo per diverse ore del giorno e della notte è una sorta di happening ecologico. Fedele al suo progetto, Bruno Roubicek scava e lavora la terra dalle 17 di sabato alle 17 di domenica, senza mai fermarsi, senza mai parlare. E’ la gente intorno a lui, per una volta, a fare “spettacolo” con canti e alcuni balli improvvisati. Il performer inverte i ruoli e diventa ascoltatore, e nel frattempo crea un’interessante ibrido di “reality theater” che crea dipendenza.

La domenica continua con uno spettacolo dedicato al grande tema di questa edizione 2013, la Terra. Sul palco della Comèdie arriva “Gaia Global Circus”, un lavoro nato dalla mente di Bruno Latour (ospite d’onore di questa edizione) e messo in scena dalle compagnie Accent e Soif. Un progetto interessante ma per alcuni versi troppo didascalico, che sceglie di affrontare il delicato tema del riscaldamento climatico.
In scena quattro attori vestono di volta in volta il ruoli di scienziati, attivitisti, uomini d’affari senza scripoli e astronauti. La forza comunicativa passa soprattutto attraverso le belle immagini che variano di continuo grazie ad una scenografia mobile, fatta di un telo bianco tenuto in sospensione da circa 20 palloni d’elio.

Parallelamente allo spettacolo le due compagnie e il filosofo hanno sviluppato anche una sorta di mostra/memoriale dedicata all’umanità “Un arche pour rester” e ispirata all’idea dell’arca di Noè. Un lavoro poetico che racconta l’essere umano attraverso alcuni semplici oggetti, divisi e catalogati come si trattasse di una specie ormai estinta.

La danza contemporanea arriva al festival con il progetto “The Artificial Nature Project”, firmato dalla coreografa danese Mette Ingvarsten, che ha deciso di ricreare in scena, attraverso l’uso dei corpi e di alcuni effetti scenici, le grandi forze della natura.
Un lavoro decisamente interessante, difficilmente classificabile, più vicino all’idea di quadro in movimento che alla danza, in cui la materia diventa lava, vento, acqua.
I sette performer, completamente annullati e ridotti a servi di scena, manipolano a vista migliaia di leggeri coriandoli argentati che si trasformano, a seconda delle luci, in lava incandescente o in pioggia ghiacciata. Un lavoro dal ritmo lento e dilatato, da contemplare soprattutto per il suo lato estetico e per la grande forza evocativa delle immagini che fa produce.

Una giornata interamente dedicata alle produzioni italiane vede ospiti due grandi compagnie nostrare: il Teatro delle Briciole per il teatro ragazzi e Motus per il pubblico adulto.
Il Teatro delle Briciole presenta “Les Grands Dictateurs”.
Bruno Stori, solo su un palcoscenico spoglio sul quale fa bella mostra di sé la scritta “Moi, je ne me tronpe jamais” (Io non mi sbalio mai) dà vita ad un personaggio grottesco e al tempo stesso comico, una “maschera” figlia della realtà, ispirata ad alcune delle figure politiche più conosciute del secolo passato e anche delle cronache più recenti.
Nella sua recitazione ironica, sempre in bilico fra serietà e comicità, Stori riesce perfettamente a catturare l’attenzione del pubblico, soprattutto dei più piccoli, scavando a fondo in un tema molto particolare, quello della dittatura e della figura dittatoriale. Il lavoro risulta molto equilibrato, reso ancor più coerente dall’uso delle sole tonalità del bianco e del nero.

Nella stessa giornata il festival accoglie anche “Nella Tempesta” dei Motus, lavoro che dall’estate passata ad oggi è già stato leggermente modificato a favore di un maggiore approfondimento sulla grande questione legata a Lampedusa.
Lo spettacolo, del quale Klp ha già parlato, è stato seguito da un interessante dibattito in cui la compagnia ha dialogato con un giovanissimo pubblico di liceali, molto interessati ma quasi completamente all’oscuro delle complicate vicende legate alla piccola isola italiana.

Sfumato (photo: Jacques Hoepffner)
Sfumato (photo: Jacques Hoepffner)

La prima settimana di festival si è chiusa con un lavoro dal fortissimo impatto visivo, “Sfumato”, del coreografo francese Rachid Ouramdane.
Sul palcoscenico del Manège vengono presentati una serie di quadri scenici ispirati allo “sfumato”, la tecnica pittorica in cui linee e contorni scompaio e non sono più esattamente ritrovabili.

In scena cinque bravissimi danzatori ipnotizzano il pubblico con i propri corpi scolpiti dal fumo ma soprattutto da una reale pioggia torrenziale che cade dall’alto del teatro.
Su un palcoscenico inondato di acqua, i loro passi creano un tappeto sonoro accompagnato dal vivo da un pianoforte e da un’impressionante sequenza di tip tap, omaggio a “Singin in the Rain”. Un lavoro esteticamente perfetto nel quale però si sente a tratti la mancanza delle emozioni, e in cui il punto di partenza – le grandi catastrofi ecologiche e l’esilio in luoghi non conosciuti – si allontana sempre più, diventando alla fine un’eco lontana.

Durante gli spettacoli visti questa settimana si sono sentite parlare tante lingue diverse, in scena come in platea.
Si esce poi dalle sale e nel week-end ci si rifugia al caldo del bar della Comèdie, dove prosegue il fuori programma con gli After del festival, in cui si balla o semplicemente si chiacchiera di quello che si è appena visto. E’ da qui che vi diamo appuntamento a domenica prossima, per proseguire nel nostro racconto sullo spettacolo (dal) vivo a Reims.

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