
Dramma didattico di Bertolt Brecht, “La resistibile ascesa di Arturo Ui” è un’opera poco conosciuta e poco rappresentata, scritta di getto nel 1941, in tre sole settimane durante l’esilio a Helsinki, in attesa del visto per gli Stati Uniti.
Il dramma, incompiuto, è un centone di materiali già brechtianamente cuciti ma non ultimati, e fu messo in scena per la prima volta solo nel 1958, postumo.
Le musiche originali di Hans-Dieter Hosalla che appartengono alla tradizione di questo testo, non furono mai approvate dall’autore, e furono successivamente consacrate e codificate dal Berliner. La regia mantiene solo alcune di queste musiche e, cavalcando la struttura dell’opera, riattinge al repertorio di canzoni del cabaret tedesco di quegli anni, da Spoliansky a Nelson. A ciascuna di esse è legato il testo di un cartello brechtiano, in modo da riallacciarsi a un preciso mondo culturale e aiutare lo spettatore a disvelare l’operazione di travestimento che è alla base dell’opera.
“Farsa storica” e allegorica, la carriera di Ui rappresenta, in chiave parodica, l’ascesa al potere di Adolf Hitler. I personaggi hanno una diretta controparte nel mondo reale e storico: il re del commercio dei cavoli Arturo Ui è Hitler, il suo sgherro Ernesto Roma è Ernst Röhm, Dogsborough è Paul von Hindenburg, Emanuele Giri è Hermann Göring, il trust del cavolfiore è l’aristocrazia degli Junker, il destino della città di Cicero è l’Anschluss dell’Austria e così via. Allo stesso tempo ogni scena si riferisce a uno degli eventi storici che puntellano la scalata del protagonista, ad esempio l’incendio dei magazzini sta per quello del Reichstag. Ogni catello offre puntualmente la lettura allegorica degli eventi e svela il travestimento.
Ciò che interessa a teatro non è ciò che attuale ma ciò che non lo è. Capita talvolta che ci si riesca a riconoscere in immagini inattuali, lontane, è allora che la comunicazione teatrale raggiunge un livello profondo. Poco importa se ciò avvenga per via intellettuale o emotiva; Claudio Longhi sceglie l’analisi.
Invece di facili attualizzazioni, la lettura registica esplicita con chiarezza il contenuto didattico dell’opera: “La commedia di questa sera è un tentativo di spiegare al mondo capitalistico, che ha nell’America il suo simbolo, l’ascesa forse resistibile di Adolf Hitler, trasponendo la vicenda in circostanze a quel mondo familiari. Quando sentirete parlare di Chicago, perciò, è Berlino che dovrete immaginare, e così via… Quando sentirete parlare di America, dovete pensare che riguarda voi!”.
Sarebbe svilente riportare in maniera diretta la vicenda alla realtà storica e politica del nostro Paese. Artuto Ui è piuttosto una maschera, e il suo un percorso che somiglia ad altri.
Al centro del sipario, una svastica accoglie gli spettatori al loro ingresso in sala. Sullo sfondo “Chicago”, la fine degli anni ’20, la grande depressione, la crisi.
Ormai mancano gli aggettivi per definire un attore come Umberto Orsini, che per la prima volta affronta un testo di Brecht. Come sempre offre una prova magistrale, come magistrale è la lezione di portamento che offre, con un travestimento, a se stesso/Ui e agli spettatori.
A un certo punto dello spettacolo, infatti, Orsini interpreta la parte di un vecchio attore chiamato ad insegnare a Ui come comportarsi in pubblico, come tenere le mani, come stare seduto, come schiarire la voce, come eliminare la balbuzie. Offre una vera lezione di teatro.
L’intermezzo si riferisce ancora una volta a un preciso evento storico, quando Hitler si rivolse a un attore affinché curasse la sua immagine, perché il tiranno potesse vestire panni accattivanti, tranquillizzanti.
Qui Brecht costruisce un legame diretto con un altro modello dell’opera, i ‘chronicle plays’ di matrice shakespeariana. Dopo “Riccardo III”, il riferimento diventa il “Giulio Cesare”. L’inserto teatrale prevede, infatti, che l’attore esegua l’orazione funebre di Marco Antonio.
Terminata la lezione, avviene la trasformazione. Così Ui indossa la maschera del Führer, rinforza le sopracciglia, incolla i baffetti e indossa la parrucca. Lo spettacolo ci offre a questo punto, brechtianamente, un dietro le quinte, uno scorcio di camerino, un magico momento di sospensione, che ci mostra con semplicità la grandezza dell’arte.
Longhi interpreta perfettamente la vis brechtiana, la limpidezza del suo ragionamento, e ne indaga in maniera didattica lo stile, dandone chiara e puntuale esposizione: del ‘song’ ci mostra la teatralità da operetta, lo straniamento è dichiarato come travestimento, il palco si confonde con la sala. Sembra quasi che l’autore abbia trovato il suo regista, come la maschera, si dice, scelga chi debba indossarla.
La recitazione è pertinente alla dimensione del cabaret, gli attori bravi e affiatati. Bella la scenografia realizzata con strutture modulari, con cambi a vista. Una cifra stilistica cara al regista. Cassette bianche per ortaggi, per i cavoli, costruiscono un’impalcatura colossale, prestandosi per la natura delle loro superfici a repentini e suggestivi cambi di luce.
Sarebbe stupido non ricondurre la lettura registica all’universo culturale che le è proprio e alla sua matrice ronconiana, che Longhi negli anni ha saputo addolcire. Qui sta uno dei motivi di interesse dello spettacolo. In primo piano è riportata la struttura dell’opera brechtiana, depoeticizzata, senza mistificazioni. Ce n’era bisogno.
LA RESISTIBILE ASCESA DI ARTURO UI
di Bertolt Brecht
regia: Claudio Longhi
musiche originali: Hans-Dieter Hosalla
altre musiche: Fryderyk Chopin, Hanns Eisler, Friedrich Hollaender, Rudolf Nelson, John Ph. Sousa, Mischa Spoliansky, Johann Strauss figlio, Kurt Weil
fisarmonica e arrangiamenti: Olimpia Greco
traduzione: Mario Carpitella
dramaturg: Luca Micheletti
scene: Csaba Antal
costumi: Gianluca Sbicca
luci: Paolo Pollo Rodighiero
produzione: Teatro di Roma, Emilia Romagna Teatro Fondazione
con: Umberto Orsini, Nicola Bortolotti, Simone Francia, Olimpia Greco, Lino Guanciale, Diana Manea, Luca Micheletti, Michele Nani, Ivan Olivieri, Giorgio Sangati, Antonio Tintis
durata: 165′ intervallo incluso
applausi del pubblico: 3′ 15”
Visto a Lugo, Teatro Rossini, il 30 novembre 2011