Pareti altissime, rosso vivo, adornate di quadri immensi che sovrastano la sala, quasi spaventosi e spaventevoli all’occhio di chi entra nella platea del Piccolo Teatro di Milano.
Una scenografia macroscopica, come nello stile classico del regista di “Tristan und Isolde” (produzione della Scala del 2007), che riesce sempre a stupire con grandi quadri d’immagine e a sconvolgere con la grandiosità delle sue idee.
Un cimitero trasformato in museo, perché nei musei si aggirano i morti: i morti reali, quelli dei dipinti e i morti immaginari, che vagano per le sale in cerca di un perché della propria esistenza, e non sanno quando e come trovare una via, un modo per uscirne degnamente, con il desiderio che accompagna ogni vita umana.
Tutto ha luogo nel breve incontro che il destino ha riservato ad un uomo e una donna: pochi istanti per raccontarsi l’uno all’altra, affrontando un viaggio emozionale tra passato e futuro, vita e morte, amori infranti, dolore e speranze. Si apre così un ventaglio di domande: in passato cos’è esistito tra loro? E cosa ha in serbo il futuro? E poi, chi è morto e chi sta per morire?
“Qui si parla di sesso come si parla di Dio, perché non si parla di nient’altro che di morte in un cimitero – scrive Chéreau – morte degli sconosciuti, morte dei cari, morte dell’amore, inappagato e per questo eterno”.
L’impianto di “Rêve d’Automne” di Jon Fosse è forte, solido, interessante, ed entrare in questa gabbia museale è facile, forse anche per le scene calcate, forse anche per gli attori Pascal Greggory e Valeria Bruni Tedeschi, dai quali non ci si aspetta che una buona performance. Eppure si ha la sensazione che manchi qualcosa. Quella freddezza di intenti, quella vibrazione assente che non supera il palcoscenico, deriva forse da una più grande passione cinematografica di Patrice Chereau, che firma la regia, non riesce a trasmettere la passionalità carnale che vediamo sulla scena, che pure c’è nel testo e nelle scelte degli attori.
Lo spettacolo è interessante, il testo lascia aperti molti dubbi, come è nello stile di Fosse, tante domande sul ciclo della vita, che si apre e si chiude, abbandonando esistenze sospese, che annichiliscono il pubblico in una sola domanda: cos’è la morte? E come la si affronta?
Il soggetto, insomma, è interessante, eppure lo spettacolo vive di momenti poco appassionanti, di lungaggini ridondanti e di pochi, pochissimi salti emotivi. Ed è un peccato, perché il lavoro di Fosse potrebbe aprire tantissime possibilità che sembrano non sfruttate, dove un teatro dell’assurdo richiama Ionesco e viene trattato con scelte e modalità che non esaltano la drammaturgia, ma la schiacciano in un monotono monotòno.
Peccato anche perché a tratti geniali figure si aggirano sulla scena, come la nonna che non parla mai ma riesce a divertire e coinvolgere con la sua camminata spenta nelle sale museali, o la madre, Bulle Ogier, che trasmette ironie e racconta i tormenti di una donna senza sbavature, arrivando dritta al cuore con la crudeltà che solo una madre passionale può capire.
Chereau resta un grande regista, e Valeria Bruni Tedeschi un’interprete d’eccellenza; tuttavia, dallo spettacolo, di questa grandiosità e (forse) troppa attesa, si esce un po’ con l’amaro in bocca.
Rêve d’Automne
di Jon Fosse
regia: Patrice Chereau
scene: Richard Peduzzi
costumi: Caroline de Vivaise
con: Pascal Greggory, Valeria Bruni Tedeschi, Bulle Ogier, Bernard Verley, Marie Bunel, Michelle Marquais, Alexandre Styker
durata: 1h 45′
applausi del pubblico: 3′
Visto a Milano, Piccolo Teatro, il 2 aprile 2011