In prima nazionale al Teatro Stabile di Torino l’adattamento del testo del drammaturgo Ármin Szabó-Székely
Tre settimane di repliche e un crescente successo di pubblico per il “Riccardo III” di Kriszta Székely al Teatro Carignano di Torino. Varie le ragioni della riuscita, a partire dall’ottimo adattamento drammaturgico di uno dei drammi più lunghi e complessi di Shakespeare.
La riduzione del numero dei personaggi ha certamente contribuito a rendere più efficace la comprensione dell’intreccio, ma il merito principale di Ármin Szabó-Székely, che ha curato l’adattamento, è aver saputo alternare il basso e l’alto dal punto di vista linguistico in maniera equilibrata, quasi naturale, senza forzature o stonature. L’attualizzazione dei classici passa anche attraverso il testo, ed è una scelta fondata e condivisibile, difficile è però riuscire a conservare integro il messaggio che li caratterizza.
Qui è accaduto, al punto che il nostro tempo e quello che segnò drammaticamente la Guerra delle Due Rose sembrano facilmente sovrapporsi.
La brama di potere e la ferocia che abitano l’animo di Riccardo III non hanno freni, eppure non ci appaiono così lontani. Inganni e calunnie si assommano gli uni alle altre, come la catasta dei corpi barbaramente uccisi e avvolti in sacchi neri che via via si forma sul lato del palcoscenico. “L’inverno dello scontento”, evocato da Riccardo III nella prima e celebre battuta del dramma, non si è veramente concluso, al contrario prosegue in quello che potrebbe essere uno chalet di lusso di montagna, dove l’eleganza degli abiti contrasta con le movenze scoordinate, inquiete e spesso sofferenti dei personaggi: Riccardo III (Paolo Pierobon) è zoppo dalla nascita; suo fratello, il fragile re Edoardo (Francesco Bolo Rossini), in cura da uno psichiatra, è sorretto a fatica dalla corte che lo circonda; Anna (Lisa Lendaro), devastata dalla recente morte del marito e del padre, entrambi fatti uccidere da Riccardo III, quasi non si regge in piedi tanto è vulnerabile; Elisabetta (Elisabetta Mazzullo), moglie di Edoardo, brilla ed euforica, quasi sempre con un bicchiere in mano, inciampa, ma resta in piedi; Stanley (Nicola Pannelli), il collo incassato tra le spalle, si muove tra gli altri quasi sbisciando, senza separarsi mai dai suoi fascicoli; Margherita (Marta Pizzigallo), ripetutamente chiamata strega, è soggetta a improvvisi tic nervosi; Cecilia (Manuela Kustermann), algida madre di Riccardo, Edoardo e Clarence, entra in scena in tuta da sci e si mantiene fredda e rigida nei movimenti sino alla fine.
Riccardo mente e inganna tutti, tranne il pubblico, a cui dichiara apertamente il suo malefico progetto sin dall’inizio, nel tentativo parzialmente riuscito di renderselo complice. Quando, infatti, abbattendo la quarta parete, chiede agli spettatori che lo appoggiano di alzare il braccio, non sono in pochi a farlo. D’altronde nessuno degli altri personaggi è senza macchia ma, a differenza di Riccardo, sono tutti più deboli.
Le figure femminili, che in questo adattamento acquistano rilievo maggiore rispetto all’originale, sono complesse e contraddittorie quanto quelle maschili. Lo conferma la scelta di mutare il finale della tragedia, assegnando a Elisabetta il compito di riprendere le redini del regno, cosa che farà con le stesse ambigue e scorrette modalità dei suoi predecessori.
L’attualità irrompe in scena, non soltanto con riferimenti iconografici e geografici, ma soprattutto attraverso la moltiplicazione dei punti di vista, più o meno veritieri, che ci consentono oggi i media e i social. Alcune scene diventano set televisivi, vengono allestite, riprese e proiettate su uno schermo e sul tulle che separa la platea dal palco. Questa sovrapposizione di letture, che potrebbe apparire sovrabbondante, spiana la strada alla falsificazione di notizie, ma anche a piccoli squarci da reality show, come il rapimento e l’uccisione dei due giovanissimi figli di Elisabetta, legittimi eredi al trono.
Cosa si è disposti a fare per raggiungere il potere? E, una volta che lo si raggiunge, non sono forse sempre solo le intenzioni personali, umane, intime e quotidiane, a muovere le nostre scelte?
Paolo Pierobon ci regala un’eccellente interpretazione di Riccardo, e non sono da meno gli altri membri della compagnia, in particolare Jacopo Venturiero, nel ruolo di Buckingham.
Un grande plauso va infine a Pasquale Mari, Claudio Tortorici e a tutta l’équipe dei tecnici per la raffinata regia delle luci e dei suoni.
Ora in tournée: a Bolzano dal 13 al 16 aprile, poi a Casale Monferrato (18 e 19), Pavia (21 – 23 aprile), Trento (27 – 30), Modena (dal 3 al 7 maggio), Padova (dal 10 al 14 maggio) e Roma (dal 16 al 21 maggio).
RICCARDO III
da William Shakespeare
adattamento Ármin Szabó-Székely
traduzione Tamara Török
con Paolo Pierobon, Matteo Alì, Stefano Guerrieri, Manuela Kustermann, Lisa Lendaro, Nicola Lorusso, Alberto Boubakar Malanchino, Elisabetta Mazzullo, Nicola Pannelli, Marta Pizzigallo, Francesco Bolo Rossini, Jacopo Venturiero
e con, in video, Alessandro Bonardo, Tommaso Labis
regia Kriszta Székely
scene Botond Devich
costumi Dóra Pattantyus
luci Pasquale Mari
suono Claudio Tortorici
video Vince Varga
assistente luci Gianni Bertoli
Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
Teatro Stabile di Bolzano
Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale
Durata: 2h 35’
Applausi del pubblico: 4’
Visto a Torino, Teatro Carignano, il 25 marzo 2023
Prima nazionale
Concordo con chi dice che non è più Sheaskepeare, ed è altra.cosa.Bisognerebbe informarsi prima su cosa si va a vedere,per non avere delusioni.Ottimi gli attori.
Grazie Francesca, dobbiamo ancora ribadire queste cose? Shakespeare sarebbe contentissimo di sapere che 400 anni dopo i suoi personaggi si connettono ancora in modo così forte con la contemporaneità. Questa è la forza del Teatro, di avere la capacità di essere contemporaneo sempre, come lo è Amleto, forse ancora di più, come lo è Edipo. E il Teatro usa i mezzi che ha ora per metterli in Scena.
Shakespeare si rivoltera’ nella tomba per questo pessimo adattamento,buona la recitazione, pessimo tutto il resto
Precisiamo: non è un adattamento, ma una messa in scena. Il testo teatrale è per natura un pre-testo, destinato a completarsi e a diventare altro nelle mani di chi lo mette in scena. Questo lo sa molto bene chiunque scriva o abbia scritto per il teatro. E se il pubblico risponde positivamente, anzi cresce di sera in sera, significa che quella messa in scena in qualche modo è riuscita. In teatro funziona così: il pubblico ha comunque ragione. Poi, si può discutere dei gusti personali, si può avvertire una discordanza rispetto a quanto ci si aspettava, è lecito e assolutamente normale che accada.