L’unico rimpianto è quello di non averlo visto dal vivo, nel suo luogo di nascita, dove una versione ultracontemporanea del circolare décor shakespeariano fu allestita per il debutto all’interno del Schaubüne Berlin. Una grande consolazione, tuttavia, averlo visto in streaming sul sito dell’ensemble berlinese, nella versione presentata al Festival d’Avignon nel 2015.
Un contesto, anche quello — l’Opéra Grand Avignon, di grande impatto, quasi operistico, capace di restituire sia l’originaria, sia la rivisitata prossimità col pubblico.
E se è vero che il teatro di Shakespeare è materia viva nelle mani del tempo, il “Riccardo III” diretto da Thomas Ostermeier, nell’adattamento drammaturgico di Marius von Mayenburg, è misura impeccabile del tempo. E v’è d’esserne oltremodo grati per avervi partecipato, ancorché in remoto, all’interno del presente ‘tempo sospeso’. Nero, elegante, fashion verrebbe da dire, giacché la scenografia di Jan Pappelbaum — un cerchio di polvere interrotto sul fondale da una struttura in ferro e cemento su due anelli, forse un sito industriale in disuso – è solo apparentemente marca di minimalismo urbano, e cela dettagli di uno sfarzo discreto.
Un tappeto persiano tagliato in due parti, appeso come un arazzo, agisce da quinta, e sul terreno che a poco a poco si macchierà di sangue, brillano, grazie al disegno luci di Erich Schneider, dorati coriandoli. Esplodono in scena in apertura, quando gli attori arrivano in un corteo lussuriosamente festoso dalla platea. La musica elettronica di Nils Ostendorf, consegnata ad una sola batteria dal vivo, presenta il regno di Edward. Nero, bianco, ‘integrato’ in modo quasi sfacciatamente glamour, questo Gloucester non è di quelli che nell’ombra internalizzano il loro ‘scontento’. Non fa ribrezzo, anzi, le sue deformità sono belle da vedere.
Nero, bianco, una cuffia in pelle ne comprime il cranio, un cerotto la mano, un anello in metallo lo definisce quando prende il microfono anni Trenta che da un cavo mal-formato penzola in aria, forse un cordone ombelicale mai reciso. Una dinastia ormai malata, che sarà destino di Richmond – avo della regina di Shakespeare, che volle questa ‘tragedia’ – quello di annichilire. Un Gloucester che immediatamente seduce. Ed è chiaro che così lo ha voluto il regista, intimo interlocutore del pubblico che ride delle sue battute, anche le più oscene. Così lo ha ‘trovato’ il regista, come racconta in un’intervista, nello straordinario Lars Eidinger.
Nel video è forse ancora più visibile il suo volto sorridente, di un sorriso ‘infantino’, gli occhi lucidi di un pianto che racconta la storia di quel corpo mai nato completamente. E non è possibile, neanche per un momento, non volergli bene. Neanche quando Margaret, sua madre — Robert Beyer, una acconciatura citazionistica quasi da tabloid, lo maledice. Una erotica del potere che proprio nella ‘bellezza’ ha la sua chiave di volta metacritica. La bellezza di Lady Anne, Jenny König, di fronte alla quale lui posa, nudo, una spada al petto, e nel nome di quella dichiara la sua colpevolezza, trasformandone il pianto in euforia sensuale.
Il fasto che vive dentro l’apparente minimalismo non si lascia intravedere solo nei micro-dettagli di scena, ma è soprattutto nelle parole. Enfatizzate ogni volta che il testo ascende nei più intensi soliloqui del Canone, in inglese, e accompagnate da frammenti techno-rock, nel video di Sébastien Dupouey per La Compagnie des Indes, ulteriormente sottolineati da immagini fluidamente sfumate, e vedute aeree: un cielo con avvoltoi, la terra d’Inghilterra, presto riunita nel bianco e nel rosso delle due case di Lancaster e York, non senza avere prima attraversato la mente di Richard, una fitta trama, come quella dei sinuosi fiumi che la solcano.
Una fitta rete di ‘sorridenti’ manipolazioni: Buckingham, i giovanissimi cugini, qui ridotti a pupazzi da ventriloquo, il sindaco di Londra e la cittadinanza di fronte alla irresistibile farsa di pietà monastica. E Il microfono ‘ombelicale’ ne è lo strumento di comunicazione. Filo diretto di una intimità col pubblico che decide per quella che Emma Smith definisce la domanda chiave di questo history play: Vogliamo davvero che Richmond vinca?
No. Non qui. Neanche quando le vittime si accumulano una sull’altra, una dietro l’altra, nel sogno prima della battaglia, quando il volto di re Riccardo si è fatto bianco — iconicamente elisabettiano, nel senso del suo annichilirsi per farsi uno con il suo regno e con il suo trono. Lì dorme, e nel dormiveglia sussurra, quasi, la sua richiesta finale. Nessun cavallo arriva però, e il corpo a corpo finale fa di Riccardo un unico combattente con la sua nemesi invisibile. Fino a restare completamente nudo, appeso, a recidere il cordone.
“Il Diavolo non veste Prada”.
Richard III
Direction: Thomas Ostermeier
Stage Design: Jan Pappelbaum
Costume Design: Florence von Gerkan
Collaboration Costumes: Ralf Tristan Sczesny
Music: Nils Ostendorf
Video: Sébastien Dupouey
Dramaturgy: Florian Borchmeyer
Light Design: Erich Schneider
Fight Choreography: René Lay
Richard III: Lars Eidinger
Buckingham: Moritz Gottwald
Elizabeth: Carolin Haupt
Lady Anne: Jenny König
Hastings, Brakenbury, Ratcliff: Sebastian Schwarz
Catesby, Margaret, First Murderer: Robert Beyer
Edward, Lord Mayor of London, Second Murderer: Thomas Bading
Clarence, Dorset, Stanley, Prince of Wales (as puppet): Christoph Gawenda
Rivers, York (as puppet): Laurenz Laufenberg / Bernardo Arias Porras
Drummer: Thomas Witte
Durata: 2h 30’
Visto in streaming il 3 aprile 2020